Miles Davis fonde squilli da consumare

Miles Davis fonde squilli da consumare Miles Davis fonde squilli da consumare Contro il logorio delle mode un Paoli vi rinfranca IL nuovo Miles Davis, quello clic nel giorni scorsi Ita strappato l'entusiasmo al pubblico e alla critica presenti al concerto ternano di «Umbria Jazz-, è più o meno il medesimo Miles Davis che ritroviamo nel nuovo long playlng messo ora in circolazione dalla Cbs olandese (importalo anche in Italia e distribuito regolarmente), esposto in contemporanea nelle vetrine di tutta Europa. Maestro nella gestione del proprio personaggio (un divo del jazz costruito sui modelli di uno star system di derivazione ìiollywodiana), Miles Davis propone ormai at suoi fans una immagine che contrasta con il inusicista dalle idee severe e radicali che un tempo conoscevamo. In effetti, Davis e il suo doppio vogliono oggi costruirsi il palazzo d'argento (grosso coinè il Rite) proprio iti faccia al castello di un Michael Jackson. Davis pare rinunciare alla sua autentica vocazione per scendere nel compromesso di un'arte (quella di Miles è sempre comunque arte) «/ustori» dove rock e jazz si confondono dentro i liquidi di una pozione buona a tutti gli usi, una specie di «c/isir» che il dottor Dulcamara oggi prescriverebbe a sostegno di chi cerca 7'en plein nella compilazione della schedina del Totocalcio. E Davis Ita fatto centro davvero. Negli Anni Cinquanta stentava la vita grama tra i bohémien del Greenwich Villagc ma la sua tromba dettaz>a legge. Oggi è miliardario mentre la sua musica si colloca sia pure con classe (e molto snobismo) nel filone ad consumismo. Ormai sotto processo, preso di mira dalla fronda tradizionalista, Davis pare non accorgersi delle critiche e da par suo (con caparbietà) prosegue un discorso che aveva iniziato negli anni di Woodstock e c'ue gli ha favorito l'incontro con nuovi stili, con un nuovo pubblico. Una valutazione sull'attuale opera davisiana pare comunque affrettata. Indubbiamente il jazzman di un tempo lia oggi scelto la strada del compromesso; tuttavia nei giorni del conformismo e della mercificazione, Davis potrebbe diventare un eroe del nostro tempo, un simbolo per l'ascoltatore e lo studioso di domani. UNA slcndida canzone di Giorgio Gabcr di qualche anno fa recitava: «Lasciare II qualcosa e andare via». Era la rivendicazione di un ruolo preciso anche per l'autore di canzoni: distribuire del •segni», saper essere discreti, dire una cosa con forza e poi lasciare che abbia 11 suo corso. E' stata questa la morale fondamentale di una serie di cantautori dei primi Anni 60: lo stesso Gaber, Endrlgo, Gino Paoli. La maggior parte di quelli che sono venuti dopo ha invece preferito un'altra massima: esserci sempre e comunque, rappresentare se stessi c la propria immagine, primeggiare in classifica, ridurre ogni «segno» all'unico ripetitivo segnale della merce. Questo capovolgimento era parso come una presa di coscienza dei meccanismi industriali dello star system, solo col tempo si è rivelato totalmente improduttivo anche sul piano commerciale. Questo nuovo mini LP di Gino Paoli ristabilisce le corrette regole del gioco: quattro bellissime canzoni d'amore da «portare addosso», canzoni che non hanno età, come si conviene a ogni lavoro che non Franco Mondini Miles Davis: «Dccoy», Cbs. confonde l'attualità con l'inseguimento del temili corti delle mode e del costume. Il mondo discografico continua a produrre nonostante la crisi valanghe di personaggi qualunque che nella migliore delle ipotesi resteranno del Vasso Ovale, del Dino, del Pettinati. Ma le cose dicono che è in atto un grande ritorno agli autori veri, a chi sa fregarsene del Dio Mercato perché'- ha dentro qualcosa di più ricco. Il motivo d'apertura, Averti addosso, unisce un testo mirabile a una musicalità ampia, trascinante, quella dei tempi d'oro. E' un nuovo manifesto di antlretorlca sentimentale che sa dilatarsi a Ubero canto dell'Interiorità e si colloca a pieno diritto nel matnstredm delle più grandi composizioni di Paoli. Non è da meno il secondo brano, lo so perché l'amore, che recupera l'arte dimenticata di dire cose non banali e riempire di significati e di emozioni due minuti e cinquantasei secondi. «Lasciare II qualcosa...» appunto. Segue II ciclo in una stanza che Paoli ha voluto rieseguire non in omaggio al revival ma per ricostruire un brano massacrato dall'esecuzione burina che se ne è fatta in Buon Compleanno Tv. Infine l'ultimo gioiello, Genova non è la mia città, una samba delicata come un sospiro di vento. DI nuovo Paoli sceglie la strada più difficile, quella del bastlan contrarlo, non si lancia nel soliti peana straclttadlnl e canta quello che tutti sappiamo dentro di noi: qualsiasi citta ci è assolutamente estranea se non è luogo di rapporti umani. E' l'incontro affettivo che dà senso agli «sfondi», l'urbanistica e 11 paesaggio di per sé non sono e non fanno amore. E' il caso di segnalare che il disco è stato autoprodotto da Paoli, pubblicato su etichetta Five e solo distribuito dalla C.G.D., e questa è una nuova testimonianza di come ormai gli autori siano costretti a far tutto da sé pur di non trovarsi a rimorchio della assoluta sordità e cecità di quelle che un tempo erano le «grandi case discografiche». Ma non è 11 caso di farsene una croce: 1 padroncini passano, le grandi canzoni restano. Gianfranco Manfredi Gino Paoli: «Averti addosso», Five

Luoghi citati: Europa, Genova, Greenwich Villagc, Italia, Umbria