Blam! Esplode la nostalgia

Blam! Esplode la nostalgia IN MOSTRA A NEW YORK L'ARTE AMERICANA DI VENTANNI FA Blam! Esplode la nostalgia Un'esposizione al Whitney Museum rievoca la Pop Art, il Minimalismo e la Performance: le glorie e i turbinosi scontri d'oltre Atlantico tra il '58 e il '64 - Dal culto dei rifiuti agli oggetti incollati sulla tela; dalle opere scandalose agli «Happenings» -1 cibi in gesso di Oldenburg e i monumenti alla merce di Lichtenstein o Andy Warhol - Dall'elettronica un soffio di creatività NEW YORK — // successo di cui l'economia negli Usa sta godendo sotto la guida di Reagan non pare avere un preciso riscontro nell'arte. In questa, caso mai, siamo in presema di una fase di riflusso, che più o meno corrisponde al cosiddetto postmoderno, e che porta al recupero del passato e delle memorie. Succede allora che in un simile clima, quasi da secondo -richiamo all'ordine- (sul tipo di quanto accadde circa mezzo secolo fa) la vecchia Europa riprenda fiato, e abbia insomma molte cose da dire. Per una volta tanto, si interrompe un trend, recente ma già largamente affermato, che vedeva gli Usa in un ruolo di leadership. Sono i modelli europei (recupero del colore, dell'immagine, seppure in forme strapazzate e fin troppo disinvolte) che hanno ripreso a condurre il gioco, anche, nelle gallerie di New York. E tocca allora agli statunitensi scoprire la carta della nostalgia. E' infatti nel segno della nostalgia che si pone la mostra forse più intrigante attualmente visibile a New York (fino olla fine di dicembre), al Whitney Museum, sede deputata alla difesa dell'arte d'oltre Atlantico. Conviene partire subito dal sottotitolo dell'esposizione, assai eloquente: 'L'esplosione della Pop. del Minimalismo e della Performance, 195S-64», ove anche è dichiarato l'intento di ritornare, appunto con ripiegamento nostalgico, a quell'ora di indubbia gloria, per gli Usa, interamente posta all'insegna dell'espansione, a differenza dell'attuale fase recessiva e di stanca. Quanto al titolo, esso inalbera un fumettistico e stereotipato Blam!, che è il modo di dire l'esplosione assumendo il linguaggio dei mass media, e della loro punta d'attacco, i fumetti ■appunto, introducendo^subito quel misto di adesione e di 'distanza ironica che caratterizzò almeno uno dei fenomeni maggiori indicati nel titolo, l'arte «popolare» per eccellenza, ovvero la Pop Art. E infatti il Blam! stesso è desunto da un dipinto di Roy Lichtenstein, il quale a sua volta lo desumeva dagli stereotipi •■popolari., come in un gioco di scatole cinesi. E del resto, tutta quella congiuntura nacque sul solco dell'improvvisa consapevolezza, da parte di artisti e intellettuali, che la tecnologia, i mezzi di produzione, erano assai ricchi di fantasia, di poteri inventivi, e elle conveniva quindi accoglierne la le-, zione, o quanto meno meditare su di essa. Il che, però, non comportava necessariamente un atto di resa, contrariamente a quanto qualcuno pensò e scrisse, allora. Anzi, i due primi interpreti di quell' «esplosione» (primi in via cronologica ma anche quall- tativa), gli ormai mittct Robert Rauschenberg e Jasper Johns, si posero in una situazione conflittuale. Per un verso, essi erano gli eredi del precedente grande successo della Scuola di New York. V Action Painting, ovvero 1' Espressionismo astratto. Riprendevano cioè le scariche rabbiose e vitalisticlie di energia già tanto care a Pollock, a De Kooning. a Kline, ma con la grande differenza che ora quelle vampate ad alto voltaggio-non riuscivano più a ingeiieriit bilio, dell'arredo urbano erano troppo cresciuti in volume, in ingombro fisico, in spessore, per poter essere liquefatti o volatilizzati in gas. Alla lettera, l'inceneritore (l'operazione artistica) ne restituiva i frammenti, magari mezzo carbonizzati, ma ancora tenaci e resistenti. La curatrice della mostra, Barbara Haskell, parla in proposito di una •estetica dello Junk», cioè di un culto dei rifiuti, degli oggetti residuali, belli del fascino dell' uso. delle tracce di un'esistenza fisica sedimentata. Più comunemente si ]>arlava allora, per le prove audaci di Rauscltenberg e di Johns, di un New-dada, cioè di un rilancio del vecchio Dadaismo storico, piuttosto nella versione molto fisica di uno Schwttters che in quella g sottUntente alle- '' mamp:^'^ ■ Iresidualétariza il tento di quella tenace presenta degli oggetti, i quali in realtà, in quel momento (fine degli Anni Cinquanta), stavano crescendo. L'inceneritore, ovvero, fuori di metafora, la vampata romantica, aveva perso la battaglia, nei loro confronti. Lo si vedeva bene nei combine paintings di Rauschenberg, dove infatti V aggressione