Un primo amore fatto di carta

Un primo amore fatto di carta GAETANO AFELTRA E GLI ANNI DEL MITO «CORRIERE» Un primo amore fatto di carta Denaro, ambizione, potere, intrigo, suspense e persino V ombra di un delitto-suicidio, nella classica cornice inglese dei ponti sul Tamigi. La «serie» italiana Corriere può ben aspirare a reggere il confronto con i grandi modelli americani, Dallas e Dynasty. Nel cocktail del successo mancava però un ingrediente solo, ma fondamentale: la storia d'amore. Ora l'ultimo libro della ormai nutrita collezione sul Corriere della sera, quello di Gaetano Afeltra ("Corriere primo amore, ed. Bompiani), colma la grave lacuna nel migliore del modi: non solo un amore, ma un mprimo amore-. Il rapporto di Afeltra con il giornale milanese non si potrebbe definire meglio. E' stato, è, un mprimo amore», come quelli classici della letteratura ot¬ tocentesca, fatto di acerbi fascini, di ingenui appagamenti ma anche di strazianti ab-. bandoni e di nostalgie imperiture. Ci siamo, dirà Qualcuno. Ecco il solito libro di addetto ai lavori per addetti ai lavori, scritto per sollecitare curiosità maligne, pettegolezzi retrospettivi e per sfogare piccole vendette a lungo covate, gelosie di bottega affilate nel tenace ricordo di torti fatti e ricevuti. Certo anche il libro di Afeltra può essere visto in questa prospettiva e le brevi dichiarazioni d'intenti dell'autore sul risvolto di copertina, quando escludono l'ambizione di fare .storia vera e propria, rigorosa di via Solferino, né vangelo di buon giornalismo», potrebbero circoscrivere l'interesse del libro. E invece la modestia di Afeltra fa torto ai risultati, perché il racconto dei suoi anni corrieristlci, dal '42 all' arrivo di Alfio Russo nel '61, celebra e insieme distrugge proprio quel «mito» del Corriere, chiave fondamentale per capire tanta storia del giornalismo italiano. Meglio, forse, di tante indagini storìco-econoìnico-politiche sul Corriere della sera, i semplici ricordi di Afeltra, infatti, aiutano a comprendere percìié intorno a un grande giornale, sì, al giornale più venduto e più potente, si è creato appunto un «mito», cosa che non è avvenuta per altrettanto grandi e prestigiosi giornali stranieri. Che cosa è stato innanzi tutto il «mito Corriere»? Afeltra lo definisce quando, in uno dei più riusciti ritratti, parla di Mottola, storico capo-redattore del giornale. •Egli, osserva, rappresentava il rigore, l'intransigenza, l'intolleranza, l'obbedienza, la superbia e l'orgoglio di via Solferino». Stabiliti i caratteri del «mito Corriere», Afeltra nelle 440 pagine del libro ne spiega la nascita e il declino, articolando il suo racconto nei tre fondamentali rapporti: quello fra il Corriere e la proprietà, fra il Corriere e la politica e fra il Corriere e la società. Il mito del giornale sorge, è vero, nel periodo glolittiano dei grandi direttori-proprietari, all'epoca di Alberimi, ma, a differenza di altri giornali, al Corriere si rafforza negli anni del fascismo e si consolida nel dopoguerra. Come Afeltra rileva, esiste un costante legame, sotterraneo in alcuni casi ma sempre assai stretto fra giornale e proprietà, fra interessi di rappresentanza sociale del primo e interessi di tutela della seconda. Afeltra, meglio di tante dotte analisi suH'«unltà della classe borghese pre e postfascista», dimostra questo asse portante del «mito Corriere» sia quando, giustamente, rileva i modesti prezzi pagati da Borelli al fascismo sia quando illustra l'estraneità di Borsa al pubblico del Corriere e alla sua proprietà, estraneità che doveva portarlo inevitabilmente all'amaro licenziamento. E quando negli Anni 60 gli interessi proprietari e della grande borghesia italiana sì frantumarono cominciò il declino del «mito Corriere». Stessa parabola ebbe il rapporto con la politica. Sarebbe facile ironizzare sull' 'ingenuità» di Afeltra quando, parlando della redazione s v romana del Corriere, assicura «l'Impermeabilità» dei redattori alle lusinghe della politica. Facile ma ingiusto. Il tradizionale filogovernativismo del giornale, e lo dimostra bene Afeltra, non era mai interessato ossequio in cambio di favori, ma scelta autonoma e. assolutamente non patteggiata. Quando le discese romane dei direttori del Corriere si intensi/icarono s'iniziò anche la discesa del «mito Corriere». Tutta la vita corrieristica di Afeltra sì è poi caratterizzata dalla sua battaglia contro il tradizionale misoneismo del Corriere,'contro lo spietato conservatorismo impersonato anche qui dallo slogan di Mottola: 'Se non è pubblicata dal Corriere, una notizia non è una notizia». Certo la sua fu unq battaotia rispettosissima e garbata, in puro stile sol/ertniàno. Ma la sua direzione del Corriere d' Informazione, il periodo più felice della sua vita professionale, lo documenta in maniera tnoppupnabùe. La resistenza del «mito Corriere» è la resistenza idei giornale allo sviluppo della società moderna negli Anni 60. Sintomatico è lo scontro, the Afeltra ricorda con giusto scandalo, sul rifiuto del tandem Missiroli-Mottola' a parlare della tv. Alla fine, anche la tv apparve sulle pagine del Corriere. Era la vittoria del buon giornalismo, è vero, di quello che .corre dietro il mondo a costo di.farci venire l'affannò» e la sconfitta di un mito ormai \nutlle. Ma forse è cominciato da quel giorno il fungo viaggio di quel giudici che. ventanni dopo, si pjesentarono alla porta di via Solferino e di quel carabinieri che bussarono alla porfa del suo futuro editore. Lulg| La Sp,na