Tentazioni della regina polenta di Remo Lugli

Tentazioni della regina polenta VIAGGIO TRA I MISTERI E L'ARTE DELLA CUCINA VENETA Tentazioni della regina polenta Nella Marca trevigiana era più diffusa del pane - Ora, dice il poeta Andrea Zanzotto, resta compagna insostituibile di intingoli, «peverade» e baccalà - lì gastronomo Giuseppe Maffioli spiega questa «sottile filosofia del cibo» tra antiche ricette campestri, dove la fantasia sopperiva alla povertà - Le mirabili doti della soppressa e del radicchio dai mille usi DAL NOSTRO INVIATO TREVISO — «A fare bon sartramone In carne overo In pesse, toy la cepola e lessala, poy le frlzl in onto de porcho, po' toy ove ben sbatute...», cosi incomincia una ricetta trevigiana del 1300 intitolata Sartramone overo savore d'ogni carne; una ricetta di un libro che ne conteneva centocinquanta. Treviso certamente è, nel Veneto, la seconda città dopo Venezia, per importanza nel campo culinario. Venezia giocoforza non poteva che essere sempre la prima, a contatto com'era con V Oriente da cui portava le primizie, spezie, zucchero e via di seguito. Cucina di terraferma, Quella trevigiana, con tutte le risorse della campagna, die è anche ricca di acque dolci, di laghetti e fiumi, può disporre di cacciagione e di pesce. Secondo Giuseppe Maffioli, trevigiano, pontefice massimo della gastronomia veneta sulla quale ha scrìtto diversi volumi, tra cui La cucina trevigiana, Treviso e la sua provincia devono essere considerate, dal punto di vista dell'arte culinaria, al primo posto in Italia, per la diffusa passione gastronomica, per quella che egli definisce «la nostra sottile filosofia del cibo». «Le fortune gastronomiche della Marca trevigiana, dice Maffioli, hanno per base i focolari e le tavole domestiche e pubbliche, che sono degli altari dove si celebra l'antico rituale del gusto di vivere, del gusto dell'amicizia, dell'arte del conversare e del ricordare rievocando, facendo si che 11 passato diventi presente». Il più famoso dei piatti trevigiani è forse la sopa coacia un pasticcio di piccioni che può essere servito anche come piatto unico. Coacia significa covata, perché questa zuppa, /or»M».A« MW-Mr gliato a.fette, imburrato,,cosparso di parmigiano e distribuito in strati alternati con carne di piccione cotto e disossato, deve sostare nel forno, in questa forma di pasticcio, a lungo, anche quattro o cinque ore, macerata ogni tanto da un buon bagno del brodo dello stesso piccione. Anche l'elenco del risotti è esteso e vi primeggiano quelli con la luganega (salsiccia), come quello delle minestre, nelle quali lo scarso riso si sposa con verdure, legumi o funghi del Montello, o quaglie o anche con le anguille. Il radicchio rosso, nelle sue molte varietà di Treviso e di Castelfranco, sa essere nelle mani del cuochi un'arma dai 'molti usi, buono per sale olio e aceto, ma anche per la griglia, il forno, la padella; e si sa associare alla ' pancetta come; ,al ; latte". af/a jjònnW' .fluida.. .pj^^al^'J^rmaggi^ parmigiano, al '^prosciutto come alla besciamèlla. A Pieve di Soligo, nella quiete di una provincia che al riserbo unisce un'intensa laboriosità, il poeta Andrea Zanzotto ci parla della cucina campestre che'è sempre stata soprattutto basata sui prodotti locali, con pochi scambi. «Un piatto popolare molto diffuso erano le masanete, granchi nella prima fase dello sviluppo. Costavano poco e costituivano un metro di valutazione economica delle famiglie, sapendo se erano o no costrette a mangiare sempre mas miete... Zanzotto ricorda il «ba- caro», il negozio che vendeva vino e olio. «Ma di olio si faceva uso parco, in cucina andava soprattutto lo strutto di maiale. Noi 11 maiale non lo aveyamo direttamente, lo tenevamo a mezzadria c^on vamo 11 cibo*.