Turi Ferro, un grande capofamiglia distrutto dalla governante Gravina

Turi Ferro, un grande capofamiglia distrutto dalla governante Gravina A Roma con la regia di Squarzina la commedia di Brancata (scandalo negli Anni Cinquanta) Turi Ferro, un grande capofamiglia distrutto dalla governante Gravina DAL NOSTRO INVIATO ROMA — fecola la commedia semplice e profonda, sommessa e atroce, che nel lontano '52 confermò in Vitaliano Brancatl il più sottile, doloroso drammaturgo del secondo dopoguerra italiano; eccola La governante, che dovette attendere dodici anni per esser proposta a tutti, dopo esser stata bollata da una censura ottusa come «contraria alla morale ed ai principi costitutivi della famiglia». E' una bellissima commedia, e basta: e come tale degnamente inaugura la stagione teatrale romana, al Quirino gremito, regia di Luigi Squarzina, protagonisti Turi Ferro e Carla Gravina. La si potrebbe definire la commedia del perbenismo, del moralismo ad ogni costo: e del loro scacco dinnanzi all'ambiguità dell'esistenza, che non si lascia tagliar coli'accetta del rigorismo ad oltranza, perché è buona e cattiva, degna ed indegna, eletta e reproba ad un tempo. In una casa di siciliani «per bene», i ricchi Patania di Caltanissetta trapiantati a malincuore negli Anni Cinquanta a Roma, la rettitudine è perseguita come uno sfuggente miraggio dal capofamiglia, il sessantenne Leopoldo, che vagheggia da solo a solo le pristine virtù, mentre il figlio vanesio e seduttore, la nuora stolida e civetta già son travolti dal permissivismo dei tempi nuovi. Approda in questa casa una governante straniera, la bella, severa Caterina, calvinista di nome e di fatto, che sembra far rifiorire nel vecchio la fede nel mondo d'una volta, con i suoi valori semplici e te- ' noci. Ma un episodio inquietante vela, di un'ombra appena l'altero profilo di Caterina: l'accusa ad una fedele, quasi selvaggia servetta isolana di cedimenti saffici. Espulsa la colpevole, sostituitala con una fresca cameriera di città, Caterina sembra trionfare col sereno e robusto equilibrio delle sue scelte su quella famiglia malcerta, e sempre più s'affiata col vecchio patriarca. Ma la colpa primigenia, quasi la tara della sua (e nostra) umana fralezza non tarda a palesarsi: è lei ad avere debolezze omosessuali, è lei a cedere al richiamo del proprio sesso. La scoperta segna il fallimento, in quella casa cupa, di un restaurato ordine morale. Per Caterina è la vergogna definitiva, è il suicidio. Il regista Luigi Squarzina ha puntato molto sulle tonalità fonde, amaramente ma¬ linconiche del copione, ma sema spogliarlo della carica di umorismo caustico, ai confini del grottesco e del surreale, che, battuta dopo battuta, tutto lo pervade. Era, questo, un equilibrio difficile da mantenere, affidato com'è, sin dal testo, alle due componenti antltetìclie. eppure complementari, dell'animo di Brancoli: un pessimismo lucido e senza rimedio, e lo scatto d'una sempre risorgente, quasi terapeutica iro¬ nia. Squarzina ci sembra sia risotto nella delicata impresa, almeno per i due personaggi principali, il vecchio Patania e la governante, che ha anzi giustapposto e fatto agire quasi a contrappunto. C'erano, in quel due ruoli, due attori sensibili, che devono aver fatto tesoro del suggerimenti del regista, ma aver investito anche molto del loro personale talento. Turi Ferro giganteggia nei panni del capofamiglia, con uno svariare di font, una ricchezza di effetti strabiliante. 1 La stizza, la tenerezza, lo scetticismo, la passionalità dell'uomo che non sta bene nei propri panni, che di continuo si confessa e sconfessa per ricercarsi daccapo, sono stati messi in luce da Ferro con un camaleontismo traboccante, ma lucidamente'' controllato. Più asciutta, più monocorde la Gravina, come il ruolo compatto esige: ma assai sofferta nel secondo tempo, quando quella compattezza si sgretola e mostra le sue crepe, e struggente poi nella confessione finale. Non abbiamo invece compreso perché gli altri ruoli (il figlio, la nuora, l'amico scrittore) dovessero esser volti in macchietta e caparbiamente parodizzati. Sonò anch'esse figure del dramma: e il romanziere poi, che fosse o no Moravia il modello, era certo parte della visione della vita di Brancati, era un suo preciso referente: perché non dargli la stessa .serietà» che i due protagonisti? La Laszlo, il pur spiritoso Giuranna, il De Razza parevano più esagitate marionette che uomini veri: e lo stridore c'è parso ingiustificato. Pubblico scelto e folto, molte risate, ovazione finale. Guido Davico Bonino

Luoghi citati: Caltanissetta, Roma