Amleto nella casa degli angeli di Francesco Vincitorio
Amleto nella casa degli angeli ITINERARI TRA RUBENS, VAN DYCK, REMBRANDT, TIZIANO E DÙRER Amleto nella casa degli angeli REGGIO EMILIA — Come in un museo, la visita dei «Capolavori della pittura antica» della Fondazione Magnani-Rocca può essere fatta in vari modi. Il più consueto e ovvio, osservare, una per una, le 35 opere e le 6 miniature esposte, consultando diligentemente il bel catalogo, curato da Vittorio Sgarbi, pubblicato da Arnoldo Mondadori. Altro modo, dopo una prima ricognizione, soffermarsi soprattutto su alcuni periodi storici — qui variamente rappresentali — clic per qualche ragione interessano il visitatore. Per esempio, il Seicento die conta tre stelle di prima grandezza come Rubens, Van Dyck e Rembrandt, presente con l'acquaforte nota come II Dottor Faust. Oppure il Trecento, documentato da quattro «fondi oro» dai nomi suggestivi quali Mello da Gubbio, Cristoforo di Jacopo, Giovanni del Biondo e il Maestro di Figline. Tutti modi legittimi, magari con una punta d'invidia per Lui¬ gi Magnani, die questi capolavori può goderseli quando e come vuole, in più con quel particolare piacere che deriva da un lungo, amoroso studio dell'opera. Ma c'è una terza maniera, forse meno ortodossa, ed è quella di vestire i panni del cacciatore e via alla ricerca delle emozioni che, per cause misteriose, a volte, si provano guardando un'opera d'arte. Caccia libera Una specie di vagabondaggio, seguendo l'istinto, tanto più fruttuoso in questa casa dove, come ha detto di recente lo stesso Magnani, in una intervista a II Giornale dell'Arte, «si sono posati gli angeli». Una caccia libera, in un territorio cronologicamente amplissimo che va da una rara Madonna-reilquarlo dell'XI Secolo fino a La ninfa del deserto che lo scultore Lorenzo Bartolinl lasciò incompiuta alla sua morte, nel 1850. Aggirandomi per le sale di Palazzo Magnani, a me l'e¬ mozione più intensa l'ha suscitala non una pittura bensì una incisione. Precisamente quella celeberrima del Dùrer, intitolata Mclancolla. Visto e rivista, opni volta risento la stessa profonda inqulètùdtnc provata nel primo incontròconquella .figura è ciò chela circonda. Del grande pittore tedesco, in questa collezione, a parte altre set famose stampe, c'è un .olio raffigurante una Madonna col bambino, detta del Patrocinio, che molti considerano il gioiello più prezioso della raccolta. Scoperta, poco più di vent'anni fa in un monastero di Bagnacavallo, è opera bellissima che e} ha emozionato tutti, quando Longhi ne parlò su Paragone. Qualsiasi museo vorrebbe possederla. Ma, chissà perché, in questa circostanza, nella mia predilezione, è stata posta un po' in ombra da quel semplice foglio di carta, su cui una donna pensosa sembra scrutare il mistero del destino Sono cose che succedono ai «cacciatori d'angeli». E a questo proposito mi sia concesso di parlare della seconda occasione in cui fio sentito scattare in me quella particolare emozione.. L'arca, 'quella del Quattrocento. Vagando tra là Madonna di Filippo Lippl e quella del senése Pietro di Giovanni Ambrosi e con un occhio al Cristo del Carpaccio e al San Pietro del Ghirlandaio, un'attrazione improvvisa verso una tempera degli albori di quel secolo straordinario: il S. Francesco che riceve le stigmate che Gentile da Fabriano dipinse, probabilmente, per i francescani della sua città. Datazione assai controversa ma unanime il giudizio sulla sua qualità poetica. Specie — come ebbe a sottolineare uno storico — per quell'ombra nitida, vera, dietro il corpo del fraticello, «forse il primo effetto di tal genere nella storia della nostra pittura». Il Gotico fiori-' lo sta lentamente, quasi insensibilmente trapassando in quel qualcosa che sarà il Rinascimento. Come non provare una specie d'ebbrezza, d'epifania? Ed eccoci al terzo «incontro» durante la mia battuta di caccia. Dapprima quasi snobbato, forse perché distratto dalla splendida, "giovanite Sacra Conversazione del Tiziano,' dai due ferraresi Mazzolino e l'Ortolano, da un Beccafumi più che mai di stupefacente modernità, senza contare Tiepolo e Pittoni, eletti rappresentanti del Settecento veneto. Quel Fiissli Il «prescelto», per quelle ragioni strane, agli altri spesso incomprensibili, a cui accennavo: il Fiissli. Le opere dello svizzero-inglese non sono molto frequenti nei musei italiani, malgrado i suoi lunghi soggiorni in Italia. La sua riscoperta, specie da noi, è di data piuttosto recente. Il dipinto Magnani fu eseguito intorno al 1790 e raffigura Amleto e il fantasma del padre. Epoca e tema, in genere, da non farci pazzie. Eppure, forse per quel nodo intricatissimo di classicismo e anticlassicismo, per quella visionarietà che apre spiragli improvvisi sull'inconscio, una volta posatovi l'occhio, diffi- die resistere al suo fascino. Una sorta di vortice che risucchia, da cui- si riemerge più incerti ma coti la consapevolezza di una spiritualità «sublime» che riscatta l'essere umano. Spiritualità, parola rischiosa nella problematica artistica, da maneggiare con precauzione ma che, a mio parere, aleggia su tutta questa collezione. Forse perché — ed è ancora lo stesso Magnani a ricordarcelo — nelle sue intenzioni doveva essere una «anti-collezione». Una specie di museo ideale, immaginario, un atto d'amore da parte di uno studioso die ha dedicato totalmente la sua vita, giorno dopo giorno, all'arte. Appunto perché qualche «angelo» si posasse sulla sua casa. Francesco Vincitorio
Luoghi citati: Bagnacavallo, Fabriano, Gubbio, Italia, Reggio Emilia
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