Renaud, è difficile svelare il mistero di Savannah Bay di Osvaldo Guerrieri

Renaud, è difficile svelare il mistero di Savannah Bay BIENNALE TEATRO: l'attrice nella commedia della Duras Renaud, è difficile svelare il mistero di Savannah Bay DAL NOSTRO INVIATO . VENEZIA — Un interno borghese e forse simbolico, un tavolino rotondo, poltrone e divani protetti dalle usse; a metà palcoscenico, un sipario (finto) di velluto rosso è sollevato a mezz'aria da robusti cordoni, oltre il sipario si intravedono due poderose colonne di marmo rosa e, sul fondo, un portone immenso è spalancato sul vuoto. Non siamo in un luogo normale. Madeleine Renaud è seduta immobile al centro della scena. All'improvviso suona un disco. Edith Piaf canta «Les mots d'amour», le parole dell' amore. Madeleine sembra ascoltarle, ritrovarle, ma per frammenti che si perdono. Dopo un paio di minuti entra in scena la Giovane Donna. Non si guardano. Anche lei ascolta il disco e finalmente chiede: «Riconosce questa canzone?». Comincia così Savannah Bay, l'affo unico scritto e diretto da Marguerite Duras, interpretato da Madeleine Renaud e da Bulle Ogìer, ospite l'altra sera della Biennale Teatro, al Malibran. Comincia con una dilatazione del tempo, con un gusto del silenzio, con un'aria di inafferrabile mistero che continueranno per tutta la rappresentazione. Mistero di parole e di eventi, mistero di sogni e di personaggi. Chi è, in realtà, la Giovane Donna che si avvicina a Madeleine mentre suona il disco? Lei dice di essere un» visitatrice quotidiana: «Giochiamo a carte, prendiamo il tè». Madeleine sembra crederci, ma all'improvviso smette di darle il voi e afferma: «Tu sei la mia nipotina, sei la figlia di mia figlia morta a Savannah Bay». C'è una verità, in tutto questo? Forse non è importante saperlo. Le due donne sembrano giocare a rimpiattino con un fantasma dell'immaginazione o della memoria. Sfogliano un album di fotografie, ci sono le immagini dell'attrice Madeleine, delle sue recite, e di tante ragazze sulla spiaggia; prendono il tè, mentre dilaga una rigonfia musica operistica e giunge il momento fatale. «Tu vuol sapere di Savannah Bay, ogni giorno la stessa storia», dice la vecchia attrice e comincia a raccontare di una grande pietra bianca in mezzo al mare, larga come una stanza e bella come un palazzo. Sulla pietra c'era miei"; le piaceva nuotare e li, sulla pietra, aveva conosciuto fluì». Un grande amore, troppo grande per una ragazza appena uscita dal collegio, che nuotava a lunghe bracciate e un giorno, .quel giorno-, non emerse più dall'acqua. E' un racconto lento, esitante, in un tempo scandito da parole e pause in reciproco equilibrio, con la voglia, interrotta a metà strada, di varcare la porta misteriosa oltre la quale, forse, c'è Savannah Bay. Ma se fosse tutto una finzione? Si, è nna commedia, dice la- vecchia attrice. Qualunque cosa recitasse, in qualunque parte del mondo, i?i realtà recitava Savannah Bay, e anche adesso recita questa commedia non scritta, che forse è la commedia della morte. Probabilmente è giusto interpretare questa realtà visionaria in uno stato di trance, come hanno fatto la Renaud e Bulle Ogier, sospendere le parole sul silenzio, soppesarne la portata evocativa; ma, quelle della Duras, sono parole d'aria e di sale, che sì aggregano in periodi smozzicati, fatti di riprese, di rincorse, di allitterazioni, di rime inteme, di frequenti iterazioni, devote più alla forma che al contenuto. E Madeleine Renaud le dice con vocino trasparente, con lo sguardo fisso in un punto invisibile, le mani, le celebri mani, che si muovono lente a mezz'aria, un po' a disagio. Non interpreta, dice. Ritrova un antico guizzo quando, attraversando il palcoscenico, rievoca una vecchia rappresentazione e pronuncia per tre volte la battuta .Bonjour madame'. In quell'attimo sembrano riaffiorare i suoi celebri Marivaux alla Comédie, la lontana coquetterie. Ma subito si torna alla bolla di Savannah Bay, iridescente, luminosa e forse vuota: Osvaldo Guerrieri

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