Alla ricerca della cucina sapiente di Franco Giliberto

Alla ricerca della cucina sapiente Congresso a Venezia sulla buona tavola italiana, nell'immàgine e nella realtà Alla ricerca della cucina sapiente Attenzione alla moda delle grandi novità: la fantasia ha un limite - Approfondire la valorizzazione delle ricette tradizionali, alle radici della nostra storia - Una sconfitta per Napoli: la patria della pasta è Genova, fin dal 1200, quando esistevano già le prime confraternite di artigiani pastai - Le insidie del computer DAL NOSTRO INVIATO VENEZIA — Fino a vent' anni fa, quando ancora eravamo nel nostro primo boom economico, alla domanda: «Dove ci si ferma a mangiare?!', c'era sempre qualcuno che rispondevi'.: «Fermiamoci li, in quella trattoria dove sostano i camionisti, Se ci vanno loro, vuol aire che si mangia bene!". E non era quasi mai vero: in quei posti si poteva mangiare sicuramente .molto», ma assai raramente •bene... I postumi di una fame antica — e forse anche l'esiguità del portafoglio — continuavano a farci perdere di vista le potenziali raffina- tezze gastronomiche del Bel Paese. Però ci saremmo riscattati in fretta: dagli Anni Settanta in poi, l'escalation della buona cucina italiana è stata inarrestabile, pur se sono parallelamente aumentati i pericoli di una neo-degenerazione culinaria, vedremo di quale tipo. Si ragiona di queste cose in riva al Canal Grande, nelle sontuose sale di Palazzo Orassi. Il congresso si intitola «La cucina italiana d'oggi, nell'immagine e nella realtà' e sin dalle battute iniziali Giovanni Nuvoletti Perdomlni (presidente dell'Accademia italiana della cucina) fa intendere che una battaglia è in corso; ammonisce che è indispensabile la difesa dell' onestà e della bontà di una «tavola sapiente». Relazioni filosofiche, storiche, gastronomiche in senso stretto, nella prima giornata congressuale hanno fatto da supporto a questa raccomandazione. Ma vediamo prima di tutto i pericoli individuati dagli esperti. Il computer potrebbe essere il nemico numero uno, spalleggiato da una sua diabolica sorellina, la chimica piegata alle esigenze dell'industria alimentare. Al «Plaza» di New York (esemplifica Massimo Alberini nella sua relazione) già anni fa si era passati da un menù con venti voci effettive a una lista ancora ricca, ma infingarda, composta soltanto da cinque voci, elasticamente adeguate alle innumerevoli richieste dei clienti. Il computer aveva accorpato gusti di cibi, suggerito accostamenti, indicato fredda¬ mente le scomposizioni possibili del piatti da servire grazie a un'unica e sempre uguale dispensa gastronomica: il cimitero della fantasia. Sarà un cimitero affollato di molti altri valori se dal computer passeremo ai cibi sintetici, alle alghe marine spacciate per bocconcini prelibati. Da tempo sono sbarcati in Italia gli ambasciatori degli hamburger, i sostenitori del fast food ed effettivamente stupisce che sotto il nostro cielo prosperino locali coloratissimi dove si mangiano frettolosamente quelle che, ai margini del congresso, sono state definite «schifezze., ma in senso buono perché è stato riconosciuto che si tratta pur sempre di cibi, anche se assurdamente maltrattati e irrorati da indescrivibili soft drinks. Nulla è perduto tuttavia, se è vero come è vero (relazione del professor Folco Portinaro che il «bisogno» di mangiare ormai si è tramutato in «desiderio». Siamo tranquillamente passati dalla funzione na- turale al peccato e il peccato altro non sarebbe che la trasformazione in «piacere» della «necessità». Come dire che il filone della raffinatezza non è esaurito se continuerà a funzionare — quattrini permettendo — la molla del capriccio gastronomico. Bisogna però intendersi sulla qualità di questo capriccio. Può essere anche retro, se non si perderà la memoria dei saporosi piatti del buon tempo andato — suggerisce il Congresso veneziano — se continueranno a incuriosirci le sorprese che provengono da accurate ricerche storiche, se sapremo denudare le «radici» culinarie della nostra terra. Radici profonde, se si pensa poniamo, che nel 1200 a Ge-iova c'erano le confraternite del «fidelari», dei «lasagnari» e dei «macheronarl», cioè dei primi artigiani della pasta, approdata a Napoli soltanto nel 1600. In una terra come la nostrakrlcca di buone tradizioni profumate, se ha pochissimo senso il «fast-food>. non sembra aver molto più successo nemmeno la nouvelle cuisine, di importazione francese. A Palazzo Bassi è venuto a parlarne Henri Gault, padre fondatore nel 1973 di quella filosofia gastronomica che libera i cuochi dal rispetto di consolidate regole e permette loro di sbizzarrirsi a volontà. Con risultati a volte paradossali e «sacrileghi» — ha riconosciuto lo stesso Gault — perché abbiamo assistito ad accostamenti schizofrenici di gusti e cibi: dolce-salato, duro-molle, pepato-mieloso, croccante-gelatinoso ecc. L'esperto francese non ha ripudiato, ovviamente, la sua invenzione. Ha soltanto lanciato l'idea di un mutamento di etichetta (.cucina aperta» oppure «cucina liberale», anziché .nuova cucina») come se uno slogan, da solo, potesse aver peso tra i fornelli dei ristoranti. Sembra assurdo quel che è capitato in questi ultimi anni con la .nouvelle cuisine», movimento che avrebbe dovuto generare una specie di perpetua dipendenza:dagH>schemt francesi, dice Vincenzo Buonasslsi. E aggiunge: «Noi preferiamo parlare di cucina 'moderna, di cucina italiana moderna. Quella, che sta affeftnandosi in Italia e nel mondo con una ricchezza creativa che non si ferma più, che non si'riallaccia soltanto alle tradizioni regionali, ma si rifa anche agli splendori del passato, alla civiltà italiana del Rinascimento, radice di tutta una grande evoluzione europea*. Già, ma i pericoli stanno anche dentro allo slogan «aggiornamento nella fedeltà» come faceva capire Giovanni Nuvoletti all'esordio. Perché una fantastica «pasta e fagioli alla veneta» ridotta a •flan» per questioni di misura oppure le trenette al pesto ridotte a «mousse» possono rimanere gustose ma saranno irrimediabilmente snaturate. Chi avrà il coraggio di polverizzare la cotenna? Di atomizzare il rosmarino, i pinoli, il basilico? Franco Giliberto

Persone citate: Folco Portinaro, Gault, Giovanni Nuvoletti, Henri Gault, Massimo Alberini, Vincenzo Buonasslsi

Luoghi citati: Genova, Italia, Napoli, New York, Venezia