L'Italia tra le guerre non è cresciuta male

La grandiosa rassegna al Colosseo tra consensi e molte polemiche La grandiosa rassegna al Colosseo tra consensi e molte polemiche L'Italia fra le guerre non è cresciuta male La crisi all'esame della Uil Attimo, «sos» dai Piemonte Dal '19 al '39 il nostro Paese ha tenuto testa alle potenze economiche mondiali - Una trasformazione che ha permesso la ripresa moderna ROMA — .Non togliete il vane ai figli dei vostri lavoratori: acquistate prodotti italiani». E' l'appello di uno del manifesti esposti alla mostra l'Economia italiana tra le due guerre, 1919-1939, organizzata al Colosseo dal Comune di Roma e dall'Ipsoa. Protezionismo esasperato, dunque, mascherato da populismo? In realtà quel monito rende bene il clima di un' epoca tuttora più vituperata che conosciuta. 'Illusioni, svalutandone, speculazione » — nelle speranze di Lino Severi, caricaturista del «Popolo d'Italia» — non dovevano essere che frecce di carta contro la lira, tornata solida dopo la rivalutazione del 1926. Ma, retorica a parte, la dirigenza sapeva bene di dover fare i conti con sistemi stranieri tanto più agguerriti di quello italiano e sospìnti all'egoismo nazionale per contenere il malcontento dei sempre più numerosi disoccupati. E' nel confronto con le economie d'Oltr'Alpe e di oltre Il grande arco d'alluminio KurOceano — talora documentato, altre volte implicito — che la Mostra del Colosseo meglio illustra lo sforzo compiuto per l'ammodernamento del Paese tra conversione della produzione di guerra, approvvigionamento energetico — per esempio con lo scambio di sommergibili, idrovolanti, locomotive e petrolio russo —, e l'invenzione di nuovi settori produttivi, persino un passo avanti rispetto alla concorrenza straniera. Intorno al 1930 — mentre erano le economie più avanzate a pagare i prezzi più alti della grande crisi — l'Italia ebbe tempo di recuperare la riva prima della tempesta, fronteggiata con la creazione dell'Imi e dcll'Iri e, infine, col ritorno alla produzione di guerra. Come da tempo sostiene Renzo De Felice — supervi- ina propaganda del regime su Sì della Camera al sore della Mostra e delle 600 pagine di catalogo, con 1000 fotografie e contributi di Galasso, Valiani, Medici. Prodi, Cafagna, Ricossa e altri specialisti —, dietro la dura maschera del nazionalismo, calzata nel timore di soccombere all'assalto dei concorrenti più forti e spregiudicati, la dirigenza economica fu sempre pronta a captare le esperienze altrui, dal pianismo sovietico al dirigismo di Roosevelt, e a tradurle in italiano d'intesa con un potere politico a sua volta interessato a conciliare lo slancio dinamico del capitalismo più attrezzalo con la redenzione di vaste plaghe della penisola dalla secolare arretratezza non risolta da sessantanni di vita unitaria. In un mondo di fame, egoismi e guerre, l'Italia non era l'unica ma l'ultima potenza a volere il suo «posto al sole». Di 11 il successo di certa retorica, che ritorna in tanta parte dei manifesti raccolti in questo primo grande affresco dell'Italia economica di icr 1' '42 precettato, tinti realizzalo altro: con una gamma di imprese, in ogni settore, nelle quali si intravedono le premesse per il miracolo di questo dopoguerra. L'ammodernamento dell' Italia, del resto, non aveva aspettato il fascismo per mettere radici. Giovanni Agnelli, Alberto Beneduce, Luigi Burgo, Olivetti, Volpi, Pirelli e tanti altri si cran fatti le ossa prima della grande guerra e proprio da quella esperienza avevano imparato ad apprezzare la pace. Era gente coi piedi ben piantati nelle fabbriche e nelle brume delle mezze maniche che il 31 dicembre di ogni anno tiravano i conti computando sulle dita e vagheggiando come miraggio inattingibile la «Tutalui-, prima calcolatrice della Lagomarsino, esposta alla