Fanfare d'amore

Fanfare d'amore STORIE DI GENTE DELL'ALTOPIANO Fanfare d'amore La vecchia caserma sta crollando; era stata ricostruita sulle macerie della Prima Guerra mondiale e generazioni di alpini lì avevano prestato servizio. Ultimi, in ordine di tempo, furono gli artiglieri da montagna con i loro muli, gli obici someggiati, le marmitte "da campo, Ta paglia: cose che . sembrano antiche ora che i satelliti girano nello spazio at. torno alla Terra, e con una certa malinconia viene il confronto di quando mio nonno in quella caserma era acquartierato ai tempi di Umberto I. Suo padre, il Disnonno, era ritornato al paese nel 1866 dalla Pretura di Portogruaro dove ; era stato giudice dell'I. R. Governo austroungarico; non volle riprendere servizio sotto il Regno d'Italia perché aveva prestato giuramento a Francc'sco Giuseppe e così preferì avviare i figli negli antichi commerci. ■ La casa dei miei era a trecento metri dalla caserma e mio nonno, caporal maggiore di Stato Maggiore, dirigeva la fanfara del battaglione. Aveva anche composto delle marce, e commovente fu la sorpresa quando durante la mia naia il maresciallo maestro di banda fece suonare un pezzo che portava il suo nome e la data del 1884. Chissà ora dove saranno andate quelle note. Per l'aria dei monti, nel ciclo, nello spazio dove nulla va perduto. ★ * ■ Quand'ero ragazzo mio nonno mi raccontava di queste cose, del suo servizio di leva che durò tre anni, del suo cappello a bombetta con la penna diritta dentro la nappina verde del battaglione Va' Bratta, dei gradi che dai paramani salivano a ghirigori lungo la manica oltre il gomito, delle nappe e dei cordoni di seta sulle spalline, delle ghette; ma so prattutto della sua tromba lu ccnte e squillante. Alla mattina di buon'ora quando i plotoni attraversavano il paese per andare in mar. eia lungo i confini o al Prà del Bersaglio per i tiri e ancora, tranne i fornai, tutti dormivano, passando davanti alla itasa della sua innamorata spalancava la porta c a tutto fiato dava «re squilli di tromba'che facevano tremare i muri. E poi via allegro con la sua fanfara a far suonare nelle prime luci dell'alba quell'aria del Don Giovanni di Mozart che poi divenne «Sul ponte di Bastano là ci darmi la mano». Ogni mezzogiorno sua sorella, che allora aveva diciotto anni, gli portava in caserma il pranzo da casa; entrava tranquilla e la sentinella salutava. Ma un giorno un soldato nuovo osò importunarla con un fischio seguito da un lazzo pesante; gli altri soldati sospesero per un attimo di mangiare il rancio, mio nonno non disse una parola ma i suoi occhi erano molto eloquenti; e il giorno dopo quel soldato partì per la guarnigione della caserma difensiva sul monte H internici» (che vuol dire «dietro le spalle» e che ora è conosciuto come Monte Interrotto!). Anche questa caserma difensiva è diroccata, e per le cannonate della Grande Guerra e per i tiri a proietto delle esercitazioni che ne facevano bersaglio attorno agli Anni Trenta. Questi ruderi i gitanti e i turisti li credono resti di un castello medievale e i ragazzi che vi arrivano in motocicletta forse vi fantasticano su chissà che storie. Invece non c'è più niente: cespugli e boschi che ricrescono sulle macerie e queste parole che risalgono dalla memoria dopo che ho visto la caserma degli alpini in demolizione. ★ * Un giorno, mi raccontava mia madre, forse era successo nel primo inverno del XX secolo, un reparto di alpini in perlustrazione verso la frontiera si perse nella tormenta. Non rientrò nel tempo previsto c tutti in paese furono in allarme: forse gli alpini erano sconfinati e i gendarmi austriaci li avevano presi, o avevano trovato rifugio in qualche malga, magari si erano invece fermati in un'osteria della Val di Sella a bere con i doganieri che loro ben conoscevano per storie di contrabbando. 