Silenzio, si gira il destino dell'uomo

Silenzio, si gira ti destino dell'uomo Silenzio, si gira ti destino dell'uomo lì film «Ran», in gestazione ormai da dieci anni, è il suo testamento - Grandi scene di battaglia sulle montagne di Kyushu: cavalli al galoppo, orìfiamme al vento, migliaia di disciplinatissime comparse - E' una storia di discordie fraterne che distruggono una nobile stirpe: «la stupidità assassina dell'umanità» - Kurosawa: «Ogni uomo nasce con il suo karma: in Macbeth si degrada, qui, come in Re Lear, finirà per riscattarsi morendo in pace» Durante l'estate, sulle montagne vulcaniche e tra i pascoli dell'isola meridionale di Kyushu, in autunno al piedi del Monte Fuji, il grande maestro del cinema giapponese gira «Ran» (letteralmente «caos», o «disordine»), una tragedia guerriera con accenti scespirlanl. Tema universale, esseri umani di fronte al loro destino: il potere, la vecchiaia, la morte. «Ran» è la guerra, l'inferno sulla terra. Alcuni,; prematuramente, parlano di «film testamento». Kurosawa non lo conferma. A 74 anni, infaticabile e piuttosto misterioso, gira, grazie al produttore francese Serge Sllberman, questa epopea in gestazione da una decina d' anni. E' il suo ventottesimo film. «Yoooi... Starto» (•Silenzio, si gira»). Amplificata dalla montagna, la voce imperiosa di Kurosawa arriva fino in fondo alla valle, dove manoi>ra sema sosta l'armata rossa. Magia delle parole del maestro — generale comandante arrampicato in cima a un'impalcatura di putrelle, sotto un ombrello multicolore — e frutto di non poca fatica, il disordine scompare ancora una volta. Sono le due del pomeriggio, nel Giappone profondo, sui bordi d'una prateria erbosa, ai piedi d'una montagna brulla, con un implacabile sole a picco. In un attimo non c'è più nulla nel campo, che non è ancora «di battaglia" ma che gli zoccoli di duecento cavalli hanno già devastato con le loro galoppate. L'armata rossa di Jlro, il figlio pusillanime, si è spostata dietro una cortina di alberi, come in una trincea, pronta per la scena 169 B. Silenzio. Si erano dimenticate le cicale dell'estate giapponese: la loro vibrazione si sente per un momento sulla banda del sonoro. Il momento clic 1 separa" «Yoi» " do' «Starto». Attimo breve, un grande attimo. Ai- -.bordi del terreno, prima del momento della verità, dei rischi della mischia, ognuno trattiene il fiato, frena lo slancio, e il proprio cavallo. E' la lesione ripetuta fin dall'alba. All'alba Per alcuni la prima seduta del trucco è cominciata alle 5. Le comparse, contadini o studenti della regione, abitanti in posti lontani dal set non hanno dormito molto: sul grande prato la vestizione degli uomini e la bardatura dei cavalli comincia di buon mattino. Poi vanno, in fila indiana, sul terreno di manovra attraverso un sentiero che si snoda tra due boschi radi e un campo di cavoli. Vanno a piazzarsi qua e là. avanzano, rinculano, aspettano per ore sotto il sole, sotto l'occhio del maestro e quello delle cineprese che incombono dall'alto. Come la voce. Rumore di passi: un migliaio di fanti con lance, archi e archibugi, elmi e bandiere. Tutta la bardatura del soldato dell' epoca, quindici chili, compresi i sandali di paglia che un giorno furono il suo premio. E di buon mattino si suda già. Dietro questa sfilata anonima, il martellamento di un migliaio di Boccoli annuncia i cavalieri con le loro gigantesche orifiamme. In testa c'è la brigata leggera, i «leaders», una cinquantina di giumente da western, arrivate per l'occasione dal Colorado...per via aerea. Kurosawa spiega che contrariamente,a quanto succede per gli uoml-' ni dell'arcipelago «i cavalli giapponesi non riescono a manovrare bene insieme». Una squadra di cavalli da .tiro mode in Japan si arresta, massa animale che sì muove con pesantezza: farà da riempitivo in secondo piano. La troupe ha impiegato ore per prendere posizione, poi a ripetere, praticamente sema fermarsi, sotto i diversi obiettivi di tre cineprese, i movimenti complicati, circolari, a intersezione che davano già questa effervescema, questa straordinaria mobilità cromatica alle scene di combattimento di Kagemusha, il film precedente di Kurosawa. Le comparse, per fortuna, sono giapponesi. Intelligenti, disciplinate, molto meno