Monelli prìncipe della cronaca di Paolo Monelli

Monelli prìncipe della cronaca IL TESTIMONE DI UN'EPOCA: MEZZO SECOLO DI LIBRI E AVVENTURE Monelli prìncipe della cronaca Fu un protagonista del «mestieraccio» - Scriveva, come Orio Vergani, con leggendaria velocità - Le corrispondenze di guerra rimasero celebri quanto gli articoli letterari e di costume - Dagli alpini di «Le scarpe al sole», una delle più importanti testimonianze sulla prima guerra mondiale, a «Mussolini piccolo borghese» - Un purista della lingua italiana, che difese anche con polemiche Paolo Monelli era nato a Fiorano, 16 chilometri da Modena, nel 1891. Non aveva accento modenese, non era affatto un provinciale, ami era un giornalista poliglotta e cosmopolita come pochi in Italia, però questo fatto di Modena va detto, e che effetto farà a un lettore giovane, che magari Monelli non l'ha inai neanche sentito nominare? Oggi un lettore giovane a sentir dire *Modena* pensa ad Antonio Delfini (bravo scrittore, s'intende, ma un po' pompato dai critici fiorentini e romani, come il milanese Gadda: sono le mode del nostri tempi). Ecco, per spiegare chi era Monelli forse si può cominciare col dire che era tutto il contrario di Delfini, come un modenese può essere tutto il contrario di un altro modenese. A tutti e due piacevano molto le donne, ma Delfini era timido, Monelli no. A tutti e due piacevano le avventure, ma Delfini era un sognatore, Monelli era un viaggiatore e un soldato. Delfini era sempre stato in casa, attaccato alla mamma, non ai>eva mai preso in mano un fucile ed era arrivato una i>olta sola fino a Parigi. Monelli aveva girato tutto il inondo, era tenente colonnello della riserva con due guerre mondiali alle spalle e medaglie d'argento al valore nel cassetto. Il suo libro migliore, forse, resta Le scarpe al sole. Cronaca di gaie e tristi avventure d'alpini, di muli e di vino. E' del 1921 e a Qualche lettore giovane, antimilitarista, pacifista, potrà splaccrc. Ma si ristampava ancora negli 'Oscar- Mondadori nel 1973 e, a parte il successo, resta veramente un libro tmportantefraquelll che' 'Si "stWC scttrtr-sulla- prima guerra mondiale (s'intende, nel filone opposto a quello di Remarque, di Niente di nuovo sul fronte occidentale). A tutti e due piaceva mangiare e bere bene, ma per Delfini questo restava un aneddoto di vita privata, per Monelli fu lo spunto a inventare un genere letterario. O.P. Ossia il vero bevitore è un libro di Monelli del 1963 (con disegni di Novello), ma Il ghiottone errante. Viaggio gastronomico attraverso l'Italia (sempre con disegni di Novello) è del 1935. Il filone del giornalismo «alla ricerca dei cibi genuini», che i giovani credono abbia inventato Mario Soldati, l'aveva inventato Paolo Monelli messo secolo-fa. E, sem^'teppr procedere a-colpi-dl ptri^àni-;Styh' dati ha scritto un libro"Sullo scopone nel 1982: Monelli arerà scritto un saggio fondamentale sullo scopone trent'anni prima, nel 1950. Chi ha conosciuto Paolo Monelli non troverà (rn'rerente che per dare un'idea del suo stile si citi solo questa sua frase: «Lo scopone è un gioco severo e serio, oltre che fonte di commozioni iortlssime; è un gioco per uomini, uomini veri, non per fannulloni o frivole donne o gente che con le carte vuole arricchire o pagare il pedaggio per essere ammessi nella buona società. E conoscere lo scopone è uno di quei presupposti Invisibili e necessari della scienza della vita, come conoscere il latino, saper leggere un orario, saper caricare un mulo, nuotare cento metri, e slmili, che fanno 11 carattere; e magari stanno inutilizzati per anni finché viene il giorno che te ne servi per salvarti l'anima o crescere di grado in carriera». A questo punto i lettori giovani, sinceramente democratici, diranno: .Oh ecco! si sente! Monelli era un dannunziano e un fascista!.. (mentre, s'intende, Delfini era antifascista e surrealista). Monelli, dannunziano no, perché la sua generazione aveva già smaltito il dannunzianesimo; la sua era semmai la generazione di Hemingway. Monelli, fascista, si, per forza, un po'come quasi tutti. Da qualche anno queste cose si possono dire, ancìie se le si dice ancora a bocca storta. Ma non diciamo che era un antifascista Delfini! Delfini era un impolitico, arrivò a inventare un partito «comunista conservatore». Sembrerebbe una barzelletta se poi Enrico Berlinguer non allesse parlato del pei come di un partito che doveva essere «rivoluzionarlo e conservatore». A differenza di Delfini, Monelli era un uomo politicamente lucido e intelligente. I giovani potrebbero leggere due libri suoi che ancora si ristampano, Roma 1943 (che è del '45) e Mussolini piccolo borghese (del '50). Libri di una lucidità e di una intelligenza impastate di