In nome della patria ecco la rivoluzione di Stefano Reggiani
In nome della patria ecco la rivoluzione In nome della patria ecco la rivoluzione Dietro l'apparenza di metodico diplomatico il direttore della Mostra del cinema è anche un tntemperani te, un uomo di passioni forti e di aggiornamenti tem\pestivU insomma Rondi diventa, nelle occasioni \propizie, proprio lui, un ^eversore. Il cartellone della 'Mostra di Venezia prcsen' tato ieri appare interessan, te e magati eccitante proprio per l'intemperanza, le contraddizioni, la rottura degli schemi. •j in partenza c'è una reazione emotiva e programmatica contro il Festival di Cannes (che mise un solo film italiano in concorso) e contro la sensazione diffusa e malinconica che il cinema italiano fosse entrato in •una fase di magra produttiva e culturale, una di quelle valli basse dell'immaginazione collettiva dalle quali è difficile risalire. Ebbene, Rondi ha trovato una decina di film italiani da mettere, dentro e fuori concorso, nella sezione principale e ne ha aggiunta un'altra manciata nella sesione di • Venezia tv»: più di un italiano al giorno, una sfida, .una scommessa, una prova di incontinenza (non una .prova di nazionalismo, •perché il cinema italiano è per sua natura testa di serie) che noi ci auguriamo di vedere premiate dal risultati; noi siamo i più ben disposti a gridare, se si tratta di cinema, .viva l'Italia». Per questa sfida Rondi è stato favorito in parte dalle circostanze, i Ferreri, Taviani, Lizzani, Ròsi colli col frutto della loro opera in mano, in parte ha forzato le occasioni e calpestato la tradizione per impazienza, i Comencini e Cita spinti alla Mostra con sintesi incomplete, in parte ha fatto forza ai suoi vecchi pregiudizi accogliendo a braccia aperte autori ritenuti molto o troppo popolari come Squltierl e Festa Campanile. Nel grande calderone della scommessa italiana dispiace solo l'assenza di Montcelll, per polemica di ■produttore. ' Ma la rivoluzione del formalista Rondi non si ferma qui: una volta rotte le regole perché non proseguire? Perché non affrontare la questione (estetica e produttiva) del rapporti tra film di sala e film televisivi, tra cinema e tv con uno spiazzamento completo, senza distinzione e senza misura? A dir la verità, questa et sembra la novità più importante del festival, ' l'uso fittizio delle etichette, il porre film di tv trai film tradizionali e registi di cinema tra le opere televisive. Rondi dice, pensando anche al bene del produttori, che si tratta di «un interscambio fecondo», di un segno di speranza; ma per una mostra un tempo dedicata all'Arte cinematografica si tratta anche di una provocazione di metodo che aiuterà ad abbattere, come direbbero i politici, storici 'steccati in tema di linguaggio e di ricerca delle eventuali, rispettive autonomie. Certo, Rondi, preso dalla sua intemperanza, ha rotto anche regole che andavano salvate proprio a tutela degli autori (l film uff letalmente da vedere sono ben •più. che due al giorno e quelli lasciati alto scelta casuale arrivano a 107,' omaggio alla frenesia della quantità che oggi i festival perseguono in concorrenza col telecomando televisivo). ' Certo, è imbarazzante che i Taviani e Evtuscenko, membri della giuria, abbiano film nella sezione principale, sia pure fuori concorso. Certo, è per noi incomprensibile che autori come Spielberg e Hill siano lasciati sempre ai ludi di mezzanotte. Ma questo fa parte delle vecchie antipatie del direttore della Mostra, appartiene ancora al suo eurocentrismo che ci permetterà in compenso di vedere autori francesi (Resnais. Rivette, Rohmer, Rouch) posti più in alto della selezione francese di quest'anno a Cannes. Insomma, all'insegna del contrasti, del formalismo ! diventato eversione questo •festival dovrebbe essere tutto, fuorché noioso o senza polemiche, i Stefano Reggiani
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