Missione America di Arrigo Levi

Missione America L'AMBASCIATORE ORTONA RICORDA Missione America Nel novembre del 1944 Egidio Ortona, diplomatico di carriera, nato a Osale Monferrato, con esperienza di problemi d'economia fin da quando, subito dopo l'ingresso in diplomazia, aveva partecipato nel 1933 alla conferenza economica di Londra, partiva per l'America per una missione che sarebbe dovuta durare poche settimane, e il cui scopo era di sollecitare aiuti economici per l'Italia distrutta e sconvolta dalla guerra ancora in corso. La missione, di cui facevano parte Raffaele Mattioli ed Enrico Cuccia (il primo era capo-delegazione insieme con Quinto Quinticri), durò quattro mesi c ottenne risultati limitati; ma gettò le basi di un\| lavoro tenace e produttivo che toccò a Ortona di continuare presso la rappresentanza diplomatica italiana con Alberto Tarchiani. Accadde anzi che Ortona iniziasse, con quel viaggio, una lunghissima esperienza americana, che egli doveva concludere, dopo cinque lustri di successivi soggiorni, come ambasciatore. Ortona, che spicca nella storia della diplomazia italiana di questo dopoguerra (se non mi fa velo un'amicizia che dura da anni) come il più classico «diplomals' diplomai», ossia come il più diplomatico tra i diplomatici, ha ora ordinatamente e limpidamente esposto i ricordi del suo primo periodo americano, tra il 1944 e il 1951, in un volume edito dal Mulino nell'importante collana «Storia: memoria», col titolo Anni d'America. Questo volume, che Ortona ha un po' esitato a pubblicare, forse timoroso che esso risentisse, come osserva, «della deformazione linguistica di chi ebbe a scrivere per tutta la sua carriera rapporti "al signor Ministro"» (si tranquillizzi: il suo stile ha un timbro inconfondibile, che riflette correttamente il senso di misura e di responsabilità di un personaggio e di una professione), è, oltre che di gradevolissima lettura per il gran numero di gustosi ritratti di personaggi e di aneddoti narrati, importante per almeno due ragioni. Lo è come contributo significativo alla ricostruzione di come furono poste le basi dell'alleanza americana dell'Italia, e di come il lavoro svolto per costruirla da un gruppo di impegnati funzionari e di politici abbia influito sulle storiche «scelte di campo» della rinata democrazia italiana; lo è anche quale documento esemplare di come la diplomazia funzioni nel nostro tempo, o possa esser fatta funzionare: quasi un manuale «per esempi» di diplomazia. Questo secondo tema affiora nelle memorie di Ortona in modo consapevole, anche se egli dedica soltanto poche osservazioni di passaggio ai metodi con cui un diplomatico di coscienza e un patriota, quale egli era, riusciva a far valere gli interessi del suo Paese presso un grande e potentissimo alleato. Conclusa la missione Quintieri-Mattioli, Ortona, che rimaneva a Washington, osserva che i primi quattro mesi della sua esperienza americana gli avevano già consentito di fare varie constatazioni: «La prima, scrive, fu la necessità di un ridimensionamento dell'effettivo grado d'importanza, dal punto di vista politico ed economico, del nostro Paese. Avevo potuto rendermi pienamente conto che soltanto con una valorizzazione, attuata attraverso una intelaiatura di rapporti personali, e con una forte capacità di persuasione, si poteva attrarre sull'Italia l'attenzione degli organi decisionali americani, presi come essi sono dafproblemi posti sia da una vastissima clientela di amici e alleati, e sia dalle ambiguità o dalle mosse di tiepidi seguaci o di nemici potenziali». Armato di questa regola aurea, valida ancor oggi, Ortona affrontò la sua lunga battaglia americana, costruendo un'incomparabile «intelaiatura di rapporti personali», che comprendeva funzionari, politici, giornalisti, nonché dame dell' alta società washingtoniana; la galleria di personaggi presentata da questo libro di memorie è ricchissima e penetrante. Emerge dalla narrazione l'insostituibilità della funzione diplomatica: al confronto, le iniziative dei politici appaiono come fatti occasionali, spesso di esito incerto. Occorre invc ce un lavoro svolto «canaliz¬ zando un'azione attraverso pochi individui ben scelti», capaci di influenzare le decisioni degli statisti responsabili. Questa può sembrare cosa ovvia, ma non lo è: anche tta i diplomatici (ricordo alcune pungenti riflessioni sulla diplomazia contemporanea di Roberto Ducei, pubblicata sul Times al momento di lasciare la sede di Londra e un'illustre carriera) vi sono molti dubbi sull'utilità dell'azione diplomatica in quest'età dei jets e degli incessanti «vertici» tra statisti. Dai ricordi di Ortona, che coprono un arco di tempo nel quale vennero compiute scelte davvero storiche, dall'Unrra al piano Marshall e al Patto Atlantico, risulta invece con evidenza l'importanza determinante del mondo dei funzionari, dei burocrati e dei diplomatici, sia americani che italiani; al confronto, anche le più grandi figure del tempo, da Sforza a De Gasperi, appaiono non di rado esitanti, anche se poi le «svolte storiche» rimangono associate ai loro nomi. Quella di Ortona, non si fraintenda, non è una storia vista da dietro le quinte; egli non esita a riconoscere ad alcuni statisti, da Truman ad Acheson, da De Gasperi allo stesso Sforza (che pur non amava tanto), i loro grandissimi meriti; ma dimostra anche che la diplomazia professionale ha ancora una sua insostituibile funzione da svolgere. Come documentazione di una fase cruciale nella storia della rinata democrazia italia¬ na questo libro è ricco di illuminazioni e riporta alla memoria cose importanti e dimenticate: ad esempio, quanto fossero state titubanti, e persino riluttanti, le fondamentali scelte in senso occidentale ed atlantico dei politici democratici italiani; quanto forti e persistenti le tentazioni neutraliste o terzaforziste; quanto radicati e tenaci alcuni pregiudizi ed antipatie antiamericane. Ortona mette nella giusta luce l'influenza esercitata da alcuni grandi ambasciatori, come Tarchiani e Quaroni, sulle decisioni dei politici. Alla fine la scelta di campo emerse, con assoluta chiarezza, dal voto popolare del '48, quando fu adottato «il sistema politico aperto alle più costruttive suggestioni della democrazìa», quello che meglio garantiva «la libertà e il benessere». Ortona dà tutto il rilievo che merita alla politica degli aiuti americani, e non copre certo di veli le finalità dichiaratamente politiche di quella politica, di cui offre un'appassionata difesa. In quegli anni, «tra due fedi opposte una terza non si dava», e la scelta fatta, a distanza di tanti decenni, resta quella giusta; chi fu obbligato a farne una diversa, compresi Paesi per tanti versi cosi simili all'Italia, dalla Polonia alla Cecoslovacchia e all'Ungheria, non ha mai più potuto cambiarla. Forse c'è qualcuno oggi, anche tra gli eredi della «fede opposta», che abbia obiezioni, o rimpianti? Arrigo Levi