rimorsi quanto basta. Ultimo particolare, ultimo confronto, Monelli era un alpino come il suo amico fraterno Noi'ello, mentre Mussolini e Starace erano bersaglieri. Un'osservazione del genere oggi può sembrare assurda, stupida, offensiva. Non vogliamo offendere nessuno, vogliamo solo raccontare cosa significavano certe parole o certe divise. Ancora qualche decennio fa per i ragazzi alpini-bersaglieri era una questione di stile, di scelta sportiva, come marina-aviazione, Bartali-Coppi, Milan-Inter. Per i letterati stessi era questione di due opposte visioni del mondo, fu alpino Piero Jahier e decise di far da alpino la sua ultima guerra Giuseppe Bottai. Ma poi non ci importa più che tanto discutere coi giovani lettori per cercare di spiegargli che uomo fosse Paolo Monelli e che uomini fossero quelli della sua generazione e di qualche generazione appresso. Forse i giovani lettori hanno altro cui pensare. Certo non pensiamo di raccomandare ai giovani di leggere le opere narrative di Paolo Monelli (per esempio Sessanta donne e Avventura nel primo secolo, del '47 e del '58: sono libri che probabilmente non leggerà più nessuno da qui alla fine del mondo). Ci importa dire che Monelli è stato un grande giornalista. Quando Hemingway racconta certe storie che succedevano sulle coste dell'Egeo nel primo dopoguerra uno si sente spiazzato perché la storia universale certe guerre secondarie non le racconta. Quando Monelli raccontava certe storie che suc¬ cedevano in Slesia nel primo dopoguerra uno si sente non diversamente spiazzato e legge storie non diversamente romanzesclie, raccontate non meno bene. Paragonare il Monelli giornalista allo Hemingway giornalista può sembrare esagerato e pericoloso, ma è un paragone che hanno già accennato altri e scommetto che nell'alto dei cieli questo paragone fa piacere anche a Hemingway, non solo a Monelli. In particolare Monelli fu un giornalista che stava molto attento a tutte le regole del •mestieraccio» ('Questo mestieraccio, riferito al giornalismo, è il titolo di un suo libro del 1930; i giovani lettori no, ma i giovani giornalisti si, farebbero bene a leggerlo). Sapeva essere sveltissimo ma stava molto attento a come scriveva. Era un giornalista di leggendaria velocità, come un Orio Vergani, ma se poteva, se il mestieraccio gliene lasciava il tempo, Monelli poi rileggeva, correggeva e riscriveva con grande cura quello che aveva buttato giù di getto. Monelli amava la lingua italiana come può amarla solo chi non sia fiorentino. Fin dal 1933 aveva pubblicato un libro, Barbaro dominio. Cinquecento esotismi esaminati, combattuti e banditi dalla lingua italiana con antichi e nuovi argomenti, che ebbe diverse edi■zioni fino al 1957. Monelli fu un personaggio di rilievo nelle polemiche linguistiche degli Anni 30-40, in polemica con Giulio Bertoni (ancìie lui modenese, e c'era fra i due un sottofondo di antipatia personale). Ancora una volta i lettori giovani (quelli molto colti) scuoteranno la testa: Monelli «purista ingenuo»/ Ragazzi, calma. Tutte le polemiche linguistiche degli Anni 30-40 fanno ridere, oggi (alcuni ridevano già allora). Ma quel che scriveva Monelli fa ridere molto meno di quello che scriveva Bertoni. Monelli era un giornalista e non un professore. La rubrica di dubbi linguistici che tenne sulla Gazzetta del Popolo (da cui usci pari pari Barbaro dominio) fu una rubrica di enorme successo. E un passo più in là, tra parentesi, dalla linguistica alla critica letteraria, Monelli fra le tante cartucce al suo fucile aveva anche quelle di una buonissima critica letteraria. Nel libro intitolato Ombre cinesi, sottolitolo «Scrittori al girarrosto», ci son dei ritratti di Moravia e di Montale, di Buzzati e di Comtsso come non ne scrive più nessuno. Chi andrà a leggere il ritratto di Gadda vedrà ancora una volta l'importanza del fatto die ancìie Gadda fosse un ufficiale degli alpini. L'ultimo articolo di Monelli deve essere stato del gennaio del '78, sul Corriere della Sera. Già negli anni precedenti scriveva poco. Attorno al '78 Monelli scrisse al Corriere una modesta lettera, come lettore, che fu pubblicata appunto fra le lettere dei lettori. Il Corriere aveva dato in prima pagina un titolo a sette colonne dove si parlava di un «killer». Scriveva sommessamente Monelli: «In italiano killer si dice sicario». Naturalmente è un episodio che allontana sempre più l'immagine di Monelli, la fa sfumare in un tempo perduto, preistorico. Oggi killer è registrato anche dallo Zingarelli. Ma sapere che è morto l'ultimo vecchio signore col monocolo che scriveva •sicario» anziché «killer» ci dispiace tanto. Giampaolo Dossena Milano. Paolo Monelli a un Premio Bagnila. Per lunghi anni era stato invialo della «Stampai)