Appello di Vesce: non basta dissociarsi bisogna propagandare la dissociazione di Vincenzo Tessandori

Appello di Vesce: non basta dissociarsi bisogna propagandare la dissociazione L'opinione di uno dei protagonisti del «7 aprile» in soggiorno obbligato a Pontedera Appello di Vesce: non basta dissociarsi bisogna propagandare la dissociazione DAL NOSTRO INVIATO PONTEDERA — «Sono dentro il movimento della dissociazione che ha come obiettivo combattere la violenza*. dice Emilio Vesce, protagonista del processo «7 Aprile», uscito dal carcere 1' altra sera dopo G anni e mezzo, in soggiorno obbligato qui a Pontedera. Nella lunga strada del terrore, il capitolo •dissociazione» potrebbe essere l'ultimo, di certo è tra 1 più importanti perché coinvolge decine di reclusi, siano stati terroristi sanguinari, fiancheggiatori attivi o, come sottolinea Vesce, «anche innocenti finiti per errore tra le sbarre*. E comprende pure 1 magistrati impegnati in prima linea al momento dell' emergenza: 1 torinesi Giancarlo Caselli e Maurizio Laudi, il fiorentino Piero Luigi Vigna, I padovani Guido Calogero e Giovanni Palombarlni, il romano Ferdinando Imposlmato. Dissociarsi e pentirsi, respingere l'ipotesi perversa della lotta armata o volerla cancellare: oggi li fenomeno è radicato nelle carceri e questo, afferma 11 professore ex leader dell'Autonomia padovana, «non significa aderire agli schemi precostituiti, essere d'accordo con i teoremi. Abbiamo molto discusso in prigione sulla possibilità di aprire un dialogo con i giudici che avevano lottato contro il terrorismo Quando venne fatta quella scelta la stagione degli anni di piombo non era ancora trascorsa e all'Interno delle galere mostrare atteggiamenti che non fossero di «guerra perpetua» poteva costare caro. Ricorda Vesce: «17 semplice fatto di chiedere per favore ad un secondino di aprire un cancello equivaleva ad un tradimento, ed esisteva la possibilità di essere accoltellati in cortile all'ora dell' aria. Soltanto per il fatto di parlare con un giudice significava "collaborare". Siamo stati fortemente criticati per aver subito accettato il dialogo*. Vesce osserva che «fra i pentiti ci sono quelli che V hanno fatto realmente, che hanno avuto orrore delle storie di sangue vissute; ma ci sono anche gli altri, i truffatori, gli opportunisti. Un conto è "dissociarsi" e un conto " dissociare", cioè dire ai terroristi: "Non slamo d'accordo con voi e vi critichiamo". Questo facciamo noi*. Il discorso nato a Rebibbia va avanti. Vesce, Mario Dalmavlva, Valerlo Morucci. Franco Tommei e altri quarantasei lo hanno iniziato, ma molti già lo seguono. Anche numerosi considerati «Irriducibili» ora vacillano, considerano con altri occhi i «pentiti». Osserva Vesce: «Qualcuno afferma che essi perdonano i pentiti. Ma è improprio dire così perché semmai sono loro a dotier chiedere perdono*. La grande discriminante tra le formazioni clandestine e il «movimentodei quale il professore padovano ha fatto parte per anni infocati, era «<2 rispetto per la vita umana*. Vesce è stato tra i fondatori di Potere operalo e ora dice: «Ho rivisto la mia storia, interamente le mie esperienze e non le nego perché non posso negare la mia vita. Però le critico: veniva fatta per esempio una sistematica apologia della violenza, in quel tempo. Vi furono, è vero, grandi intuizioni ma anclie un'incredibile capacità di astrarsi dai problemi reali». Poi ricorda gli anni violenti e ricorda gli arresti, i molti finiti dietro le sbarre. Uno solo è riuscito ad andarsene dalla porta principale: Toni Negri, professore di dottrina dello Stato all'Università di Padova, eletto nelle Uste radicali, come più tardi accadrà per Enzo Tortora. Il ricordo è venato di rimpianto più che di polemica. Dice Vesce: -Abbiamo vissuto la sua fuga molto male. Avevamo sperato che se una persona come lui fosse entrata in Parlamento avrebbe portato argomenti su quei temi che più ci stavano a cuore. Certo che se avessimo scelto noi il candidato per rappresentarci non avremmo indicato Negri. La sua è stata una scelta personale. Ha avuto paura». Vincenzo Tessandori

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