L'arcivescovo e i capitalisti di Arrigo Levi

L'arcivescovo e i capitalisti LONDRA: UN DIBATTITO CHE COINVOLGE TUTTO L'OCCIDENTE L'arcivescovo e i capitalisti La «crisi inglese» è soprattutto la «crisi delle speranze» - La denuncia più appassionata è venuta dal primate di Canterbury, Runcie Egli cerca una mediazione tra gli estremisti che contro la disoccupazione userebbero la violenza e i neoliberisti alla Thatcher, che vorrebbero rompere i compromessi politico-sociali degli ultimi 40 anni - «La gente dice che questa non è più una società decente» DAL NOSTRO INVIATO LONDRA — E' in corso in Inghilterra un dibattito sulla «crisi della nazione-, che Ita dimensioni non soltanto sociali ed economiche, o politiche in senso stretto, ina verte sulla natura della società contemporanea e del capitalismo moderno, così come esso si è sviluppalo negli ultimi decenni, diventando Welfare Siate, o «economia sociale di mercato'. Il dibattito inglese non è dunque importante soltanto per gli inglesi, ma riguarda tutte le democrasie industriali. Se ha questo particolare rilievo è anche perché l'Inghilterra è slata, oltre che la madre, della Rivoluzione Industria-, le, anclie la prima creatrice del capitalismo sociale moderno con il «piano Beveridge-, ideato da un Lord liberale nel 1942, in piena guerra, attuato nel '48 dal governo laborista di Clemenl Attlee, e quindi imitato in tutto il continente. Si voleva creare (e il parti-, lo tory di Churchill e poi di Macmillan era in ciò d'accordo) un capitalismo 'giusto-, per un vero imperativo morale, come reazione a due evenli storici sconvolgenti: la grande crisi degli Anni Trenta, causa di disperazione per le masse, e prima origine dei totalitarismi moderni; e la seconda delle guerre mondiali, nella quale di nuovo le masse avevano pagato con fiumi di sangue il prezzo di ideologie o idealità insensate, patrimonio di una borghesia miope, vittima di se stessa. Il «dio die falli-, prima ancora di quello comunista, era stato quello borghese, il dio del vecchio capitalismo. La tragica consapevolezza del fallimento aveva però messo in moto grandi forze politiche, e non stupisce che esse realizzassero ùria ' «Stato nuovo-, ancora democratico e capitalista; ma nuovo, in Inghilterra prima die altrove: qui era nato il capitalismo stesso, qui esso aveva avuto le sue crisi più acute; e qui venne riformato con l'istituzione dei grandi servizi sociali nazionali, sanitario e ])cnsionistico, quando il resto d'Europa era ancora un ammasso di rovine, che a lutto pensava meno che a grandi riforme. Non a caso tanti gioitani europei, in quegli albori del mondo post-bellico, a cavallo tra gli Anni Quaranta e gli Anni Cinquanta, vennero in Inghilterra per vedere di persona la rivoluzione pacifica che si slava compiendo, die aveva una sua grandezza, anche se quella era l'Inghilterra severa dell 'austerity, grigia e cupa nell'atmosfera come negli abiti della genie: ma c'era anche tanta speranza. La crisi attuale del «capi talismo moderno- è la crisi di quelle speranze. Ma die cosa è in particolare la «crisi inglese-? La denuncia più appassionata è venuta, inaspettatamente, dall'Arcivescovo di Canterbury Runcie: la «Chiesa alta- inglese ha oggi acquistato, anche sotto ■influenza della Chiesa giovannea e conciliare, una forte coscienza sociale; e ha fatto sentire, per bocca di molli vescovi prima, poi dello stesso Primate, la propria voce, collocandosi in uno spazio^ suo, tra gli estremisti alla Scargill, die vogliono correg gere i difetti del capitalismo moderno inglese (la disoccupazione, il declino delle vecchie industrie, la tenace separazione delle classi) con una vera e propria rivoluzione, da prepararsi con la vio lenza extraparlamentare; e i neolibcristl alla Thatcher, che vogliono rigenerare l'Inghilterra tuffandola nel ba gno gelato di un capitalismo «premoderno-, riducendo i servizi sociali e