preoccupate delle loro condieioni di lavoro di quelle di Hollywood, di Cinecittà o di Billancourt, imparano rapidamente, sema protestare. Le pause sono poche, non c'è protagonismo, non c'è . sindacato. C'è una sola équipe (160 persone e 18 attori) uniti intorno ad una sola volontà, quella di Kurosawa. Ognuno fa quello che deve fare, e qualcosa di più. Ci si prodiga senza pretendere nulla. Andate a chiedere gli straordinari, un pasto caldo, provate ad esigere di lavorare soltanto per la vostra i-specialità; o a reclamare il rispetto dell'orario di lavoro quando siete giapponesi e quando l'uomo-orchestra settuagenario, polivalente e perfezionista, non sta fermo un attimo. Tutte queste cose . qui non vengono in mente a nessuno, salvo, non a caso, al '•'produttore francese abituato ad altre norme: «Sono stato lo — ci ha detto — ad esigere un riposo di 48 ore al mìo ritorno, in agosto: questi giravano senza soste da ventun giorni Sempre di buon umore l'artigiano fabbro giapponese (con dieci anni di tirocinio in Provema) lascia elmi e armature per trasportare sacchi di sabbia o-per' portare acqua da bere ai fanti. E nessuno si lamenta. «Voi», ancora una volta la magia del grido elettrizza, cancellando lè prove della mattina: gli svenimenti, le bizze dei cavalli, le cadute dei cavalleggerì, l'attesa paziente di una dozzina d'attori superbamente vestiti che chiacchierano e fumano nelle loro barbe false. Come in uno stadio prima del fischio d'inizio, la tensione si è sostituita al disordine. , •S,|ftrntj&'. -\ Esplosione^ liberatrice, si gira. Tra un coro d{firida^\r^rnqre.di zoccoli, di polvere'è di clangori, l'armata rossa esce dall'ombra. Piomba in pieno campo come una grande onda color fuoco, ubriaca di sangue. E' impressionante. «Ok... Kutto... Standby» («Alt, State al vostro posto»). Si rifarà la scena più volte. E gpoiché il sole all'improvviso gioca a nascondino, se ne prepara un'altra, prima del tramonto. Kurosawa lascia fare una manovra due o tre volte sema dire nulla. Poi, dall'alto della sua torre, dice al cavaliere che sprona il suo, animale con sonori «ho! ho!»; «Saburo, non devi gridare cosi! Sei un capo, hai abbastanza autorità, per evitare gli urli». E potrebbe aggiungere: «Pai come me». Dopo un «grazie» collettivo lascia il suo trono pieghevole di legno, la sua impalcatura, e ridiscende sulla terra. Imponcnte, con.^unrbenetto in testa, vestito con jeans slavati e una camicetta, colui che alcuni chiamano «l'imperatore . per l suoi modi autoritari avanza con passo pesante, nella luce ormai attenuata. La troupe fa i bagagli. Lui, con i piedi nell'erba, seguito a distanza da qualche assistente, traccia già, con l'occhio e con la mano, le grandi linee per la battaglia dell'indomani. Kurosawa è contento della sua giornata. Ama questo paesaggio, «con l'atmosfera molto trasparente, le belle scene che appagano lo sguardo». Il dramma procede in buon ordine, nel tempo. Sono già tre mesi e Ran è a metà della realizzazione. La storia è ambientata nell'era Taisho (XVI secolo), epoca di rinascimento artistico in un Giappone alla vigilia dell' unificazione politica, ma sempra preda di guerre tra grandi feudatari (daimyo). Il tema è quello degli Ichtinonji. Shakespeare l'ha sviluppato in Re Lear. Kurosawa si è ispirato a quella tragedia. Già nel 1957 Kumonosujo (Il trono di sangue) era una versione giapponese di Macbeth. La sceneggiatura di. Ran, firmata Kurosawa e Hideo Ogunt (coautore dei Sette samurai.) si legge come un classico. Alla fine della partita di caccia che apre il film, il vecchio signore Hiderota «superbo guerriero sopravvissuto a centinaia di battaglie», che ha fatto scorrere «fiumi di sangue», decide di donare il suo feudo m eredità al figlio maggiore. Egli sogna di vedere gli altri due dargli manforte per preservare terre e castelli che ha conquistato con le armi. Ma il secondogenito, respingendo le lodi ipocrite dei fratelli, denuncia la «senilità» e la «follia» di un calcolo del genere. •Tra poco 1 vostri figli si combatteranno, sangue chiamerà sangue», profetizza Saburo prima di essere messo al bando. Tutto ti film sarà il compimento ineluttabile, implacabile, di questa profezia: «Neppure Dio, né Buddha potrebbero salvare gli uomini dalla loro stupidità