Visitare Cavour in vestaglia

Visitare Cavour in vestaglia MACK SMITH RACCONTA LA SUA VITA PUBBLICA E PRIVATA Visitare Cavour in vestaglia Restò scapolo perché temeva disavventure matrimoniali: lui stesso aveva dato dispiaceri a molti mariti - La difficile coabitazione col fratello maggiore, del quale pagava onerosi debiti - Cominciava a lavorare alle cinque del mattino, ricevendo le visite in berretta da notte tra libri, giornali, mucchi di lettere - Come preparava i suoi discorsi - «lo amo ottenere tutto sulla punta della spada» Pubblichiamo in anteprima alcune pagine di Cavour, la nuova attesa opera dello storico inglese Denis Mack Smith, che sta per andare in libreria nella collana «Biografie» della Bompiani. DOPO la morte del genitori, Cavour continuò a vivere nel palazzo di famiglia. La direzione della casa, in cui la vita scorreva spesso infelice, e talvolta malinconica, era nelle mani del fratello vedovo. Devoto cattolico, Gustave dissentiva spesso nettamente, in specie sulle questioni ecclesiastiche, dalla politica governativa; e accadeva che a causa del suo comportamento — Gustave rimproverava aspramente a Camillc la sua vita «da trenf anni non cristiana», e lo accusava di cattiva amministrazione delle proprietà familiari — il fratello minore si sentisse quasi straniero nella loro comune dimora. Dopo il 1854, Gustave soffrì per alcuni anni di una misteriosa malattia depressiva, che lo lasciò leggermente squilibrato. A peggiorare le cose, c'era poi il fatto clic il figlio superstite, che non s' era sposalo e viveva con loro, era un temperamento cupo ed altamente nevrotico, e si trovava spesso ai ferri corti con il padre e la sorella. Inoltre, tra il maggiordomo — che dirigcim la casa, e rispetto al quale la dipendenza di Gustave era totale — e Camillc correva una cordiale reciproca antipatia: un fattore che aggravava la già tetra e sgradevole atmosfera generale. Per le donne Una causa di risentimento erano i ricevimenti ufficiali cfte si tenevano talvolta a Palazzo Cavour, sta pure in genere a spese dell'erario. Gustave era ad un tempo puritano,^.taccagno; e 'siH7 lappò la preoccupazione"totalmente irragionevole die il patrimonio familiare venisse dilapidato in siffatte spese mondane. In aggiunta a tutte le sue faticlie politiche, il Presidente del Consiglio era pertanto costretto a redigere un bilancio trimestrale per provare al fratello cìie, lungi dal comportarsi in maniera stravagante, egli provvedeva regolarmente a rimborsare i debiti ipotecari che gravavano sui beni di famiglia. Durante un decennio, furono rimborsati debiti per oltre mezzo milione di lire. Per mancanza d'inclinazione (Gustave) e di tempo (Camillc), i due fratelli non erano in grado di tenersi sistematicamente al corrente dei progressi in materia di tecniche agricole; e tuttavia durante questo periodo il reddito medio di Leri crebbe di quattro volte, grazie in buona parte all'oculata amministrazione del loro agente e socio. Giacinto Corto. Ogni tanto circolavano a Torino voci che attribuivano a Cavour propositi matrimoniali. Ma erano regolarmente infondate. Egli ammise che probabilmente era per temperamento incapace di amare sul serto una donna; ovvero, guardando le cose da una diversa angolazione, attribuiva una grande importanza all'indipendenza personale, e scelse deliberatamente di evitare gli intralci che necessariamente accompagnano ' un legame sentimentale permanente. Disse una volta a Corto ch'era restio ad affezionarsi troppo anclie ad un animale domestico, perché temeva che la stia morte potesse sconvolgerlo. A Salmour, persuaso che il matrimonio l'avrebbe mantenuto in vita molto più a lungo, diede l'ulteriore ragione che una moglie lasciata troppo sola da un marito troppo occupalo l'avrebbe. esposto al pettegolezzo, allo scandalo, e quindi al ridicolo. Era sempre stato particolarmente sensibile al rischio del ridicolo, e aveva tratto grande spasso dalla disavventura matrimoniale di ■ Garibaldi. Egli stesso aveva cornificato troppi mariti per desiderare die la sua reputazione fosse esposta ad un pericolo del genere. b l Cavour non dimenticò il suo affetto giovanile per Anna Giustiniani, e nel 1858 utilizzò denaro attinto ai fondi segreti della polizia per venire in aiuto al figlio di lei a Ginevra. Dal 1856 in avanti ebbe un'altra amante fissa, Bianca Romani, cui era sinceramente attaccato. La Romani aveva in passato occupato la medesima posizione presso il re, ma nessun altro sembra aver trovato molto di buono da dire di questa giovane ballerina. Suo marito era l'impresario del Teatro Regio di Torino, ma fini con l'accumulare debiti così ingenti, che-se ne parti per il Sud America (con itprobabile aiuto finanziario del nuovo protettore della moglie). Cavour non parlò quasi mai di Bianca ad alcuno, e mai si mostrò in pubblico con lei, ma la loro relazione era comunemente nota, e riscuoteva l'aspra antipatia della famiglia Cavour (...). Al «Regio» Nessuno negò mai l'enorme operosità di Cavour, ed egli disse ad un conoscente inglese che nessuna quantità di lavoro riusciva a stancarlo. Accadeva che la sua giornata cominciasse alle cinque del mattino, o anche prima, ricevendo visite in vestaglia e berretta da notte di velluto ornata di fiocchi. E il visitatore lo trovava magari die leggeva il Times a lume di candela, fumando un sigaro. Stranamente