Pei: grattacieli come bambù di Furio Colombo

Pei: grattacieli come bambù INCONTRO CON IL GRANDE ARCHITETTO CINOAMERICANO Pei: grattacieli come bambù Nato in Cina, autore dell'ala moderna della National Gallery di Washington e di altre opere che hanno segnato l'America, conquista Pechino: ha creato il primo albergo di lusso dopo l'austerità - E ora costruirà a Hong Kong l'edificio più alto e audace del mondo Della sua famosa piramide trasparente per il Louvre dice: «E' una scommessa durissima» - «Il postmodernismo è un malessere» NEW YORK — Molti architetti assomigliano al loro lavoro. Nel caso di I.M. Pei, l'autore di opere che hanno segnato l'America, come la Natlotial Gallery of Art di Washington e la Kennedy Library a Boston, la somigliamo è profonda, ma non è questione di gesti, giacche o cravatte. E' il modo di ragionare, la conversazione festosa che però si aggancia a dichiarazioni nette, sema ripensamenti, a giudizi definitivi. L'America, che adora il successo, lo celebra. E' facile celebrare un uomo con il sorriso contagioso di Pei. Mi domando se il suo esordio sia stato facile, in un'America che nel grande fondale de/la sua storia fa spazio per tutti' ed è pronta a ricevere ogni talento. Ma nella vita quotidiana ha maglie strette e ruvide, passaggi non facili, per esempio per un giovane nato in Cina, che si chiama di primo nome Ieoh Ming e che non sembra aver mai fatto 7iiente per travestirsi da tipico americano. Ha cominciato insegnando ad Harvard ed è passato subito al lavoro e al progetto, fino a diventare un maestro dell'architettura contemporanea. E' l'uomo che ha disegnato la National Gallery di Washington, la Kennedy Library, che ha ridato un volto alla vecchia Boston, che sta lavorando a quella parte di Manhattan che è stata recuperata dall'acqua (la zona che una volta si chiamava la -Battery» e che adesso prenderà il nome dal nuovo -Convention center»). Ma di lui adesso si parla perché Ita costruito in Cina, a Pechino, il primo albergo di lusso dopo un lungo intervallo di austerità. Perché sta per costruire la Bank of China, nell'Isola di Victoria a Hong Kong, e sarà il grattacielo più alto e la forma più audace fra i grattacieli finora costruiti nel mondo. E anche perchè il lavoro che ha appena iniziato e che lo terrà occupato per cinque anftl èli rifacimento del Louvre, a Parigi, un'opera che alcuni giudicano una provocazione, altri una rivoluzione e altri ancora un tocco di genio. Lungo il colloquio incontriamo un argomento die lo imbarazza e lo infastidisce, il -post modernismo». Pei non ama le stroncature, non ama le polemiche e non fa nomi. Ma la sua opinione è netta: .11 post modernismo è un malessere. Consiste in uno stato di depressione, nel credere che non si possa fare più nulla di grande. Questa depressione si trasforma poi, per compenso, in un'euforia frivola. Manciate di orna- nienti" imitati' dal "passato vengono sparse su costruzioni prive di ragione e di Ispirazione, pensando che faranno allegria e aiuteranno 1 a vivere. C'è una motivazione giusta: cercare 11 passato. Ma c'è un grosso problema: conoscere il presente. Chi lo conosce poco cita male dalla storia, anche peggio dall'ambiente che lo circonda-, i4rrit'iomo all'argomento >città<. al delicato rapporto fra architetto e urbanista, fra il costruire le case e il governare le comunità. Incontriamo l'oggetto classico del paesaggio americano, il grattacielo, la torre. Come giudica questa ossessiva crescita in atto? «CI sono aspetti naturali nella crescita in alto di New York e di altre città americane, e ci sono tratti straordinari di identità. Ma temo che andremo più In alto e aumenteremo la densità e che tutto ciò sia più nell'interesse di alcuni costruttori che in quello della città. La capacità di imporsi dei più vitali è un tratto tipico dell'America. La mancanza di piani, di controlli, di regole, di coordinamenti, di una mediazione politica fra cittadini e costruzioni, mi piace un po' meno». Perché l'America non ha piazze? rVanno In fretta, spiega, perché cosi vuole la morale protestante e la tradizione del laverò e del buon risultato. Il risultato si celebra dopo, ciascuno nel suo territorio, nel ritorno a casa, nella dilatazione del fine settimana. Mai in città. Se-dersl e fermarsi per lord non è la cosa giusta, è perdere tempo. E' naturale che non abbiano Piazza Navona». Il suo capolavoro di mediazione fra la città e gli individui è forse la parte nuova (la sua) della National Gallery a Washington. Il numero di visitatori è talmente alto che è nato subito il sospetto che molti non vadano alla Gallery per vedere le opere d'arte. .Ma questo, dice, mi sem¬ bra giusto. In una città come Washington, In cui la gran I parte del visitatori non abita e a volte non si ferma neppure una notte, volevo creare un punto di incontro e di sosta, un club popolare. La gente si guarda intorno, si slede, respira. Prima o poi noterà le opere esposte. Intanto ha trovato un punto di riferimento, nella città, una attrazione personale e privata. Non è bellissimo?». Quando un uomo, a meno di sessant'annl, ha lasciato una impronta cosi vistosa nel modo di costruire, anche una domanda banale serve a provocare una confessione. Qual è l'impegno più