- La cucina si basava soprattutto sul suino, sulle galline e le uova. Poi piano piano si è diffuso l'uso della carne di vitello e i prodotti industriali hanno portato a un livellamento. «Ma, dice ancora Zanzotto, il maiale e le verdure del nostri orti continuano ad avere una grande importanza nella cucina attuale. Che resta una cucina povera, ma con una grande fantasia, specialmente negli accostamenti. Ad esemplo, nella minestra col fagioli c'è chi mette anche Insalata condita con olio sale e pepe. Sui filone della cucina veneziana che era basata sul pesce, da noi era diffusa la pesca nell'acqua dolce, tanto che lungo 11 Soligo molte famiglie vivevano pescando pesciolini ed erano chiamate pesseta. Ora questo tipo d! pesca; S'è tramuta,: to in riserve di trote». — A Miane, Gigetto Bortolini ci parla della sua faraona al cesarne, bollito con acqua, aceto e aromi, poi messa ad arrostire con la peverada, che è una salsa di fegato di maiale; piatto da mangiare, naturalmente, con la polenta. La quale polenta ha voce in un importante capitolo dell'alimentazione trevigiana e del Veneto in generale. Prima ancora di mangiare quella con la farina di mais, cereale importato poco piùdi quattro secoli fa, i veneti la confezionavano con l'orzo, la saggina, il grano saraceno,] il miglio. La polenta comun¬ que sa essere compagna fedele per un gran numero di intingoli, peverade e sguazzetti, polastreli in teda e pastlssae, s'associa al baccalà e al vitello, al latte e al formaggio, alla cipolla e alle uova. Ricorda Zanzotto: «La polenta ha sempre avuto, in passato, grande diffusione, molto più del pane. Polenta e latte era 11 cibo piti povero, ma anche quando le condizioni economiche generali sono andate migliorando, la polenta ha saputo e sa conservare un suo posto dignitoso se non importante. La polenta e tocio, con lo spezzatino, è un piatto apprezzato da molti*. £ la polenta con la soppressa? Ce la ricorda Armando Zanotto, che a Conegliano gestisce il ristorante «3 panoce»: «In questo caso la polenta va abbrustolita, che è un modo per darle un'altra vasta gamma di Impieghi*. La soppressa, un grosso solarne fatto in genere in parte con carne di maiale semigrassa e in parte con carne di manzo, può essere stagionata fino a otto-dieci mesi e servita, magari, con funghi chiodini o anche, dopo due o tre mesi, ai ferri. Zanotto dice che almeno la metà dei suoi clienti sceglie nel menù i cibi trevigiani. «L'altra metà è indifferente oppure pretende di mangiare cibi comunissimi, gli stessi che si possono trovare a Roma o a Parigi, al Cairo o a Hong Kong. Certo, per ristoratori come noi che abbiamo il culto della tradizione, fa molto piacere trovare chi sa apprezzare i piatti di una volta». Nel suo menù non manca mai l'ossacol, la coppa da collo che ha all'interno pezzetti di catodi di garofano e di cannella. «Ma ne viene una sola, per maiale, quindi è difficile trovarla». Poi ci sono la pasta e fagioli con le cotiche di maiale, fagioli schiacciati jna...non passati; ì risotti alla. sbiraglia,.con pezzetti di pollo e fegatini; l bigoll in salsa con le sarde che sono state dissalate con l'olio; il polastro in tecia; la peverada con fegatini, mortadella, soppressa, acciughe, capperi, il tutto macinato e bagnato in vino bianco e in aceto. •Ógni mese cambio menù, dice Zanotto, per adattare i piatti alla stagione. Qualche leggero ritocco me lo posso talvolta concedere per adeguare certi piatti del passato un po' grezzi al gusto moderno, ma con limiti ben precisi, tali da non snaturare le caratteristiche autentiche. Ad esemplo, non uso as¬ solutamente pannai Un altro cultore della cucino trevigiana fi-z Solighetto, frazione di Pieve di Soligo: Lino Toffolin, che lavora con la moglie Ernesta. La loro fama corre anche lontano da queste dolci colline. Non di rado Lino è chiamato a preparare pranzi fuori regione. Il 7 luglio è andato a Brac- " ■ciano per organizzare e dirigere la cucina per il pranzo di nozze del principe Colonna con la contessa Pavoncella Pranzo alla trevigiana, naturalmente. Tanti buoni piatti, dunque, di Treviso. E i vini? Giuseppe Maffioli ci tiene a ricordare che, ai' consueti vini veneti, Merlot, ■Cabernet, Pinot, Clinton, Treviso può aggiungere con orgoglio un vino suo, il Venegazzù, vino di grande qualità, la cui produzione, purtroppo, non può andare per ora oltre le 200 mila bottiglie all'anno. «E non dimentichiamoci, dice, delle Grappe della Marca Trevigiana. Le distillerie di grappa venete sono circa 200 e imbottigliano oltre il 65 per cento di tutta la grappa italiana. Di queste, buona parte sono nella provincia trevigiana». Remo Lugli «Venditore di polenta a Venezia», incisione del '700 da «Le arti che vanno per via» di Gaetano Zompini