Per quasi due milioni la guerra continuò dietro un reticolato

Per quasi due milioni la guerra continuò dietro un reticolato Per quasi due milioni la guerra continuò dietro un reticolato A parte rare eccezioni, la vita dei nostri soldati caduti in mano ai russi, agli inglesi e ai francesi fu molto dura • Anche il rimpatrio fu ritardato di anni e il reinserimento si rivelò difficile - Dopo il 25 Aprile il diffuso bisogno di dimenticare lasciò in ombra le vicissitudini di quegli uomini MANTOVA — Vinti gli imperi centrali nella prima guerra mondiale, l'Italia accolse assai male i suol figli reduci dal campi di prigionia germanici, considerati poco meno che disertori e complici col nemico nella rotta di Caporetto. L'esaltazione della vittoria a lungo fece tutt'uno con ruminazione di chi non si era trovato in linea nei giorni fatidici di Vittorio Veneto o non era caduto arma in pugno. Anche dopo 11 25 aprile 1945 il diffuso bisogno di dimenticare la sconfitta del 1943 e di inserire l'Italia tra 1 vincitori, valorizzando cobelligeranza e Resistenza, lasciò in ombra la dura condizione in cui si erano trovati e ancora versavano gli italiani via via caduti in mano ai nemici accavallatisi nel corso di una guerra segnata, a metà strada, dal rovesciamento delle alleanze. Unico tra i grandi maniaco, la città s Stati in guerra, alla fine del conflitto l'Italia aveva infatti suoi soldati nelle mani di vinti e vincitori: circa 600 mila nel campi germanici e oltre 1 milione disseminati dai Balcani e Turchia all'Africa Settentrionale, da Gran Bretagna e Stati Uniti a Sud Africa, India, Australia. D'altra parte — ha documentato il convegno sui prigionieri militari italiani durante la seconda guerra mondiale, bene orchestrato dal professor Romain Rainero per l'Amministrazione provinciale e 11 Comune di Mantova, anche a ricordo dei tre campi mantovani attraverso i quali furono smistati circa 250 mila prigionieri rastrellati dai tedeschi dopo l'8 settembre — contrariamente a quanto si attendevano 1 prigionieri e le loro famiglie (sovente ignare delle sorti dei loro cari) la fine della guerra si pone inquietant non comportò l'atteso «tutti a casa». Presente il capo di stato maggiore della Difesa, generale Umber.to Cappuzzo — che ha spesso annuito al ricordo di vicende di cui fu personalmente testimone —, 11 convegno di Mantova ha evitato di trasformare la storia del prigionieri nella somma di drammi individuali (pur degni del più commosso rispetto) e ha puntato all'analisi politica del peso avuto dal prigionieri nei difficili rapporti tra l'Italia e i vincitori, divenuti alleati dopo la badogliana dichiarazione di guerra alla Germania. Questa — hanno concordemente ribadito 1 diversi relatori: Conti, Bersani, Giuntella, Bianchini, Aga Rossi, Mlège, Musso, Verona e Rainero — non recò un decisivo miglioramento alle condizioni del prigionieri. Mentre da i interrogativi una parte i tedeschi cercavano di ricavare dal prigionieri, degradati a «internati», alcune divisioni da usare nella repressione partigiana, nel campi delle Nazioni Unite si puntò a discriminare fra fascisti e badogliani: ora per formare reparti di linea (disegno mai giunto in porto), ora per indebolire la compattezza morale degli italiani con l'imbonimento ideologico, la diffusione di false notizie sull' andamento della guerra e sulle prospettive future (tecnica nella quale si mostrarono particolarmente abili i russi, con la collaborazione di esuli comunisti, come documenta l'«Alba», giornale del prigionieri italiani in Urss, stampato a Mosca sotto diretto controllo delle autorità, sovietiche). A guerra finita il rimpatrio avvenne goccia a goccia, poche migliaia di uomini al mese nell'attesa angosciata delle famiglie. I vincitori (o alleati?) ritardarono la restituzione con 1 pretesti più diversi: mancanza di mezzi di trasporto, risarcimento del danni di guerra tramite la forza lavoro del detenuti, e crearono parecchi Imbarazzi al governi sorti da quella lotta di Liberazione che aveva riscattato a durissimo prezzo la guerra del duce e si attendevano quindi tutt'altra comprensione. Anche più sconcertante — ma ancora da collocare in una compiuta visione storica, ha ricordato Morozzo Della Rocca — fu il caso dei prigionieri italiani in Urss, alcuni dei quali vennero restituiti dopo ben dodici anni. Ma 11 grosso di quelli catturati dagli anglo-americani fu rilasciato solo ddpo il referendum istituzionale, anche per incrociate preoccupazioni di ordine elettorale. Il convegno di Mantova ha dunque posto solide basi per la doverosa sistemazióne critica di una complessa materia, il cui ritardo non è l'ultimo del torti riservati a una realtà storica che coinvolse il 3 per cento degli italiani. Dalle relazioni di Mantova sono emersi una generale condanna della guerra che, ha ripetuto l'onorevole Attilio Rufflni, presidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati, è il primo e vero responsabile della prigionia, e un forte appello all'unità nazionale. Aldo A. Mola Vicino a Novara