Sfida della ragione

Sfida della ragione 200 ANNI DALLA MORTE DI DIDEROT Sfida della ragione Si può, in occasione del secondo centenario della morte di Denis Diderot (avvenuta il il luglio 1784, quando i! filo solo aveva 71 anni), riconsiderare non solo la sua opera e la sua figura — come stanno facendo convegni c seminari in ogni parte del mondo — ma anche più in generale il significato dell'Illuminismo per la cultura attuale. !.' molto legittimo, giacché Diderot, più di ogni altro grande pensatore francese dell' epoca — certo più di D'Alembert e di Rousseau, e più dello stesso Voltaire —, si può considerare la figuia emblematica di tutto il movimento illuministico; ciò non solo per i contenuti del suo pensiero, del resto difficilmente riducibili a unità sistematica, ma anche e soprattutto per il fatto che fu lui a dirigere, lungo tutto il cammino della sua iit.imm.ttica vicenda editoriale ( 18 volumi di testo usciti tra il 1751 e il 1766), riìncyclopcdic, che è giustamente considerata la Mimma della cultura dei lumi Anche per questo, la storia dell'Illuminismo francese si identifica largamente con la vita di Diderot: è ciò che si può vedere con granile evidenza nella magistrale biografia (Diderot, due volumi), di Artur M. Wilson, recentemente ristampata da Feltrinelli, che è un vero e proprio panorama di tutta la storia intellettuale francese del '700. Se dunque cerchiamo di ripensare l'Illuminismo attraverso quella vivace e cmblcmati ca espressione di esso che e la figura di Diderot, che cosa troviamo? Anzitutto dobbiamo prendere atto che con la fine dell'egemonia hcgelo-mar xista che ha caratterizzato I; nostra cultura degli Anni Cin quanta e Sessanta, sono cadut anche molti pregiudizi nei confronti dei significato e del la portata dell'Illuminismo. Non siamo più tanto sicuri — con Adorno e i teorici di Francoforte — che la raziona lizzazionc del lavoro sociale t là diffusione dell'informazione con i nuovi medili di massa siano destinati fatalmente, contro le speranze degli illuministi, a produrre nuovo dominio e nuova oppressione; né che alla ragione ancora troppo intellettualistica e astratta degli illuministi, si debba sostituire una ragione più comprensiva, capace di abbracciare il reale movimento dclli storia — la ragione dialettica di Marx e del materialismo storico. La «crisi delia ragione», di cui si è cosi spesso discusso in questi ultimi anni, non ha col pito tanto la ragione illuministica, quanto piuttosto questa ragione più comprensiva, che si pretendeva capace di cogliere, e accompagnare, il corso reale e necessario della storia. E questa ragione che si è rivelata un fantasma ideologico e una tentazione totalitaria. La crisi di questa ragione ci ha ricollocati, nei confronti del problema della razionalità, in una posizione largamente analoga a quella degli illuministi. Tale analogia, se consideriamo specificatamente il pensiero di Diderot, ha almeno due aspetti rilevanti. Anzitutto, per Diderot come per noi, la razionalizzazione della vita sociale non si presenta come I' impresa di imporre schemi scientifici alla società, stabilendo una specie di governo dei dorti: tecnici, economisti, scienziati di ógni tipo. Non era su questo modello che Di' dcrot e i suoi amici enciclopedisti immaginavano la figura del pbilasaphe, dell'intellettuale impegnato nella trasformazione della società. Questi, come Diderot stesso, era molto più un «letterato», uno scrittore, editore, giornalista, critico: insomma qualcuno impegnato a rendere i risultati della scienza patrimonio comune. L'insistenza degli illuministi sull'educazione, sull'illuminazione delle coscienze, e anzitutto sull'informazione, anticipa lucidamente la consapevolezza, oggi cosi essenziale per noi, che alla razionalizzazione della società si arriva solo at traverso la costruzione di un consenso basato sulla più ampia capaciti di tutti di decidere in base al sapere effettivamente disponibile. A questo fine doveva servire, anzitutto, l'Enciclopedia: che prima di ogni proposito critico aveva uno scopo, in largo senso, di vulgativo. I problemi posti da questo modo di concepire la rssocetmcpsiogagccAsdmtrn razionalizzazione non sono stati, da allora, risolti: anzi si sono latti cstfcmamcntc più complicati; ma è cctto che essi si pongono per noi nei termini in rui, forse per la prima volta, li poscto illuministi come Diderot. Una seconda, amor più profonda, analogia lega la no stra condizione a quella degli illuministi: cadute le pretese omnicomprensive di una ragione «dialettica», capace di abbracciare tutto il leale, la ragione si rittova a fate i conti con ciò che le è esterno, cioè con la natura. // sogno di d' Alembert, una delle o|>crc filosoficamente più significative di Diderot, attesta che il suo modo di sentire, più che di teorizzare esplicitamente, il rapporto tra la ragione e la natuta è largamente simile — anche con le sue contraddizioni — al nostro di oggi. In quest'opera, Diderot illusila una visione del mondo materialistica e deterministica: per lui non c'è altra realtà che la materia, la quale è capace di vita e di oiganizzazionc, e con il suo sviluppo (secondo uno schema evoluzionismo che antiiipa laigamtntc quello di Darwin) può dar luogo agli organismi superiori e al pensiero. Tutta questa evoluzione della materia, che richiede tempi lunghissimi rispetto a cui la durata della vita umana, e della stessa storia, è irrisoria, è retta da leggi esatte, come quelle che regolano il moto dei pianeti. In questa ptospcttiva, senilità the l'etica sia destinata a perdere ogni senso, e cosi tutta la cultura dell'uomo: istituzioni, sentimenti, ci|>cic. Ma sia nel Sogno, sia nel romanzo /<i«/m.i // faldata, Diderot accompagna questa metafisica detetministica con una paradossale ri affermazione dell'importanza della stella e dell'impegno etico. E' vero che, sullo sfondo infinito della natura, <lcllc disianze galattiche e delle ere geologiche, la storia dei sìngoli e delle civiltà appate solo come un granello, una leggera increspatura. Ma, viceversa, è anche vero che, come D'dctot scrive in un articolo MVIinaclopcdia, me si bandisce dalla fama della 'l'erra l'uomo o l'essere pensante e contemplante, lo spettatolo patetico e sublime della natura divalla una scaia triste e muta», e in definitiva senza senso. Una natura sentila e pensa la così non può più essere, per Diderot come per noi, ciò che ancora era stata per il razionalismo seicentesco, un mondo di leggi rigorose a cui attinge re anche le norme certe |>cr il comportamento dell'uomo. Essa esercita piuttosto, nei conftonti del pensiero, una funzione di «sfondamento»: sul suo sfondo, infatti, perdo no di significato le pretese do gmatichc dei sistemi inculisi ci, e diventa urgente ricono sette la pluralità e storicità delle culture umane, avviandosi a concepire la ragione come capacità di dialogo. Con tutti i paradossi the, per Diderot <"omc per noi, questa impresa comporta Gianni Vattimo Didero! e, sotto, Vollairc (dall'Knciclopcdia, ed KM.Ricci)

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