Leo contro tutti di Leo Longanesi

Leo contro tutti CONTRADDIZIONI D'UN INTELLETTUALE : Leo contro tutti «E' un giornale bellissimo: j avrei dovuto farlo io». Cosi Leo Longanesi commentava il | Mondo, il settimanale inventato e diretto da Mario Pannunzio agli inizi del 1949. Pan-; nunzio era cresciuto, graficamente e vorrei dire editorialmente, alla scuola deW'Omnibus di Longanesi: una scuola di antifascismo discreto, allusivo, ammiccante, di costume molto prima che di scelte politiche (nato nel '37, era stato soppresso da Mussolini nel •39). E' stato Arrigo Benedetti, l'altro erede di quella tradizione, l'inventore della formula dcìV Europeo, a raccontare una volta di un litigio aspro con Leo Longanesi, collocato su una posizione polemica e contestativa verso la Repubblica con inflessioni di destra protestataria (lui che aveva coordinato la propaganda antifascista da Napoli, fianco a fianco con Carlo Sforza e Alberto Tarchiani, nel regno del Sud, dove era riparato pericolosamente da Roma), a proposito della sua politica. . Benedetti era cresciuto, come Pannunzio, nella famiglia dcWOmnibus, ne aveva respirato tutti gli umori. La zuffa fu memorabile. «Ma come, era sbottato Benedetti, io, quando arrivai a Roma, ero un buon fascista, per il semplice motivo che conoscevo solo il fascismo. Ero vìssuto in provincia, a Imcca, e avevo poco pia di veni'anni. Venni a Omnibus. E fu lì accanto a lei e per sua suggestione che ho cominciato ad avere dei dubbi, e poi a fare la fronda, e poi a passare addirittura all'altra parte. Fu lei a spingerci lutti sulla strada dell'antifascismo e ora ci rimprovera di averla battuta fino in fondo». Benedetti aveva ragione. Jn realtà la storia di Longanesi è una storia in cui si riflettono emblematicamente tutte le contraddizioni dell'Italia dell'ultimo cinquantennio. La raccontano oggi per la prima volta due autori, Indro Montanelli c Marcello Staglieno, in un'opera, pubblicata da Rizzoli, ricca di documenti e di suggestioni: un'opera in cui là prevalente attenzione è concentrata sulla posizione problematica e dilemmatica di Longanesi davanti al fascismo e solo una trentina di pagine (su quattrocento) sono riservate a quella che i due autori — e uno dei due, Montanelli, sempre straordinariamente legato a Longanesi fin dagli Anni Trenta — definiscono «l'ultima avventura». A Milano, presentando giorni fa il libro dei due colleghi ed amici alla sala del Grechetto — un ambiente longahesiano per la sua misura e sobrietà — ho insistito sulla divisione di quell'arco dodicennale 1945-57 in due periodi: il periodo dell'editore in proprio, grande scopritore di talenti, straordinario innovatore del gusto grafico, che si separa da Rizzoli e costituisce una casa editrice tale da rivoluzionare gli indirizzi editoriali da posizioni di estrema minoranza e quindi da segnare una tappa nella storia del costume nazionale. Ben diverso dal periodo dell'isolamento, e della secessione. 1945-1950. Sono gli anni in cui Longanesi pubblica (e in gran parte sollecita o «inventa» a modo suo) libri come il Tempo di uccidere di Ennio Flaiano: uno scrittore del Mondo e intimo collaboratore di Pannunzio che gli resterà sempre fedele: «Posso compiangere, scriverà dopo la morte, chi non l'ha visto e conosciuto come me». E non solo Flaiano. Sono gli anni in cui Longanesi lancerà volumi come 11 cielo è rosso di Giuseppe Berto e la Fuga in Italia di Mario Soldati e / pensieri di un libertino di Arrigo Cajumi, altra colonna del Mondo, il laico che ammirava Giuseppe Ferrari e teneva sul comodino Voltaire (e che scrittore!). Quel periodo è il periodo più felice di Longanesi, e anche