Si ferma l'orologio Cina-Urss

Si ferma l'orologio Gna-Urss Riaccesa la polemica Si ferma l'orologio Gna-Urss DAL NOSTRO CORRISPONDENTE TOKYO — In due mesi d'un solo colpo, tra la primavera e l'estate, cinesi e sovietici hanno fermato il lento orolo- fio del loro riavvicinamento e anno riportato le lancette ai tempi della polemica più sferzante. Fatti, slogan e gesti, questi ultimi sempre importanti in politica ma soprattutto indicativi quando si tratta di partiti e Paesi in parte o in tutto asiatici, corrono avanti e indietro sulle steppe d'Asia centrale come cavallini mongoli inselvatichiti E frustati da una diffidenza etnica e politica non risolvibile per decreto di un Comitato centrale. Era dalla fine degli Anni 70, dagli anni dell'ultimo Breznev, che non si leggevano sulla stampa cinese insulti formali e sostanziali scritti con tanto abbandono e tanto gusto. E non ha precedenti, certo non fra grandi potenze, la cancellazione di una visita di Stato il giorno stesso della partenza, come è accaduto in maggio con l'annullamento del viaggio del vicepremier russo Arkhipov a Pechino, senza nemmeno un tentativo di alibi «medico». Un viaggio che avrebbe rappresentato il ritomo a un livello diplomatico mai più raggiunto dopo gli Anni 60, il decennio dello scisma Gli editorialisti «a gettone» della Piazza Rossa, e le loro controparti nella Città Proibita hanno evidentemente ricevuto ordine di spolverare il dizionario degli insulti. Sulle telescriventi della agenzia cinese Xinhua, sulle riviste teoriche come la Beijing Revitw torniamo a leggere tirate antisovietiche, denunce dei fallimenti di Mosca, sarcarsmi sulla «curiosa concezione del comunismo» radicata nel Cremlino .che sembrano fotocopiate dagli scambi fra Mao e Kruscev. Pagine scritte non solo per polemizzare, ma per ferire. «Praticamente lutti gli aspetti chiave della politica estera sovietica — si lamentava la Pravda il 18 luglio scorso, dimenticando come sempre le responsabilità proprie — cadono sotto le critiche sguaiate della stampa cinese». Si sospettò la scorsa primavera, alla vigilia della visita di Reagan e del successivo viaggio di Arkhipov, che i cinesi stessero abilmente menando per il naso il Cremlino, portato sulla giostra di una apparente «normalizzazione» che era di fatto la copertura a sinistra dell'avvicinamento cinese a Tokyo e Washington. Appariva anche allora evidente che il gioco cominciava a farsi insostenibile per Mosca e che Cernenkó avrebbe dovuto molto presto calare le sue carte: o accettare la dialettica politica con i cinesi negoziando davvero sulle «piaghe d'Asia» (l'Afghanistan, l'Indocina, il riarmo sovietico), o alzarsi dal tavolo abbandonando per il Vittorio Zucconi (Continua a paglna 2 In nona colonna)

Persone citate: Arkhipov, Breznev, Kruscev, Mao, Reagan, Vittorio Zucconi, Xinhua

Luoghi citati: Afghanistan, Città Proibita, Indocina, Mosca, Pechino, Tokyo, Washington