«Io, imperatore alla fame»

«Io, imperatore alla fame» «Io, imperatore alla fame» Dall'esilio del suo castello francese, Bokassa chiede di tornare in Centroafrica NOSTRO SERVIZIO PARIGI — «Voi giornalisti continuate a stupirmi quando, nei vostri articoli, parlate di Bokassa "ex imperatore". E' una definizione sbagliata! Si parla forse di Napoleone come di un "ex imperatore"? No. E' la stessa cosa: io sono l'imperatore del Centroafrica». Jean-Bedel Bokassa, in abito antracite, la mano posata sul grosso volume della Costituzione centroafricana, ha voluto subito chiarire le cose ricevendo una quindicina di giornalisti, a circa cinque anni dalla sua deposizione, nel castello di Hadricourt in Francia, dove abita dal dicembre '83. Per lui. non c'è ombra di dubbio: è sempre l'imperatore «che il popolo centroafricano ha scelto all'unanimità». Del resto, «la Francia era presente all'incoronazione, alla testa di tutti i Paesi amici»; il presidente Giscard d'Estaing «aveva delegato a rappresentarlo suo cugino Francois». Poi, «non so bene, è accaduto qualcosa». Quello che sa è che il suo aereo «è sfato attorniato da Mirage e costretto ad atterrare a Evreux». Qui il suo seguito è stato fatto scendere, lui è rimasto solo a bordo: -Quattro uomini ;h( hanno svestito, mi hanno palpato dappertutto...Sono rimasto quattro giorni e quattro notti in quell'aereo, sema mangiare né bere. Fuori nevicava». Secondo l'esule di Hardricourt, l'artefice di tutte le sue sciagure «è HouphouétBoigny, il grande satana, il traditore, un uomo pericoloso che ha rovesciato molti capi di Stato». E' stato lui a «chiedere a Giscard d' Estaing di rovesciarmi», lui a creare «la leggenda secotido la quale sono cannibale». Di questo è sicuro: «Un francese, il signor Richard, mi ha raccontato come è stata architettata la macchinazione di Giscard e Houphouel. Ma c'erano ini- crofoni dappertutto a Abidjan. Pochi giorni dopo. Pichard è stato ucciso da un colomiello francese nella sala del Casino deHHotel Ivoire, all'epoca capo dei servisi di sicurezza del presidente ivoriano». Oggi, a Jean-Bedel Bokassa resta un solo desiderio: «Rivolgo una preghiera a Mitterrand: mi lasci tornare nel mio Paese». In Francia non può più vivere della sola pensione di capitano, «7 mila franchi (un milione 400 mila lire) di cui restano, con le detrazioni, 5.998 franchi». Non ha il denaro per sfamare e vestire i nove dei 15 figli che condividono il suo esilio, per far portare sulla sua scrivania, dove troneggia un busto di Napoleone, scatole di manioca, riso e legumi secchi: ..Ecco co/i che cosa li ho nutriti...Ma ora lo stock si sta esaurendo...Ora rischiano la vita mangiando frutti sehwtici e fungili forse velenosi trovati nel parco». C'è infine un che di patetico nel discorso sconnesso di quest'uomo che dichiara, battendo i pugni sul tavolo: min tutta la mia iuta ho solo fatto cose buone. Tutto quello che so mi è stato insegnato dalla Francia. E' la Francia, siete voi che mi avete formato, è grazie a t'oi che sono diventato qualcuno». Per questo è pronto a dimenticare «le macchinazioni dei servizi speciali francesi», pronto a tornarsene «a casa mia, anche se dovessi essere ucciso». perché «a casa mia. in Centroafrica, le cose l'anno molto male adesso. Dirigere un Paese non à cosa da tutti». I cameramen ripiegano i cavalietti, una grossa limousine entra nel parco. A bordo, nove bambini allegri che tornano da scuola e ridono di gusto dietro i cristalli. J.-M. Durand-Souffland Cop>rijjlil ci* Mondo e pir l'Ilalia ci.a Stampai

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