Mostra del Colosseo accanto a vasel¬ lla lira stabile e inallaccaliilc alla legge che difende In 4 anni l'occupazione è scesa da 18.733 a 12 mila unità; la produzione è calata di un terzo - Una mappa di aziende in crisi TORINO — Promesse solenni non mantenute; aziende attive costrette a chiudere; miliardi destinati a sviluppare attività produttive e a reimfllegare lavoratori usciti dalle fabbriche mai utilizzati; disimpegno delle Partecipazioni Statali e conscguenti pesanti tagli all'occupazione, un «plano Prodi penalizzante». « Una lunga sequenza di aspetti negativi che rischiano di far morire il settore siderurgico in Piemonte. Un altro duro colpo inferto al tessuto industriale della regione», dice Sergio Agnolon, segretario regionale Uil, che oggi con la sua relazione apre a Borgaro Torinese un convegno organizzato dalla Confederazione sindacale per reagire a questa gravissima situazione settoriale. Dunque non c'è solo Bagnoli e Cornigliano; anche in Piemonte c'è un caso-siderurgia, forse un po' troppo sottovalutato. Un settore che ha subito nella nostra regione un forte ridimensionamento nel giro di soli 4 anni: 686 mila tonnellate in meno di acciaio colato rispetto ad un volume di 2 milioni 426 mila e con un notevole calo di addetti, passati da 18.733 a 12 mila. I sindacati non mostrano certo di voler eludere il problema del surplus di .acciaio rispetto al fabbisogno — un problema non solo italiano, ma europeo — ma non vogliono nemmeno che questo venga risolto senza distribuire equamente i sacrifici, e soprattutto senza dimenticare la necessità di scelte razionali. E invece sulla siderurgia piemontese — che l'anno scorso sembrava aver trovato un suo equilibrio interno e che può vantare un alto grado 'di specializzazione e competitività, come affermano gli stessi sindacati — si affacciano nuove minacciose nubi. Lo stesso «salvataggio» di Cornigliano con l'intervento di un pool di privati, considerato ovviamente un fatto positivo, può però ripercuotersi negativamente sul futuro di alcune aziende piemontesi Agnolon cita il caso dell'Acciaieria Tanaro (Cuneo) e dell'Eurocolfer (ex Ceretti) di Pallanzeno (Villadossola): Acquisendo il fuso da Cornigliano 6 possibile die diminuisca la capacità produttiva delle due acciaierie. Ma mentre per quella cuneese il problema interessa solo una parte dell'attuale produzione, per l'Eurocolfcr, l'aspetto assume maggiore drammaticità. A distanza di anni, questa azienda non Ita ancora avuto da Roma il benestare per poter fondere il potenziale di-acciaio assegnatole, pari a 350 mila t. di acciaio. Non riu sciamo a capirne le cause, ma a questo punto che cosa avverrà dei lavoratori dell'Ossola, una delle zone piemontesi più colpite dalla crisi?». Gli interrogativi che pone il sindacalista della Uil sono molti. «In quasi tutte le regio ni dove avvengono tagli ini piantisth-i e di organico, ri scontriamo che Viri crea qualche occasione di nuove attività; in Piemonte, invece le atlwità le riduce: perché?» E ancora: «La Cce ha deposi tato in banche, tra l'anno scorso e quest'anno, circa 100 miliardi di lire destinati al Piemonte e che dovevano servire ad iniziare o sviluppare attività produttive e reimpiegare i lavoratori usciti dalle fabbriche. Ma finora nessun siderurgico è rientrato al lavoro con quei soldi: perché?» Nell'82, con l'accordo Te ksid-Finsidcr si creò la società «Zincroksid» destinala, come ricorda Agnolon, a sviluppare una nuova tecnologia, la elettrozincalura, una tecnologia avanzala strettamente legata all'industria automobilistica. «Ma nell'ultimo incontro — dice il sindacalista della Uil — nel luglio di quest'anno, il presidente della Finsider Roasio e il ministro delle Partecipazioni statali Danila, ci hanno informati che molto probabil mente questa produzione andrà a finire a