Koltès in un inferno di parole di Ugo Buzzolan
Koltès in un inferno di parole p ,, SS Ugo Buzzolan .«IH I BIENNALE TEATRO: «Quai ^esgòratorio laico con Massimo Foschi I Koltès in un inferno di parole Ai Cantieri Navali, otto storie di violenza e di morte senza scene, senza costumi e con la regia del tunisino Cherif ■ DAL NOSTRO INVIATO VENEZIA — Siamo, decisamente, in cerca d'autore: forse non in Germania, dove ad accaparrarselo ci pensano i grandi teatri Stabili rinunciando per qualche copione a qualche scenografia (ogni riferimento ai nostri Stabili è puramente intenzionale); forse non in- Inghilterra, dove provvedono addirittura i grandi giornali (si pensi all' annuale concorso del Sunday Times, da cui saltarono fuori Osborne e Pinter): certo in Francia e Italia, dove i drammaturghi cronicamente scarseggiano. Una spia di questa ricerca è alla Biennale la sezione Laboratorio, diretta da Giuseppe Di Leva, che pone a confronto due letture-spettacolo (da Koltès. e Botho Strauss, commediografi non ancora quarantenni, francese e tedesco) e tre rendiconti pubblici di >scuole di scritturar- italiane, quella di Eduardo all'Università di Roma; quella per narratori e registi al Centro di.Fiesole; quella dei giovani allievi della Civica Scuola di Milano. '"- Al pubblico torinese il nome di Bernard-Marie Koltès è' noto per quel Negro contro cani, che, messo in scena dal Gruppo della Rocca, regista Missiroli, suscitò favori e contrasti di pari entità. Ai Cantieri Navali il giovane regista Cherif, un tunisino formatosi all'Accademia di Roma, ha proposto Quai Ouest (Banchina Ovest): e nessun copione poteva trovare fondale più. consono, affrontando una vicenda che, neppure a farlo apposta, si svolge in un hangar in disuso nell 'antico porto di una grande città dell'Occi- dente, cioè esattamente nel luogo in cui stavolta è stata ambientata. Ed in effetti, quando s'apre il portale di fondo dei Cantieri, quello da cui uscivano un tempo possenti scafi dalla chiglia ben tornita, ed ora vi passano folate di nebbia reale e tra esse si stagliano le sagome vere del personaggi, la suggestione per lo spettatore è quasi angosciosa. Ma l'ambiente non basta, di per sé, a fare spettacolo. Intanto quelli di Koltès sono veri e propri oratori laici, immense rapsodie a piti voci (otto, in questo caso), ciascuna delle quali narra, in contrappunto all'altra, la propria storia (ed è, come sempre, una vicenda di emarginazione, di violenza, di morte): e dinanzi a siffatte partiture polifoniche (questa è tradotta con grande perizia da Saverio Vertane) bisogna prender partito di snellire, riducendo ciascuna voce-ruolo alla sua sigla più. essenziale e segreta. E poi una lettura-spettacolo è paradossalmente piti impegnativa di uno spettacolo normale. Mancano scene e costumi, è vero: ma proprio per questo interpretazione e dizione diventano primarie. Nel gruppo variamente assortito di attori professionisti che ha atteso a questa prova due ci sono parsi all'altezza dell'impegno: quell'eccellente interprete per timbrica vocale e portamento scultoreo che è Massimo Foschi, e un efficace attore di carattere, Aldo Engheben. Gli altri erano di qualche spanna inferiori all' assunto, e preferiamo lasciarne i nomi nella penna. Pubblico molto attento, anche se duramente messo alla prova, finali applausi di solidarietà. Guido Davico Bonino Massimo Foschi, eccellente interprete di un lavoro impegnativo
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