0 erano finiti sotto una valanga? Così partirono alla ricerca 1 compaesani esperti di confini Cerche contrabbandieri, i caronai che conoscevano ogni angolo delle intricate distese di pino mugo e i soci del Circolo Alpino ricolmi di amor patrio. Dopo tre giorni di ricerche li trovarono in mezzo alla neve che continuava a vorticare dal mulino del ciclo; il plotone aveva trovato rifugio in un baito di pastori (naturalmente i pastori erano giù per le basse) ed erano sfiniti perché rimasti senza cibo. Rifocillati a dovere rientrarono tutti in paese dove uno dalla famba lesta aveva portato la uona notizia del ritrovamento. Ci fu allora grande festa con la guarnigione schierata a rendere jli onori, suono di campane, la banda cittadina, il sindaco, l'arciprete, le scolaresche con bandierine di carta. Le osterie andavano a gara per offrire agli avventurosi salvati c salvatori cibo e bevande in abbondanza. Tutti i ragazzi della sesta e settima classe elementare ebbero come tema I' avvenimento e i migliori furono premiati. A quel mondo è legata anche un'altra storia, breve e semplice, che se non la racconto va perduta. In una valle interna delle mie montagne dove passavano solamente contrabbandieri, pastori c cacciatori, e per qualche mese d' estate i carbonai a produrre carbone dolce di mugo, dopo un'erta salita che fa baciare le ginocchia (si chiamava Kniaskiiss-Laita), c'era una sorgente d'acqua limpidissima che usciva dalla roccia, e buttava sempre, anche nei periodi di grande siccità. In quei luoghi riarsi era come un'oasi e nei secoli passati persino gli orsi avevano scelto quel luogo, e la roccia sovrastante si chiamava Pcaróstela: Roccia dell'Orsa. Quando in estate gli alpini salivano in escursione era quello il luogo dove sempre facevano sosta i muli che seguivano con il rancio sui basti; una pausa per l'abbeverata, per una pipata per i conducenti, e via verso i Kivoni della Cima XII. A comandare quei conducenti era un sergente innamorato di una nostra compacsana; ma questa era figlia del medico condotto e per un sergente dei conducenti non era facile avvicinarsi. Dovevano guardarsi da lontano, o fingere fortuiti incontri durante il concerto della banda alla domenica pomeriggio, o alla sagra di San Rocco. Ma lui sempre si portava nel cuore quella cara immagine seguendo i muli su per le montagne verso i confini della patria; e lei la sua, mentre ricamava o accompagnava il padre nelle visite. Un giorno il sergente innamorato pensò di parlare al comandante per un progetto che aveva in testa: voleva, con I' aiuto della squadra zappatori, raccogliere l'acqua della sorgente e incanalarla in vasche di cemento in modo che fosse comodo raccoglierla per ogni uso civile e militare: per i pastori, per i cacciatori, per i carbonai, per i muli degli alpini. Il capitano fu d'accordo e così una mattina partirono con il cemento sui basti e gli zappatori al seguito. Lassù sassi ce n'erano a volontà. * * Il lavoro venne bene, l'acqua raccolta si spandeva limpida e fresca nelle tre vasche che si susseguivano; nella pri ma che raccoglieva il getto dalla roccia, sul cemento ancora tenero, il sergente scrisse in belle lettere il nome dell'ama ta: «Questa, disse, si chiamerà per sempre Fontana Ida e non più Acqua del/'Orsara». In quello' stesso'autunno1 i padre della ragazza,che. .fra anche appassionato cacciatore di pernici bianche, salì per quella valle solitaria e rimase perplesso al vedere la fontana con quel nome inciso nel cemento e volle sapere il perché. 11 suo cuore si commosse, permise al sergente di incontrarsi in casa con la figlia tre volte alla settimana e qualche anno prima della Grande Guerra si sposarono. Gli anni, i geli e i disgeli hanno sgretolato quella prima fontana; quest'anno gli operai forestali 1 hanno ricostruita, è ancora chiamata Fontana Ida ma più nessuno si ricordava perché. Mario Rigoni Stern

Persone citate: Bratta, Fontana Ida, Giovanni Di Mozart, Mario Rigoni Stern, Umberto I.

Luoghi citati: Italia, Portogruaro