Vecchia radio, ci hai cambiati
Vecchia radio, ci hai cambiati Vecchia radio, ci hai cambiati Tullio De Mauro, studioso della lingua, comincia con' questo articolo la sua collaborazione a «La Stampai). Fioriscono le rievocazioni. Due generazioni, forse tre si interrogano in questi giorni sulla parte che la radio ha avuto nella nostra vita. Ci si ricorda delle grandi piazze gremite, nel 1935, nel maggio del 1936, poi nel giugno 1940, ad ascoltare dagli altoparlanti della radio i discorsi di Mussolini contro la Lega delle Nazioni, sull' Impero, sulla dichiarazione di i guerra. Si richiama alla memoria il pomeriggio di settembre ■ con il monotono annuncio dell'armistizio del 1943. Si ripensano le serate passate ascoltando Radio Londra, notizie da risussurrare, bizzarri messaggi in codice per chi combatteva in montagna. Si intrecciano le valutazioni positive, piene di speranza, di Bertolt Brecht, sulla radio come strumento di liberazione di energie espressive fino ad allora costrette al silenzio, e le valutazioni negative, sulla radio come primo grande persuasore di massa, come primo congegno capace di produrre consensi irrazionali. Tutto ciò non deve lasciare in ombra la parte che la radio ha avuto sul nostro linguaggio, e non solo su questo. Salvatore Vali tutti ha ricordato di recente che nel Quattrocento le soldatesche di Carlo Vili scesero a conquistare «les Italiesi), le Italie, tante quanti gli Stati dell'Italia preunitaria. L'unità politica, secondo Valitutti, avrebbe poi cancellato le Italie a vantaggio di un'Italia unica. Ma il cammino in questa direzione, per la parte che c'è stato, è stato lungo, ed è tutt'altro che compiuto. C'è anche da chiedersi se tutto andava percorso e vada percorso nelle forme e nei modi seguiti. Certo è che nel cammino che ha portato le Italie a fondersi in una compagine realmente unitaria la radio ha avuto grande efficacia Ancora di recente, un'indagine Doxa ci ha confermato che per tre quarti degli italiani i dialetti sono una presenza abituale, e per un quinto sono addirittura, ancora oggi, il modo preferito e dominante di parlare. Sessanta, treni'anni fa, questi rapporti erano di molto sbilanciati a vantaggio dei dialetti. Ed erano ancora dialetti che, se vogliamo togliere in prestito un'espressione ad uno di essi, potremmo dire, ruspanti. Cioè, non addomesticati ancora dalle grandi migrazioni interne, dalla crescita dei livelli scolastici tra le generazioni giovani, dal quotidiano ascolto di ore e ore di televisione, dal predominio della vita delle grandi città, forzatamente italianizzanti assai più che i centri minori e minimi. Tullio De Mauro (Continua a pagina 2 In quarta colonna)
Persone citate: Bertolt Brecht, Mussolini, Salvatore Vali, Tullio De Mauro, Valitutti
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