Tre giovani scampati raccontano le torture nelle carceri iraniane
Tre giovani scampati raccontano le torture nelle carceri iraniane Tre giovani scampati raccontano le torture nelle carceri iraniane ROMA — Tre ex prigionieri politici iraniani evasi dalla prigione di Tabrlz, nel Nord del Paese hanno tenuto ieri a Roma una conferenza stampa raccontando la sorte che attende un militante dell'opposizione se viene arrestato dalla polizia del regime di Khomeini. Il «trattamento» consiste di solito in cinquanta colpi di frusta fatta di cavi elettrici che possono provocare gravi ferite, anche la cecità; giorni interi passati in una specie di scatola dalle dimensioni di 60 per 60 centimetri per un metro e mezzo d'altezza, definite «celle di isolamento» e l'attesa del risultato di un processo che avviene, per lo più, in assenza dell'imputato e si conclude con una condanna alla fucilazione. I tre, che hanno poco più di vent'anni e appartengono all'organizzazione del «Mujaheddin del popolo», la componente principale della resistenza antlkhomelnlsta, han¬ no trascorso nel carcere circa due anni. Il 23 settembre 1983 sono fuggiti approfittando del fatto che uno di loro, Jalil Shlrazi, aveva avuto un trattamento di favore dalle autorità del carcere. Shirazi ave-, va inserito li nome degli altri due, Hossein Rassull e Hosseln Tehrani, condannati a morte, in un elenco di prigionieri che dovevano partecipare a una manifestazione organizzata dalle autorità per dimostrare 11 buon trattamento nel confronti del prigionieri politici. «La tortura è diventata una cosa legale in Iran», ha detto Tehrani. Secondo il racconto del «Mujaheddin», pratiche comuni nella prigione di Tabrlz, dove si trovano circa tremila prigionieri politici, sono le bastonature, da parte di gruppi di «Pasdaran» (1 guardiani della rivoluzione), la coabitazione nella stessa cella di maniaci criminali e di prigionieri politici, l'insonnia forzata.
Persone citate: Hossein Rassull, Khomeini
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