cromatica delle pennellate in libertà si arrestava di fronte all'emergere degli oggetti incollati -tali e quali» sulla tela. E anzi la tela stava ormai stretta, a quella loro volontà di emergere, di darsi a passeggiate spaziali. L'arte rifiutava ogni finzione rappresentativa, e cercava dì conquistare lo spazio e il tempo nelle loro dimensioni -reali». Quanto a Johns, nelle sue opere più note e scandalose il sensibilismo del buon pittore si cimentava con talune forme vili e stereotipate, come per esempio l'immagine della bandiera a «stelle e strisce». Del resto, questo fu il dilemma generale, al giro di boa tra Anni Cinquanta e Sessanta: sintonizzarsi su una energheia. o su una folla di erga statici e inerti? O limitarsi a registrare il turbinoso scontro tra i due momenti? A fianco di Rauscltenberg e di Johns si ponevano decisamente coloro che diedero vita agli Happenings, che erano spettacoli dove appunto degli attort-inservicnti si frctffertmwno# mettere in -.Jipoto„enor>ni scontri tra lìtMiù'tMte'fiale plastico offerto dalla scèna urbana. Naturalmente, una mostra, tipico strumento al servizio delle arti dello spazio, incontra numerose difficoltà nel documentare quel tipo di ricerca, pur fondamentale (ideato da Allan Kaprow e coltivato da molti dei futuri protagonisti della Pop, come Claes Olenburg e Jim Dine). Essa deve chiedere aiuto agli altrettanto tipici accorgimenti grazie ai quali la realtà temporale degli spettacoli può essere documentata in una mostra, cioè ai pannelli fotografici e ai filmati (magari riversati su nastro e offerti su una rete di televisori). Quando poi, dopo il 1960, nasce ufficialmente la Pop, sembra che il conflitto si risolva a favore degli erga: /' oggetto-merce ha vinto, ricacciando gli impulsi vitalisticl nelle tenebre dell'Incori- scio. Eppure la tensione tra ! le due spinte è lungi dal placarsi, almeno nell'artista più rappresentativo di quegli anni, Oldenburg. La mostra al Whitney Museum ha il grande merito di ricostruire due -personali» cruciali in cui Oldenburg (di origine svedese ma divenuto cittadino a pieno titolo di New York) registrò come altrettante tappe di un distacco progressivo dall'energheia per rapprendersi nell' oggettualità. Si pensa ai due tempi di un'eruzione, che scorre dapprima come magma e poi si irrigidisce nella consistenza dura e abrasiva della lava, mantenendo però le tracce dei contorcimenti e delle tensioni originarie. Cosi, quando l'artista rifa in gesso i cibi e i dolci di un drugstore, non manca di immettervi una foga eccessiva \che finisce per esasperarli, come se un dio nascosto giocasse con le loro appareme banali, riscattandole. Altri invece, e sono forse i più tipici Pop, da Lichtenstein a Andy Warhol, Bob Wesselman, James Rosenquist, non hanno di questi problemi, ed erigono un monumento alla merce, proponendosi di riscattarla proprio attraverso la devozione del loro omaggio, che fa ricorso all'arma del gigantismo. L'ingrandimento è di per se stesso un effetto nobilitante, oper usare un termine tecnico, esso -strania», spinge le cose volgari fuori dai contesti abituali, ridando loro un potere di stupefazione. Il Blam! macroscopico dipinto da Lichtenstein, che funge ancfie da eponimo di tutta la mostra, illustra molto bene un simile meccanismo. Eppure /'energheia non era stata interamente sconfitta, dal temporaneo trionfo degli oggetti della scena urbana, anzi, stava preparando una sua rivincita sema precedenti, ovvero una -esplosione» quasi alla lettera. Ciò avvenne in due modi, pressoché opposti, ma dialetticamente coniugati, sempre in quei miracolosi inizi degli Anni Sessanta. Ci fu una modalità di esplosione, per così dire, -soffice», in segreta sintonia con l'avvento dell'elettronica. Si trattò del movimento che assunse il nome assai indicativo di Fluxus, e che appunto procurò dì far circolare un soffio di invenzione creativa attraverso tutti i canali comunicativi (per posta, per telefono, con mille oggettìni quasi impercettibili, senza trascurare l'uso stesso della televisione, cioè del più tipico congegno dell'età elettronica). E ci fu invece una modalità -dura», massiccia, ancora suggestionata dal primato della tecnologia meccanica, cui eresse una specie di monumento, monotono, ossessivo, ina proprio per questo suggestivo e toccante. Ecco così il Minimalismo, che nel 1964 (al chiudersi del periodo preso in considerazione dalla mostra) stava facendo i suoi primi passi, attraverso le immani -installazioni» di Bob Morris, Donald Judd, Dan Flavin, Walter De Maria. Renato Badili ; Claes Oldenburg nel suo «Emporio» allestito per una mostra a New York tra il 1961 e il '62 Lichtenstein: «Il frigorifero»