del sodalizio LonganesiMontanelli. E' il periodo che si riassume in un libro, comunque lo si voglia giudicare sul piano della critica storica, molto bello e ancora resistente a distanza di tanti anni: // ministro della buona vita di Giovanni Ansaldo. E' il periodo che si rispecchia nelle opere un po' provocatorie e dissacratrici scelte per la sinistra italiana: tutto Bertrand Russell, la riscoperta di Francesco Saverio Merlino, i Cinquanfanni di socialismo di Panfilo Gentile, che proveniva dal socialismo massimalista, gli Eroi e briganti di Nitti. E' il periodo in cui si esprimono intere, quasi scoppiano, trasferite dal settimanale al libro, la creatività, l'estro, l'imprevedibilità, l'eleganza, l'invenzione grafica di Longanesi. Quella sua capacità di colpire, attraverso l'immagine, la fantasia del pubblico, di cogliere, in una fotografia, il dramma di una generazione. ★ * C'è poi, dopo il '51-'52, il Longanesi immalinconito, immusonito, rinchiuso nella sua protesta «arrabbiata» contro tutto e contro tutti. Questo Longanesi segreto e quasi postumo a se stesso, al suo scintillio intellettuale, non è stato affrontato, e poni cause, da Montanelli e da Staglieno. In quegli anni Longanesi litigò con tutti, anche con Montanelli, che lo racconta in una nota sfumata e sobria del nuovo libro (una nota" che na: ,| sconde tutta la 'sofferenza''di' allora). Editore inconfondibile, parabola unica nella storia della cultura italiana di questo secolo. Editore nato dall'amore dei caratteri tipografici, un amore quasi struggente, in cui riviveva un fondò di malinconia elegiaca, il culto del passato ma mitizzato e trasfigurato. «Unico successore di Bidoni in Italia», si era autoproclamato in un biglietto da visita stampato con tanta insolita qualifica. Ricordo per esperienza personale dei tanti anni passati nel vecchio Carlino la «cassetta dei caratteri» riservata a Leo Longanesi negli Anni Trenta che era rimasta nella tipografia del quotidiano bolognese, ancora in via Gramsci, nel palazzo di stile littorio fatto costruire da Dino Grandi: estrema testimonianza dell'esperienza dell'Assalto, il «settimanale della Decima Legio» in mi il govanissimo iconoclasta di Bagnacavallo aveva iniziato, intorno al 1926, la sua opera di apparente apologeta e in realtà di caustico critico e col tempo implacabile demolitore della retorica fascista, pur nelle sue persistenti antinomie. Omnibus. Oggi. Una serie di finestre aperte sull'Europa e sull'Occidente, in tempi di dominante autarchia culturale, di invadente, oppressivo provincialismo: con nomi allora desueti o sconvolgenti, come Hemingway o Kafka. Un lancio unico per i giovani scrittori che avrebbero poi rappresentato la quintessenza della rivolta alla retorica fascista, i Moravia, i Brancati, i Soldati, i Parise, i Flaiano... Era nato artigiano e artigiano, rimase.. Faceva tutto da sé: "cdfne' editore.- Sceglieva i caratteri, disegnava le copertine, curava la diffusione, talvolta provvedeva a spedire i pacchi. Non sentì mai l'industria culturale, dalla quale fu largamente sfruttato, diversamente utilizzato e al momento opportuno spietatamente respinto. Missiroli lo chiamava un anarchico: e un fondo di libertarismo caratterizzò sempre la sua vita, solcata da tanti contraddittori balenìi c da tante oscillanti intuizioni. Forse il giudizio più esatto resta quello di Montanelli: «Era un uomo tris/e, che sghignazzava per non singhiozzare». Giovanni Spadolini Leo Longanesi: «... erano le ultime ore di vita del piacere pubblico...» (Da «Una vita», romanzo in 73 incisioni, ed. Longanesi)

Luoghi citati: Bagnacavallo, Europa, Italia, Milano, Napoli, Roma