assassina», dice un protagonista al buffone che accusa II cielo di rallegrarsi della carneficina. La scena finale sembra confermare quel giudizio. Si vede Tsurumaru, un giovane cieco che ha conosciuto ogni sorta di sofferenze, che ha attraversato l'inferno della guerra ed è sopravvissuto, errare nelle tenebre che inghiottono le rovine e i morti della casa degli Ichimonji. E tuttavia, in questa notte da fine del mondo, rimane una luce di speranza: il tenue sfavillio d'una immagine del Buddha, dimenticata dalla grande distruzione. Simboli £ si scorgono simboli in ogni angolo della vicenda. Il tema, tenebrosa pagina di storiaste generazioni di uomini hanno vissuto sotto ogni cielo della Terra, sotto tutte le divinità e dietro tutti gli usberghi, si presta a molte interpretazioni. Dietro la perfezione tecnica e artistica di Kurosawa, i soggetti che egli affronta, i caratteri che tratteggia, gli orrori contrapposti alla bellezza, sono numerosi. «Giudicherete quando vedrete il film», risponde sempre il maestro, visibilmente annoiato da quelli che vorrebbero sentirlo parlare di Ran, scavare nella sua sceneggiatura o trasporre la sua morale nell'era nucleare. Quelli che vogliono sapere tutto sema avere visto ancora nulla. Spiegazioni del tema, analisi di caratteri, giudizi di valore: Kurosawa schiva le domande. «Non posso rispondere a questo genere di domande. Non faccio teoria con le parole, racconto una storia con le immagini. Guardatele, fatevene un' idea», dice il maestro. Costretto tuttavia a esprimersi sul senso profondo di Ran. finirà per dire: «Il problema più importante è evidentemente quello del rapporto dell'uomo con la morte. Ogni uomo nasce con il suo karma, con la morte all'altra estremità. Che fa di questo destino? In Macbeth l'uomo si degrada, in Re Lear si riscatta. Alla fine di Ran Hlrota muore rasserenato». Kurosawa non dirà altro. Ma l'indomani la signora Wada, che ha lavorato con lui alla realizzazione del costumi, ci darà qualche «impressione personale». «In Ran - dice - Kurosawa mostra 1 violenti contrasti dell' attività umana: da una parte la ricchezza culturale e artistica di un periodo di rinascimento per il Giappone, d'altra parte le guerre e le distruzioni. SI è agli estremi, al parossismo di una civiltà. Tutto è trasponitele, il passato deve illuminare 11 presente». Riferimenti al buddhismo sono sparsi nel film, con una miscela tra soprannaturale e realtà (come questa battaglia che si svolge nei meandri dell'inferno), aggiungendo altrove una lacrima di compassione al ruscelli di sangue. La signora Wada dice: «In effetti, a questo punto della sua vita,' Kurosawa appare preoccupato dal problema religioso». Ma piuttosto che interpretare quanto il maestro, forse, ha voluto dire, la Wada preferisce parlare del tempo trascorso con lui per ricreare, poi realizzare, abiti sontuosi, un mélange tra costumi della nobiltà del tempo e del teatro Nó. «Era la prima volta che lavoravo con lui. Contrarlamente a quello che si dice, non impone la sua volontà in modo autoritario, tranne che quando gira le scene. Kurosawa prima' ha disegnato egli stesso i costumi. Belli ma niente d'eccezionale: il solo imperativo era il rispetto dell'epoca. Abbiamo discusso per un anno e mezzo, abbiamo lavorato insieme, abbiamo modificato i disegni originali. Ho fatto delle ricerche, delle scoperte, delle proposte. Lui ha ascoltato, accettato 1 suggerimenti. Il lavoro è fatto di molta ricchezza ed egli mi ha lasciato un bel po' di responsabilità: è piuttosto raro». Come succede per il vecchio Hiderota che Kurosawa descrive, l'età rende il maestro più sentimentale? «Non 10 so — risponde un assistente che per anni ha lavorato a Hollywood — quel che so è che lui sa quello che vuole e che può fare tutto: la sceneggiatura, i piani, 1 costumi, le inquadrature, la regia. 11 montaggio, tutto. Cineasti di questo genere, dopo lui, non ce ne saranno più». R.- P. Paringaux Copyright «Le Monde» e per l'Italia «La Stampa» Akira Kurosawa (qui sul set del film Kagemushs) :«Non faccio teorìa con le parole, racconto una storia con le immagini» 11 regista nella caricatura di una rivista giapponese INCONTRO CON KUROSAWA, IL PIÙ' FAMOSO DEI REGISTI GIAPPONESI

Luoghi citati: Colorado, Giappone, Hollywood, Italia