Si chiudono tre cinema al giorno di Francesco Fornari

Si chiudono tre cinema al giorno Non si arresta il calo del pubblico - A Chieti è rimasta aperta una sola sala Si chiudono tre cinema al giorno A Genova reggono soltanto le prime visioni ma con difficoltà per le alte spese di gestione - A Torino si risente «l'effetto Statuto» - La controversia dei prezzi DAL NOSTRO INVIATO ROMA — A Chieti. In Abruzzo, citta di 72 mila abitanti, è rimasta aperta soltanto una sala cinematografica con circa cinquecento posti. Forse un caso limite, non certo un caso isolalo nel desolante panorama italiano. Nel nostro Paese, infatti, muoiono tre cinematografi al giorno. Nel 1970 le sale ammontavano a 11.600, nel 1980 erano scese a 8500, con una perdita secca di tremila locali. Ancor peggio dal 1980 ad oggi: le sale in funzione sono soltanto 4700, in quattro anni ne sono state chiuse 3700, un ritmo di oltre novecento sale l'anno, tre al giorno. I cinematografi spariscono: prima nei piccoli centri, poi anche nelle grandi citta, a cominciare dalle strade e dalle piazze della periferia. Adesso anche in centro. Sale prestigiose si sono trasformate in autorimesse, magazzini, discoteche, banche. Perdute per sempre. All'origine della crisi il preoccupante calo degli spettatori. Nel 1955. l'anno di maggior fulgore, erano andate al cinema 820 milioni di persone. Nel 1974 erano .scese a 544 milioni: un declino di 300 milioni di spettatori ohe, diluito in venl'anni, era stato assorbito quasi senza contraccolpi. Ma dal 1975, l'anno di nascita delle tv private, come sottolineano all'Aris, si è avuto un vero e proprio tracollo: in nove anni si e regi strata una flessione di quasi 400 milioni. L'anno scorso gli spettatori sono stati meno di 180 milioni, alla fine di quest' anno, secondo le previsioni più ottimistiche, si arriverà a 150 milioni. Nell'anteguerra, gli italiani andavano al cinema, in media, sei volte l'anno. Nel 1955, l'anno di piena, vi si recarono diciotto volte. Nel 1983 appena cinque volte. Le regioni che risentono in modo più grave della crisi sono quelle meridionali: in Basilicata, Calabria, Abruzzo. Molise e Sicilia vengono venduti, in media, due biglietti 1' anno per abitante. Nel Lazio, in Lombardia. Piemonte, Friuli e Venezia Giulia, si sale a tre, quattro biglietti. In Emilia e in Toscana si va oltre i cinque biglietti. Dal 1970. in Italia i cinematografi sono diminuiti del 41,5 per cento: il fenomeno ha interessato in maniera più cospicua il Centro, su cento sale ne sono state chiuse 37, il Mezzogiorno (33) e le isole (39). Ma in alcune 'regióni settentrionali. Liguria e Piemonte, la crisi si è i e i , o o , i fatta sentire in maniera più preoccupante. A Genova funzionano soltanto 35 sale, in tutta la Liguria 220. In otto anni ne sono stale chiuse 86. Dice Piero Sallamcrenda, titolare di tre locali nel centro della citta, ex presidente dell'Aids regionale: «Le prime a risentire della crisi sono siale le sale della provincia e quelle di periferia. Hanno retto soltanto quelle di prima visione, viu con grosse, difficoltà perche' le. spese di gestione sono annientate a dismisura e il prezzo del biglietto non e più remunerativo». Nel 1965 si andava al cine¬ ma con 900 lire, oggi se ne spendono cinquemila. -Ma — sostiene Saltainerenda —. rispetto al costo dei giornali, del caffè, della benzina, delle paglie del personale, il biglietto è aumentato pochissimo. Per reggere il confronto, oggi dovrebbe costare, diecimila lire». Ma non sono soltanto le spese di gestione più care a provocare la crisi del cinematografi. Sono canbiatl i gusti, le abitudini della gente. -Oggi — dice il gestore — il 75 per cento del pubblico 6 formato da giovani al di sotto dei 25 anni. Per loro il cinema è una grossa alternativa, un punto di ritrovo per stare insieme. Bisognerebbe che i produttori tenessero conto di questo e facessero film adatti GII americani l'hanno capito e hanno sfornato una serie di pellicole che hanno ottenuto un grosso successo. -I rugassi — afferma Sallamcrenda — migliano spettacoli di evasione, nessun impegno cerebrale, divertimento e busta. E vogliono tutto subito: per questo le sale di seconda visione sono in crisi. Per mille lire di differenza, questi spettatori preferiscono correre a l'edere le novità in centro». A Genova, da corso Buenos Aires a Rapallo, per circa trenta chilometri, non esiste neppure un cinematografo, incn- tre una volta ce n'erano sei o sette. A Torino la situazione e ancora più drammatica. Le sale funzionanti, che nel 1955 erano 142, si sono ridotte a 44: venlidue di prima visione, due di seconda, selle di altre visioni e 14 a luci rosse. Dice Lorenzo Ventavoli, gestore di un circuito cittadino: «Torino ha risentito più di altre città della tragedia del cinema Statuto». Qui più clic altrove si è abbattuta la mannaia della commissione di vigilanza. «Nel settembre del 1982 — prosegue Ventavoli — i posti a sedere nelle prime visioni cruna 18 mila. Dopo il rogo dello Statuto, nel febbraio '83. sono scesi a 12.000». Molti gestori non sono in grado di affrontare le spese necessarie lior dotare 1 loro locali di tutti I requisiti richiesti dalle norme di sicurezza, molle sale hanno chiuso i battenti anche In centro: il cinema Aslor, che forse ospiterà una banca, VAuguslus e ì'Ariston, di cui ancora non si conosce la destinazione. «Ma Torino — spiega Ventavoli — è anche lu città che paga il prezzo più alto per la crisi socioeconomica che travaglia il nostro Paese. Disoccupazione e cassa integrazione sono realtà evidenti e il loro peso si fa sentire specialmente sui giovani, che sono la fascia più grande del pubblico». Ventavoli ritiene che per far tornare gli spettatori nelle sale «bisogna farli pagare di meno». Per questo il prezzo del biglietto, che 11 sabato e la domenica era di seimila lire, e stalo ribassato a cinquemila, mentre il lunedi costa soltanto tremila lire. Ma la crisi clic attraversa l'industria cinematografica torinese ha anche altre cause. Afferma Ventavoli: «Munca quel tipo di società che. consumu spettacolo, questa è .ina città operaia, sono quasi inesistenti quelle professioni connesse con la moda, l'editoria, l'arte, che fanno del film un aggetto di consumo e di cultura». Francesco Fornari

Persone citate: Abruzzo, Aris, Lorenzo Ventavoli, Piero Sallamcrenda, Ventavoli