per una persona cosi metodica, la sua slama era in condizioni caotiche: piena di libri, giornali e mucchi di lettere, il disordine era tale che gli capitava di smarrire dei documenti. Per l'ora di colazione aveva già sbrigato qualcuno degli affari più urgenti. Quindi percorreva a piedi la breve distoma che lo separava dal suo ufficio in piazza Castello. Di solito tornava a casa per il pranzo, per poi fare una passeggiata sotto i portici di via Po, dove chiunque volesse poteva avvicinarlo. Il ' pomeriggio era dedicato alle riunioni di gabinetto ed alla ■ Camera, la serata a nuovo lavoro nel suo studio privato. Gli piaceva recarsi al Teatro Regio, dove i diplomatici stranieri avevano i propri palchi privati, solitamente utilizzati per sbrigare buona parte degli affari ufficiali Durante la sua giovinezza, Cavour era stato criticato dal padre per un eccessivo attaccamento alla teoria; ma l'espertema dell'amministrazione ne fece sempre di più un pragmatico, un uomo capace di adattarsi alle circostame, che si vantava di non possedere un sistema, ed era sempre pronto, laddove gli sembrasse opportuno, a scegliere una via alternativa. Rattazzi disse di lui che non concepì forse mai nessun progetto di lungo respiro, preoccupandosi piuttosto di tirare avanti giorno per giorno; ed invero una delle sue virtù più notevoli era appunto l'adattabilità, ossia la capacità di tirare il massimo vantaggio da situazioni date, che non era stato lui a creare. Com'ebbc a dire Hudson in un momento cruciale dell' anno 1860: 'Egli non ha alcun piano: è un uomo cìie si affida alla prowldema, alla serte casuale degli accidenti. U. Malgrado la sua grande intelligenza, Cavour non può esser definito un intellettuale nel senso ordinario del ter-' \mine, e al di fuori della polifica e dell'economia i suoi interessi rimasero sempre piuttosto {imitati. Parlando con il diplomatico francese d'Ideville, sottolineò die nel suo appartamento non c'erano quadri, perché l'arte non lo attraeva minimamente; e a 'Rattazzi disse che in genere la poesia era insipida e frivola. Qualcuno si stupiva pertanto di sentirlo dire che si teneva informato sugli ultimi romanzi pubblicati in Inghilterra e in Francia; e per tutta la vita lesse il Times, il Morning Post, e specialmente {'Economista Afa Rémusat. un altro visitatore francese, rilevava nel 1860 che non sembrava nutrire it minimo interesse per la filosofia o la letteratura. E, «come avviene con gli inglesi, la sua conversaeions non si solleva mai gran che al disopra delle faccende pratiche e del temi di economia politica: In quesf ultimo campo, ebbe una volta a dichiarare che a suo giudizio la massima autorità contemporanea era John Stuart Mill, l'empirista e utilarista inglese. Nel luglio 1858 un ingegnere ferroviario inglese lo trovò che leggeva la History of England di Macaulay, e lo udì dire che trovava quella lettura 'eccitante come una colazione innaffiata con champagne'. Il mese successivo completò il primo lunghissimo volume della History of Civlllsation in England di Buckle. I dibattiti parlamentari costituivano il suo principale stimolo intellettuale, e durante le sessioni dedicava in genere quattro ore al giorno ai lavori dell'una, o dell'altra Càmera, o di enÌràmbe:'Avè-\ va l'abitudine, mentre la discussione era in corso, di fingersi'distratto, cosa che irri¬ tava grandemente taluni suoi avversari; ma in realtà non perdeva una parola, ed era pronto ad intervenire in quasi qualsiasi momento su Quasi qualsiasi argomento. Il suo italiano feriva ancora V orecchio, in specie dei toscani puristi, quando arrivarono a Torino, ma aveva raggiunto una competenza linguistica sufficiente ad evitargli di leggere i suol discorsi, e di solito usava appunti soltanto quando una discussione richiedeva il ricorso a dati statistici. Negli ultimi anni saggiava talvolta l'effetto di un discorso importante facendolo ascoltare ad Artom. Usava spiegare la sua singolare abilità nel presentare un tema rifacendosi all' •abitudine che avevo in gioventù di risolvere mentalmente dei problemi di matematica', la quale «mi mise in grado di accumulare nel cervello una lunga serte di teoremi e di deduzioni che conservano il loro ordine di battaglia e non mi danno alcun impaccio'. Metteva una cura speciale nel preparare la conclusione di un discorso, si da lasciare una forte immagine nella mente e nell'immaginazione degli ascoltatori. Benché non possedesse il dono dell'eloquenza, e la sua dizione rimanesse artificiosa e goffa, si conquistò precocemente la reputazione di esser l'oratore più raziocinante che fosse dato udire in Parlamento. Talvolta ammetteva die la sua- irresistibile propensione per la controversia e la lotta poteva esser un difetto; ma «il potere non ha attrattiva per me che se è contrastato. Io amo ottenere tutto sulla punta della spada.,. Usava dire che ricavava un autentico piacere dalle situazioni difficili, e che presso di lui l' opposizione era sempre benvenuta, perché «dove non v'é lotta, non v'é vita, non v'é progresso'. Ma quel che soprattutto amava non era tanto combattere, quanto vincere. Denis Mack Smith. J||| 7M$J>-Jk «Il marchese fa la scimmia al conte»: il marchese è Gustavo Cavour, fratello di Camillo (disegno di Redenti sul «Fischietto», 1851)

Luoghi citati: Francia, Ginevra, Inghilterra, Salmour, Sud America, Torino