La tribù degli italiani piace agli antropologi

La tribù degli italiani piace agli antropologi La tribù degli italiani piace agli antropologi DAL NOSTMO INVIATO LOS ANOELE8 — Dicci antropologi americani si sono .scote»u(i a Los Angeles sulla tribuna olimpica, già con risultati anche comici. Uno di loro, per esempio, studiando attentamente il comportamento degli atleti australiani, ha creduto di poter stabilire die essi amano l'alcol c cercano dunque bar autorizzati nello spaccio di bevande appunto alcoliche. Altri hanno emesso bramiti di godimento verificando che americani del Wisconsin fraternizzano con australiani (ancora) del nuovo Galles del Sud. Ma c'è anche del buon lavoro serio, rilevamenti sul comportamento dell'uomo in un territorio uiioro, gestualità comune oppure no, senso speciale dello spazio quando questo spazio è provvisorio (per esempio nella sistemazione degli effetti personali dentro le camere del villaggio). Un lavoro con infinite diramazioni, scicnti/iclie ma anche letterarie. Un lavoro che gli antropologi definiscono durissimo per i limiti posti dalle distanze tra un' impianto e l'altro, dagli spostamenti, dal servizio di sicurezza: proprio come se questi antropologi fossero giornalisti. E in fondo i giornalisti un po' debbono essere antropologi, almeno nello sport. La tribù italiana. 8 medaglie d'oro dopo otto giorni effettivi di gare olimpiche, è apparsa agli antropologi del villaggio fra le più omogenee. Ora. per chi conosce gli italiani, questo sembrerebbe slpni/icare che gli antropologi non hanno capito niente. E invece no: la tribù italiana è effettivamente omogenea, ma lo è per una finzione, una recitazione da villaggio, da Olimpiadi, per un miracolo che soltanto lo sport riesce a compiere, con frequenza viziosa. All'antropologo statunitense ed anche — prof littoriamente — all'osservatore italiano, davvero il lottatore siciliano Caltabiano risulta eguale al lottatore romagnolo Maenza. E non solo: il lottatore Maenza ha molti punti di contatto, mica soltanto la divisa disegnata da Valentino, con lo specialista in windsurf Klaus Maran, altoatesino. Il fatto è che ci sono poche rappresentative inquadrate, irreggimentate, uguallzzate bene come la nostra. Persino i calciatori sono stati assorbiti nel sistema, ed è pensabile che anche in questi giorni provvisori di Stanford si comportino come al villaggio di Los Angeles. Dove per la verità pare che qualcosa di non perfettamente olimpico abbiano combinato, però in maniera goliardica e simpatica, da fare invidia (andare a vedere una manifestazione di un altro sport tenendo sulle ginocchia un' atletessa. non male, di un certo sport) più che sdegno. E comunque nell'insieme risultando buoni membri della tribù. Come organizzazione, come mobilitazione generale, la rappresentativa ita¬ liana ha la compattezza di una compagnia militare tedesca o cinese o giapponese l colonnelli, i dirigenti, piombano in perfetto orario al fronte. Carraro ti dirigente massimo fa le sue Ispezioni cronometriche. Nebiolo il ministro degli Esteri è esemplare, puntuale negli abbracci che contano. Proprio l'organizzazione olimpica, di tipo militare, fa sì die non ci siano attriti fra chi all'Olimpiade sta per mezzo sfizio (i calciatori, ad esempio), chi ci sta pei fare soldi (quasi tutti gli altri), chi et sta per passione (o chi: i canottieri, certi ciclisti, tutti però soggetti comunque alla legge del profcssionalismo, se non del professionlsvio: intendere cioè lo sport come mestiere, come lavoro, anclic se non subito come business). Ciò constatato e riferito, ci si dei* chiedere se le vittorie che raccogliamo sono state poche, rispetto a simile mobilitazione. Diremmo che per ora sono giuste: arriva qualche medaglia inattesa, sparisce qualche medaglia che si p-~nsava già nostra. La tentazione di cedere al contagio statunitense, godendo sempre senza pensare alle assenze che ci hanno favorito, è grande Ma ci sembra giusto dire che la tribù nostra è perfetta in assoluto, che vinca o che non vinca Questo è ti vero nostro successo, o almeno il vero nostro esperimento (riuscito) ai Giochi di Los Angeles 1984. g. p. O.

Persone citate: Caltabiano, Carraro, Klaus Maran, Nebiolo, Stanford

Luoghi citati: Galles, Los Angeles, Wisconsin