Cornigliano, nonostante la committenza sia proprio qui a Torino.» Dure anche le critiche nei confronti del nuovo «piano Prodi», una vera scure che rimette in discussione l'accordo Flat-Flnsider-Flm del maggio '82. Prevede ulteriori tagli per le tre aziende nate dallo scorporo delia Tcksld: per la Lai (laminati a freddo) riduzione di 120 posti di lavoro; per la Ias (acciai speciali) espulsione di 1200 addetti alla lai, chiusura di tutta 1 area a caldo Inox e conseguente spostamento a Terni della produzione con perdita di 500 posti di lavoro. «Eppure — dice Agnolon — la società lai ha chiuso il bilancio '83 sostanzialmente in pareggio e si prevede di chiudere quello dell'84 con qualdte miliardo in attivo. Qualcuno ci spieghi: quando mai in Italia si sono viste aziende die, con bilanci in attivo, decidono di chiudere i loro impianti?» Stefanella Campana IN FORM ITALIA lame Alessi, posate Broggi, macchine per cucire Nocchi, macchine da caffè Fumagalli, sigarette d'epoca (Macedonia, Mcnlola, Giuba) e tanti altri tratti della vita quotidiana, compresi gli spaghetti ammiccanti da una ghiotta vetrina di questa vivace policroma rassegna della filala gente dalle molle vite», che allora scopriva la velocità sulla Fiat 1100, la Lancia Aprilia, l'Alfa Romeo otto cilindri e la locomotiva Broda da 200 chilometri all'ora. Pur tra errori e iniquità, qui documentate dalla sezione sull'antifascismo e la discriminazione razziale, queir Italia riuscì a tenere il passo con Paesi tanto più robusti e forniti di risorse a basso costo; e modificò in profondità i costumi dei suoi abitanti se anche l'allora monsignor Angelo Roncalli, senza smettere di confidare nella Provvidenza, stipulò una buona polizza sulla vita (debitamente cs|K>sta al Colosseo) con lo Assicurazioni Generali. Era insomma la «Italia in cammino» sulla quale nel 1927 scommetteva Gioacchino Vol|>e, che ne aveva studiato a fondo la genesi nell' età comunale e il Risorgimento dopo le dominazioni straniere. Un grande pannello mostra un capitolo di quella epopea: centinaia di terrazzieri della cooi>erativa di Carpi, intenti a una bonifica, a colpi di piccone e di badile. Quasi un secolo dopo, quella stessa cooperativa, oggi cercata in lutto il mondo, ha pavimentato l'ambulacro del Colosseo ove la rassegna è aperta sino al 18 novembre (ed è già richiesta da New York, Londra. Torino). Uscendone il visitatore ha chiaro perché Giorgio Gullini, tra i nostri archeologi più reputati, e il sovrintendente La Regina non abbiano avuto dubbi sul discusso abbinamento tra la più riuscita ras segna storico-documentaria dell'economia italiana e il capolavoro dell'architettura classica. Malgrado peregrini appelli a restituire il monumento alla destinazione originaria (venationcs, ludi gladiatori naumachie, martirio di cristiani dunque?), l'accostamento suggerisce nel visitatore la somma ingegnosità, al tempo stesso, l'eroica fatica richiesta dall'Anfiteatro Fla vio: emblema di una grande civiltà del lavoro, che scrisse le sue glorie nelle strade e negli acquedotti, nei fori e nelle basiliche più che nelle battaglie vinte. «Anche la ricostruzione in scala Iti di un settore del Colosseo secondo i più accredi tati sttidi — spiega Giano Accame, redattore degli "Annali dell'economia italiana" della Ipsoa — non ha nulla di gratuitamente spettacolare, bensì vuol essere un tributo alla macchina (genio e lavoro) che mise a punto l'Anfiteatro Flavio. E' anche un augurio: die. a distoma di secoli, delle nostre realizzazioni rimanga almeno quanto oggi ci resta della civiltà classica». Constatiamo Intanto che dell'economia italiana odierna poco si spiegherebbe senza passare attraverso questa rassegna, cioè attraverso le esperienze, nel bene e nel male, del 1919-1939. limila. In manifesto pubblicitario della Balilla negli Anni .10