Le trappole di Eco di Umberto Eco

Le trappole di Eco RADIOGRAFIA DI UN FENOMENO Le trappole di Eco Negli uffici della «Bompiani» in via Senato, quasi trent' anni fa arrivò un nuovo impiegato. Si chiamava Umberto Eco. Mi era capitato tra le mani un libretto con La storia delia filosofìa in versi, tra il goliardico e i limericks: geniale, e il genio nel piccolo è ancora più sorprendente perché privo di appoggi retorici. Volli conoscerne l'autore; adesso è di là che scrive lettere e telefona. Ogni tanto mette la testa nel mio studio e dice una freddura oppure il titolo di un libro da pubblicare, ma sembra che la battuta di spirito lo interessi di più: sono i suoi tantra salmodiati, coi quali evoca il vuoto. • 11 suo primo incarico alla Gasa editrice fu la direzione della serie di «Idee nuove», che avevamo iniziato con Antonio Banfi durante la guerra. Le «Idee nuove» erano quei movimenti intellettuali, quelle correnti di pensiero che l'Idealismo crociano per trent'anni aveva ignorato o escluso. Eco, filosofo, nuotava nelle sue acque, ma la sua «curiosità» e il suo impegno culturali sono a tutto tondo, da San Tomaso alle poesie «composte» con un computer, da De Saussure a Woody Alien. La disponibilità è la sua criniera al vento: non al vento che tira occasionalmente, ma scelto da lui, caso per caso. Gli avvenimenti culturali che negli ultimi vent'anni hanno acquistato una data che li contraddistingue, diventano i suoi genetliaci e alla fine resteranno nelle storie letterarie come tessere del suo mosaico. . Quando vidi sul teleschermo l'inaugurazione delle Olimpiadi con quel soldato isolato che aveva un'elica sulla schiena e arrivava volando, dissi fra di me: «Dev'essere Eco». Tanti elogi chiamano la denuncia dei difetti, però con Eco è difficile isolarli perché lui li adopera allo scoperto, uasfoemandoli in lealtà nei rapporti. wUn certo giorno, zitto zitto, ha pubblicato un romanzo che ha conquistato il mondo come un ciclone. Tradotto in tutte le lingue (non ancora forse in eschimese...), da due anni in testa alle statistiche di vendita, // nome della rosa ha tutte le carte in regola per restare come La capanna dello zio Tom, o 1 tre moschettieri, o Robinson Crusoe. Nelle grandi famiglie dei Sovrani, tutti imparentati tra di loro, Eco è cugino di Erasmo, di Voltaire, del dottor Johnson ed ceco che si scopre con agnizione ottocentesca che il suo romanzo è figlio di Sharazad, concepito in una delle mille e una notte stellate della fantasia. Quando lessi, tra i primi, il dattiloscritto, gridai, metaforicamente, alleluia! alleluia! Eco sa tutto del romanzo popolare, che ha studiato e analizzato in saggi famosi. «Scrivere è costruire, attraverso il testo, il proprio lettore. Cosa vuol dire pensare a un lettore capace di superare lo scoglio delle prime cento pagine? Significa esattamente scrivere cento pagine allo scopo di costruire un lettore adatto per quelle che seguiranno». Manzoni non scriveva per piacere a un pubblico cosi com'era, ma per creare un pubblico a cui il romanzo non potesse non piacere. Che lettore voleva Eco mentre scriveva? Un complice, certo, che stesse al suo gioco, «lo volevo diventare completamente medioevale e vivere nel Medio Evo come se fosse il mio tempo (e viceversa). Tu (lettore) credi di voler sesso e trame criminali in cui alla fine si scopre il colpevole, e molta azione, ma al tempo stesso ti vergogneresti di accettare una paccottiglia fatta di mani della morta e di fabbri al convento. Ebbene io ti darò latino e poche donne, e teologia a bizzeffe e sangue come nel Grand Guignol...». E siccome voleva che fosse piacevole l'unica cosa che ci fa fremere, e cioè il brivido metafisico, non gli restava che scegliere (tra i modelli di trama) quella più metafisica e filosofica, il romanzo poliziesco. La domanda base della filosofìa è la stessa del romanzo poliziesco: di chi è la colpa? Quello che gli occorreva era un «narratore innocente», una «maschera» dell'autore, che fosse credibile quale testimone e ha inventato il monaco Adso che racconta in prima persona una ■ «cronica» del tempo. La struttura del romanzo sembra complicata; e invece è semplice cóme in quei fantocci meccanici del Settecento, per esempio // giocatore di scacchi, con l'autore nascosto sotto il tavolo che regola le mosse c vince la partita. Il romanzo popolare cerca di andare incontro ai desideri del lettore «tal quale lo trova già per la strada». L'autore fa una specie di analisi di merca¬ to e si adegua. «Per un certo periodo si è ben pensalo clx il consenso fosse una spia negativa. Ma non è la stessa cosa (e sempre Eco che parla), dire: "Se un romanzo dà al pubblico ciò die si attendeva, trova consenso", e dire invece: "Se un romanzo trova consenso è perciò dà al lettore ciò che si attendeva"». Eco vuole «rivelare al proprio pubblico non ciò che si attende, ma quello che dovrebbe volere, anche se non lo sa». ' ** Non ha rinunciato a niente, al contrario e a sfida ha farcito il libro di dotte citazioni in latino, che caso per caso diventano una «prova documentaria», come lapidi in memoria. Quella cultura a portata di mano gratifica il lettore di cui soddisfa il desiderio di sapere e di capire qua/cosa in più di quello che capisce. In una società dominata e regolata dalla conformità dei mass-media, nasce e si diffonde il consumismo del superfluo. Guardate l'abbigliamento dei giovani: hanno sempre qualcosa in più: anelli a tutte le dita, compreso il pollice, bracciali alle caviglie, non una ma dicci collane, una treccia posticcia, una sciarpa a bandiera, un maglione di troppo, stivali incongrui — è la caccia al superfluo, la volontà di crescere nonostante... I clienti dei supermarket e dei mercatini rionali sono gli stessi che vanno poi alle boutiques più sofisticate. Non più «l'utile e il dilettevole» ottocentesco, ma «il superfluo e il dilettevole». E' questa, secondo me, «l'invenzione» tecnica di Eco, «I' amorosa trappola» che incanta il lettore. Un'ultima annotazione: un gruppo culturale ha recentemente costruito una matrice di tutte le possibili situazioni poliziesche e ha trovato che rimane da scrivere un libro in aii l'assassino è il lettore. // nome della rosa è quel libro. Quando, alla fine del romanzo, il .monaco Adso torna, da vecchio, a visitare le rovine del convento bruciato, il lettore prova «un brivido metafisico» perché ha capito che il monaco sta cercando qualcosa che lo riguarda: cerca le parole della vita passata. «I grandi di un tempo, le città famose, tutto svanisce nel nulla. Nulla rosa est»: solo il nome, soltanto le parole restano e, per tutte quelle perdute, i colpevoli siamo noi. Valentino Bompiani

Luoghi citati: San Tomaso