I nostri soldi di Mario Salvatorelli di Mario Salvatorelli

Ma chi ci conosce? I nostri soldi di Mario Salvatorelli Ma chi ci conosce? Sappiamo tutti quale sia, c quanto pesante, il nostro «vincolo esterno», cioè la dipendenza del nostro Paese dalle importazioni. Su questo non si discute, anche* se, spesso, si trascura il rovescio della medaglia, rappresentato, per esempio, dal turismo, dalle rimesse degli emigrati, • anche da un certo movimen-' to di capitali, che dall'estero fanno affluire in Italia, in certi anni, più denaro di quanto ne rimettiamo noi per quel «vincolo». Un esempio, attuale, può chiarire le idee. E' previsto che nel 1984 gli Stati Uniti accuseranno un disavanzo commerciale, cioè una differenza, negativa, tra esportazioni e importazioni, prossima ai 2S0 mila miliardi di lire, anche per effetto del, «super-dollaro» che ha fatto: rincarare le loro merci sui mercati mondiali, e, contemporaneamente, ha fatto ri-, bassare le nostre merci, e quelle degli altri Paesi esportatori, pagate, appunto, in dollari. Ma Washington non s'impressiona più di tanto per questo passivo, perché sarà largamente compensato dai capitali che continuano ad affluire negli Stati Uniti, attirati dalle condizioni vantaggiose offerte su quel «mercato» a chi ha denaro da investire, in titoli di Stato, ma anche nel sistema produttivo. C'è un altro vincolo esterno, però, che a mio giudizio è altrettanto pesante, pur essendo assai meno giustificato. Parlo del «vincolo dell'informazione», in base al quale qualsiasi notizia proveniente dall'estero, solo per. questo motivo è giudicata, non solo interessante, ma tale da scacciare l'eventuale notizia, sullo stesso argomento, proveniente dall'interno. Non so se sia il caso di citare, a questo proposito, l'esempio della moneta cattiva che scaccia la buona, ma penso che lo sarebbe. Ultimo esempio del genere Io offre il rilievo con il quale alcuni giornali hanno pubblicato la classifica della «pressione fiscale», derivata da un recente studio dell'Ocse, l'Organizzazione per la coopcrazione e lo sviluppo economici del cosiddetto «mondo occidentale», e che, peraltro, è una preziosa fonte d'informazioni e di possibili raffronti intemazionali. La cosa curiosa è che, per calcolare la «pressione fiscale», cioè il rapporto tra il totale delle imposte e dei contributi sociali rispetto al prodotto interno lordo, non sono necessari studi particolari.-Infatti, se questa pressione viene misurata sui dati del 1983, ed è questo il caso, sono disponibili fin dal marzo scorso i dati ufficiali contenuti nella Relazione generale sulla situazione economica del Paese, ai quali hanno fatto seguito, a fine maggio, quelli della Banca d'Italia e, infine, i Conti degl'Italiani dell'Istat. Dà lutti questi dati risulta che la pressione' fiscale in Italia ha superato il 47 per cento del prodotto interno lordo, e il 49 per cento del reddito nazionale netto, che, in pratica, corrisponde al «pil», ma al «netto», appunto, degli ammortamene!. Invece, in quella classifica dell'Ocse risulterebbe che la nostra pressione fiscale sfiora, ma non raggiùnge,, il 40 per cento — esattamente, sarebbe il 39,90 per cento — del prodotto interno lordo. Una «pressione» che ci por¬ rebbe al decimo posto tra i Paesi più sviluppati del mondo, mentre, nella realtà, anche prendendo come rapporto il più basso tra i nostri «ufficiali», e cioè quel 47 per cento già indicato, ci spetterebbe addirittura il terzo posto, alle spalle dell'Olanda e prima del Belgio, lasciando isolata, in testa, la Svezia, con il suo 50,67 per cento. Se consideriamo il livello di benessere dei Paesi che ci precedono, ma anche di quelli che ci seguono, in quella classifica dell'Ocse, direi che ogni commento è superfluo. Può apparire però curioso che questa graduatoria, indirettamente, ma mica tanto, invitante a un aumento della pressione fiscale, appaia proprio in questi giorni. Per le vie d'Italia Chi ci conosce, invece, e ci aiuta a conoscerci, è la collana di volumi che il comitato Piemonte-Valle d'Aosta dell'Associazione italiana, per la ricerca sul cancro sta dedicando ai nomi, «illustri e sconosciuti», che appaiono sulle targhe stradali delle due regioni. Dopo il primo volume, su Torino, ne sono usciti in questi giorni un secondo, che lo completa, e un terzo, che spazia sugli altri cinque capoluoghi piemontesi e sulla «Vallèe». Una lettura stimolante, sotto la Frusta letteraria del torinese Giuseppe Barelli, e che ci porta dall'astigiano Giovanni Pastrone, produttore di Cabiria, che dopo 70* anni esatti (la «prima» è del 1914) è ancora un classico del cinema, all'abate Amé Gorret, di Valtournanchc, che organizzò la seconda scalata assoluta del Cervino (compiuta appena 70 ore dopo la prima, dell'inglese Whymper).e che mori cieco in un ospizio per poveri di Torino. La collana è mossa da un alto impegno morale, quindi non ne citiamo i promotori, né i collaboratori. Invitiamo soltanto a leggerla.

Persone citate: Giovanni Pastrone, Gorret, Whymper