Scaccia, il «Burbero» è suo
Scaccia, il «Burbero» è suo Protagonista e regista di Goldoni, in «prima» nazionale al Carignano Scaccia, il «Burbero» è suo ' TORINO — C'era da aspettarselo che prima o dopo Mario Scaccia sarebbe ritornalo, in occasioni meno estemporanee che le cosiddette .estive», sul Gerontc del Burbero benefico di Goldoni già affrontato rapsodicamentc nel '76 e '79. C'era da aspettarse¬ lo, perché tra il ruolo e l'atto¬ re c'è una singolare, profonda affinità: sono ambedue degli intemperanti di buon cuore, dei generosi irascibili (le non dimenticate polemiche contro gli Stabili!), degli altruisti passionali. Ed eccolo, al Carignano. in prima nazionale, il terzo Geronte di Scaccia, 11 primo eh' egli forse sente davvero suo. perché della commedia ha curato anche l'adattamento e la regia (la produzione è del teatro Carcano di Milano). Non per far torto al suo impegno totale nei confronti di questa tarda (e minore) commedia goldoniana (andò in scena a Parigi, in francese, nel '71. estremo tentativo di un grande commediografo che sapeva d'aver perso in terra straniera la sua partita), ma a noi di Scaccia ha persuaso soprattutto la sottile prova di Interprete. Con questo vecchio rigido, tutto d'un pezzo, che sbraita per un nonnulla nella sua maniacale fissazione per un ordine, domestico e sociale, che intorno a lui 6 già franato (e gli scacchi, il gioco dell' ordine mentale per eccellenza, sono una metafora trasparente di questa sua nevrosi), ma per un nonnulla poi cede sul fronte dei sentimenti. Scaccia si confronta battuta dopo battuta, arcigno nelle sue smorfie di disgusto. poi. d'un tratto, sgomento per eccesso di tenerezza con quegli occhi sgranati sotto la bianca chioma: e basta vederlo in quello squarcio col servo Piccardo. atterrato con una manata, poi sollevato con trepidazione tutta paterna, protetto e remunerato generosamente, per apprezzare l'ironia con cui si misura col proprio ruolo. Meno mi persuade, invece, il suo progetto d'adattamento e la sua regia. Non ho nulla da eccepire a che la vicenda di Geronte e della sua dissestata famiglia sia trasposta nella Francia (o nell'Italia, che è lo stesso) degli Anni Venti del nostro secolo: è questo un periodo di ricorrente crisi della nostra borghesia, ed una storia di sper¬ pero e disastro famigliare ci sta a pennello: ma allora bisogna renderla più piena e plausibile, anche a livello dei fatti esterni, adattandoli a loro volta (non si mandavano più in convento a quell'epoca le signorine di buona famiglia, per citare solo un piccolo particolare). Ed anche la regia, cioè la direzione dei colleglli, non so se per colpa del colleghi stessi o del • maggior loro.. lascia qua e là a desiderare: perché è. in poche parole, incerta tra una media misura di realismo e ricorrenti tentazioni di gagliarde coloriture grottesche, ma finisce per non prendere partito né per l'uno né per l'altro modulo espressivo. C'è un solo attore che merita, a fianco di Scaccia, il nostro incondizionato consenso: ed è quel line caratterista di Gianfranco Barra, rampollo di un'illustre stirpe di figli d'arte, che disegna un flemmatico Dorval di cosi malinconica vaghezza, di cosi spaurito pudore da strapparci a scena aperta un paio di merltatlssimi applausi. I quali. In chiusura, furono molti e calorosi a Scaccia e all'intera compagnia. Guido Davico Bonino Singolare affinità fra l'attore e il suo ruolo di Geronte. Ambedue intemperanti di buon cuore. Ma egli persuade più come sottile interprete che come regista Scaccia per la terza volta è Geronte, vecchio tutto d'un pezzo
Persone citate: Gianfranco Barra, Goldoni, Guido Davico Bonino, Mario Scaccia, Piccardo, Scaccia
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