Assolto il vertice della Fiat per le automobili importate

Assolto il vertice della Fiat per le automobili importate In appello la vicenda dei marchi delle vetture costruite all'estero Assolto il vertice della Fiat per le automobili importate «Il fatto non sussiste» per Giovanni Agnelli, il fratello Umberto e l'amministratore delegato Ghidella - «Le macchine fabbricate in Italia o in Spagna sono idéntiche» Si è chiusa in appello, davanti ai giudici della terza sezione penale, la vicenda dei marchi Fiat sulle auto costruite all'estero. Il presidente della Fiat Capogruppo Giovanni Agnelli, il presidente della Fiat Auto Spa, Umberto Agnelli, e l'amministratore delegato Vittorio Ghidella sono stati assolti con formula ampia «perchè il fatto non sussiste». Erano accusati di aver messo in vendita in Italia auto fabbricate in Spagna, Polonia, Jugoslavia e Brasile col solo marchio Fiat, senza l'indicazione del luogo di produzione. La sentenza è stata letta ieri alle 14,30 dal presidente Jannibelli, dopo un'ora di camera di consiglio. Assenti i tre imputati, per impegni di lavoro, come hanno spiegato in una lettera al presidente, 1' udienza era incominciata alle 10 con la relazione del giudice Maccarlo che ha riassunto la vicenda. Ai primi di febbraio '82 circa tremila vetture furono bloccate alle dogane di Livorno, Verona e Cambiano perchè prive dell'indicazione del Paese di provenienza. La Fiat appose alle auto una tomaarCsracmmofmUdgaVERANDE e sottotetti targhetta che ne spiegava 1' origine. A questo punto per il ministero delle Finanze, cui 1' azienda era ricorsa in via amministrativa, tutto era in regola; non così per il pretore Casalbore che apri un'inchiesta penale. A fine gennaio '84, Casalbore condannò i vertici dell' azienda a 6 milioni di multa ciascuno: non basta il solo marchio Fiat — spiegò nelle motivazioni della sentenza — occorre anche quello della fabbrica che le ha prodotte materialmente all'estero. Una tesi non condivisa già dal pm del processo di primo grado, Elena Daloiso, che aveva chiesto l'assoluzione perchè il fatto non costitui¬ sce reato». Il pubblico ministero di ieri. Russo, è andato oltre e ha proposto l'assoluzione più ampia •pcrcltè il fallo non sussiste». Ha sostenuto il rappresentante dell'accusa: «L' indicazione del luogo d'origine può essere importante per un vino doc. Invece, per un prodotto indifferenziato come l'auto, è irrilevante che venga costruito a Torino o a Barcellona se la tecnologia e i collaudi sono identici e se le macchine sono uguali come ha accertato la perizia». Su questa tesi hanno basato la loro difesa gli avvocati Chiusano, Minni, Grande Stevens, Cottino, Crespi di Milano e Gatti di Roma. L'avv. Vittorio Chiusano ita criticato aspramente la decisione del pretore: «£' una i sentenza sbagliata, un prò- ' cesso ingiusto e sproporzionato. E' pacifico die sulle macchine ci sia solo il marchio Fiat: percltè sono modelli Fiat, costruiti con tecnologia Fiat, con ingenti investimenti Fiat. Qui è in gioco la reputazione dell'azienda torinese: è gravissimo sostenere, come Ita fatto il pretore, che la Fiat in-, ganna il comsumatore». Per Franzo Grande Stevens «é inconcepibite clic, rispettando tutte le norme del codice civile che regolano V uso del marchio come ha fatto la Fiat, si possa commettere un reato. Certo le auto sono costruite all'estero, ma questo risulta dalla carta di circolazione. Inoltre che siano idenliclie alle italiane lo )ianno accertato i funzionari del ministero dei Trasporti». L'avv. Gatti ha ricordato, tra l'altro, una sentenza sulla stessa materia del pretore di Pistoia che assolvendo 1' azienda torinese aveva concluso: «in definitiva il cliente ha chiesto una Fiat e ha avuto una Fiat». Nino Pietropinto