difficile finora affrontato? Pel senea esitazione risponde: «La Kennedy Library. Doveva essere un monumento, li monumento da erigere a un coetaneo e a un amico. Come fa chi gli è stato vicino e ha" vissuto il suo tempo, a raccontarlo e a celebrarlo? Non c'è distacco e c'è affetto, non c'è prospettiva e c'è partecipazione. Come potevo fare? E poi, mentre lavoravo, 11 tempo passava, la gente cambiava, il clima politico e culturale diventava diverso. Chi era amico voleva di più e chi non lo era voleva dimenticare. La mia decisione è stata di costruire spazi di meditazione, di rivisitazione e di attesa, dove ciascuno potesse andare in cerca del suo senso della storia. Niente statue, una sola bandiera, e poi tanti percorsi quanti sono stati 1 temi, 1 problemi, gli eventi di quel periodo. Andate là, guardate, prendete tempo, pensateci e decidete. Questo è un edificio per riflettere. Io ho cercato di offrire un ponte alla storia. E' stata la cosa più difficile della mia vita». Più difficile che essere chiamato a costruire un albergo di lusso in Cina? Alza le mani in alto. «Volevano un grattacielo In' mezzo a Pechino, fra la Piazza della Pace Celeste e la Città Prof bita. Volevano un oggetto nuovo ed estraneo accanto a una collezione di oggetti profondamenti diversi. Pechino è una collezione di artefatti. Io non me la sentivo di • aggiungere un pezzo a quella collezione. La mia risposta è stata: No, se volete un albergo lo avrete orizzontale. Verticale no. E non dentro la città. Quando hanno visto che ero ostinato, mi hanno offerto una collina e molta terra. Potevo costruire il mio albergo. Ma come, quale, con quale linguaggio? Mi è sembrato di scoprire che in Cina tutti 1 linguaggi tradizionali sono morti e se¬ polti: le dinastie, 11 lusso, I templi, 1 palazzi. Che cosa resta? Resta la casa, piccola, schiva verso l'esterno, aperta sul giardino, semplice e disegnata da abitudini secolari. Ecco, quella, per l'hotel di Pechino, è stata la mia ispirazione. I regimi come quello cinese amano 1 monumenti. Il mio non era un monumento. CI hanno messo del tempo ad abituarsi Diversa, molto diversa, lui dice, è la questione della Bank of China. «Hong Kong è una citta occidentale modernissima e 1 cinesi Intendono mantenerla cosi e anzi svilupparla quando fra pochi anni sarà parte della loro repubblica. Resterà una finestra. Questo è 11 mio primo riferimento. Il secondo è che lo sviluppo verticale è 11 solo concepibile a Hong Kong. Il terzo però è di nuovo la tradizione. Per spiegare il mio progetto ho usato la metafora del bambù. Crescendo diventa più esile, ma resta robusto. Questa è la torre che intendo costruire a Hong Kong». Non tutti però sono pronti a celebrare il progetto che I. M. Pel ha preparato per il Louvre a Parigi. «Il Louvre parla un linguaggio coerente, vivo. Non puoi toccarlo. Ma non è un musco, è solo un edificio splendido che ospita collezioni d'arte di non facile accesso, scomode e disordinate per i visitatori. Non si deve toccare il palazzo, si deve rifare il museo. Ma siamo in mezzo a Parigi, alla Francia, alla storia, in uno spazio urbano essenziale che deve essere aperto e accessibile di giorno e di notte. Io ho chiesto quattro mesi per pensarci, e ogni mese me ne andavo per conto mio a Parigi, senza dirlo a nessuno. Metà del tempo lo passavo a osservare 11 palazzo. L'altra metà In biblioteca a studiare la cultura francese. Tre punti sono gradatamente diventati chiari per me. Non si tocca e non si manipola 11 passato. Un museo di massa è una cosa diversa da un palazzo e l'identità Immaginata finora fra palazzo e museo non esiste. L'intervento deve essere insieme lieve e profondo, non deve toccare ciò che è già costruito e deve avere quella stessa geometrica precisione che è il punto d'appoggio della cultura francese». Pei ita allora proposto la famosa piramide trasparente che sorgerà al centro del giardino, indipendente da ciascuna parte dell'edificio, e porterà i visitatori in uno spazio sotterraneo dove il museo si presenta, si spiega, si coordina e dove tutti possano andare rapidamente nella direzione che loro interessa. Risalendo al piano terreno ed entrando in contatto con l'edificio Louvre lo troveranno intatto, ma il nuovo spazio, dalla piramide di accesso ai camminamenti e alle scale mobili sotterranee, avrà reso semplice una realtà che prima era autoritaria e remota. Lo capiranno i francesi? «Un progetto come il mio non può che avere un certo numero di nemici. Mitterrand ci ha pensato un po' prima di dirmi "proceda". OH scavi sono già cominciati. Tocco la terra intorno al Louvre come si tocca un giardino e propongo le stesse forme nitide e precise del paesaggio urbano francese. E' una scommessa durissima». Gif chiedo se tutto è stato approvato, se la resistema francese sì è arresa, se la piramide del Louvre può considerarsi cosa fatta. Risponde sottovoce, delicato e tenace, come il bambù che mi ha appena descritto: «Niente è fatto finché non è finito. Cosi è In architettura, c cosi è nella vita». Furio Colombo CosI, secondo il progettò dell'àVchltettoPcl, sorgerà a Hong Kong il grattacielo più ardito del mondo I.M. Pei (foto di Evelyn Hofer)

Persone citate: Evelyn Hofer, Kennedy Library, Mitterrand