Drogati da legare?
Drogati da legare? Drogati da legare? GIANNI VATTIMO Nel processo in corso contro il «patriarca* di San Patrignano, Muccioli, che usava e usa, nel ricupero dei tossicodipendenti, sistemi che violano elementari diritti di libertà (l'accusa parla di violenza privata e sequestro di persona), si mettono in campo molti argomenti a difesa. Uno, intorno a mi sembrano ruotate tutti gli altri, è quello che fa appello allo stato di necessità: se vedi uno che si butta dalla finestra, lo fermi anche contro la sua volontà, e non è certo un reato. Ma — a parte il fatto che anche il suicidio dovrebbe essere un diritto — non è così evidente che drogarsi equivalga sempre a suicidarsi; chi lo dice, pensa che comunque, anche quando non si muore fisicamente, la vita con la droga equivalga a una morte «civile» e «morale». Ma qui il discorso si fa molto pericoloso: non tocca allo Stato né ai tribunali, e nemmeno alle famiglie, decidere che cosa, per ciascuno di noi, è il senso vero e positivo della vita. Nessuno di noi vuole essere mantenuto in vita a tutti i costi, anche con la forza, per significati e scopi sui quali non può decidere lui stesso. A ben vedere, anche l'argomento che giustifica l'uso della violenza e della coercizione verso i drogati in base alla tesi che essi, in quanto schiavi della droga, non possono decidere davvero liberamente del proprio stesso interesse, si riduce a questo: poiché — ma lo sappiamo noi — la droga è male e morte, chi la cerca non la può cercare per scelta libera, dunque siamo autorizzati a sostituirci a lui nel decidere. Al fondo di tutto questo dibattito, pelò, sta un fatto molto più vasto e preoccupante: la violenza dei metodi di San Patrignano, se anche urta contro norme detetminate del codice, si inquadra però perfettamente (e può apparire perfino «giusta»: à la guern comme à la guern) nella violenza che caratterizza tutto il «pianeta droga» e anche la politica delieistituzioni verso il problema. Le istituzioni si comportano con i drogati come fino a poco tempo fa con i matti: li legano, in vari modi ma anche alla lettera, come si vede ora da questo processo. Ciran parte degli orrori che riempiono l'esperienza della droga, sono conseguenze del proibizionismo, sulla cui necessità (in un modo che, con tutto il rispetto per la buona fede di molti, dà da pensare) concordano famiglie, moralisti, medici, sacerdoti — e la mafia. Se la droga si vendesse liberamente, si potrebbero dedicare all'assistenza e al ricupero dei drogati tutti i fondi e le energie che si spendono ora, inutilmente, per proibirne lo spaccio. Si dice che liberalizzando la droga si eliminerebbe uno dei più potenti incentivi che spingono i drogati a cercare di venirne fuori; ma forse, e più efficacemente di ora, si toglierebbero molti fattori di violenza, e tutta quella «demonizzazione aggiuntiva», che oggi rendono tragicamente vera la, niente affatto necessaria, equazione tra la droga e la morte.
Persone citate: Muccioli
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