rompendo i comodi compromessi politico-sociali degli ultimi quarantanni. L'arcivescovo Runcie si è collocato in una posizione mediana e super parlcs; questo è sembrato scandaloso, quasi un tradimento, a molti conservatori, Che cosa lui dunque detto Runcie nella storica intervista al Times dell'8 ottobre? Ha detto: «La crescita economica, più' alti livelli di vita, paghe migliori per chi ha un posto di lavoro, la ri conquista dell'orgoglio nazionale, sono tutti obiettivi auspicabili: ma se le conseguenze di questi obicttivi sono una disoccupazione' senza precedenti, povertà, burocrazia, disperazione di alcune comunità sul loro futuro, e una ripartizione diseguale del sacrifici, allora gli stessi obiettivi vanno riesaminati». E ancora: la «vera natura» dell'attuale crisi della nazione sta in questo: die «vi è paura, Incomprensione, vi sono cambiamenti drastici. Vi è un confronto sempre più aspro su scala nazionale tra polizia e picchetti di scioperanti. E vi è l'insolubilità del problema dell'"efficienza" contro 1' "umanità", di come cioè si possa ottenere l'efficienza senza perdere li rispetto reciproco. Noi viviamo in una società in cui la maggioranza sta meglio di prima, ma vi è cionondlme-i no una povertà crescente, vi è disperazione e senso d'impotenza. La gente dice che, se è cosi che stanno le cose, allora questa non è più una società decente in cui vivere. La gente non accetta che l'avidità e l'interesse egoistico siano la dinamica fondai mentale della nostra società; ecco perché la gente dice che non si può permettere che tutto questo continui». Fin qui le critidu: del Primate d'Inghilterra sono quasi a senso unico, rivolte cioè, nel nome di una società cristiana, fondala sul solidarismo e sullo Stato sociale, contro la dura politica neoliberista della signora That¬ cher. Runcie denuncia anche le minoranze che praticano la violenza e minacciano «le istituzioni costruite con tanti sacrifici: le procedure democratiche, le forze di polizia, la giustizia, il sindacato. La fiducia In queste cose aveva dato al nostro Paese, fra tutte le nazioni sviluppate, pace Interna e sicurezza, per un periodo Ineguagliato della nostra storia». ' Ma se le «minoranze violente» sono colpevoli di avere generato un cancro che può diffondersi in tutta la nazione, Runcie poi in qualche modo le giustifica, citando, nientemeno, una frase di Giovanni Paolo II che dice: «Io prego affinché la violenza non possa mai ricevere la distinzione di essere vista come una logica inevitabile, o come una rappresaglia necessaria». Per concludere, ciò che Runde vorrebbe (e questa è di nuora una critica palese alla signora Thatcher) è «una leadership che unisca e non divida la Nazione»; Disonna lavorare «per la riconciliazione» e per ridare la speranza alla gente: perché, «se l'amarezza e l'ira si diffonderanno», potrebbe sorgere «un governo sempre più autoritario, vuol di destra vuoi di sinistra». A questa accorata difesa, in nome di prinrtpi cristiani, dello «Stato sociale- e del compromesso politico, i conservatori hanno replicato in modo duro e anche sprezzante: la vera carità non sta, essi dicono, nel mantenere in vita t • tondo in decadenza, dove la povertà e la frustrazione generano violenza e pericoli per la libertà, ma nel rimettere in moto uno sviluppo economico che gioverà a tutti: per questo bisogna però sconfiggere la «minoranza rivoluzionarla» che minaccia la democrazia e le istituzioni; solo cosi si eviterà il rischio di un nuovo autoritarismo, o di un riflusso di violenza da destra (molti cominciano a temerlo). Solo cosi si salverà e rafforzerà, col capitalismo moderno, anche la democrazia. Questo, in sintesi, il dibattito ideologico che è in corso in Inghilterra, e un po' ovunque in Occidente: nell'America di Reagan come nella Frauda di Mitterrand o nell'Italia di Craxi. Non sappiamo ancora a chi darà rag\q^ tHé'là'storia. Arrigo Levi