Debussy, il caro enigma

Debussy, il caro enigma GENIO TRA SIMBOLISMO E IMPRESSIONISMO Debussy, il caro enigma Ora che la santissima tri- ' nità di Schonbcrg, Webcrn e Bcrg è canonizzata sull'altare della Storia e, allargata a quadrilatero con quel San Giovanni Battista che fu Mahlcr, spadroneggia nei programmi sinfonicCla vita musicale del nostro tempo, per lo meno nel settore concertistico, rischia 1' enfisema, compressa come si ritrova tra le due «scuole viennesi», quella classica e quella dell'espressionismo. Grandissime, specialmente la prima, ma alla lunga un tantino ingombranti, per non dire asfissianti come ogni regime di monopolio. Perciò è stato quasi un sollievo il fatto che l'anno scorso, senza alcun pretesto di anniversari, e anzi, in piena orgia di centenario wagneriano, un editore se ne sia venuto fuori con un grosso libro su Debussy: E. Lockspeiser Debussy. La vita e l'opere (Traduzioni dall'inglese di Domenico De' Paoli, ed. Rusconi). Dal libro stesso, che è una miniera d'informazione documentaria, si apprende che poco dopo il Pclléas il grande musicologo tedesco Hugo Riemann scriveva a un collega francese: «Vi dirò francamente che in questo momento l'egemonia tedesca nel campo della composizione musicale mi sembra in qualche modo in pericolo d'essere spodestata, probabilmente più dai francai che da gli slavi». Proprio questo il beneficio dell'effetto Debussy (e Mussorgski e Strawinsky): avere aperto nell'evoluzione della musica una grande parentesi, non ancora chiusa, durante quale quest'arte ha potuto prendere una boccata d'altra aria e liberarsi dal rischio d'es sere condannata a parlare tedesco in eterno. La svolta Pubblicata in due volumi nel 1962 (centenario della na scita del musicista) e 1965, i questa la seconda opera sul! argomento di un musicista < studioso londinese, morto un dici anni or sono, che un pri mo Debussy. Im vita - Ijc opere aveva pubblicato a vcnticin que anni, nel 1930 (tradotto nel 1946 per le edizioni Bocca). Più che uno specialista un appassionato, diciamo pure un fanatico dell'argomento. Frutto di un'indefessa ricer ca interdisciplinare condotta tra i materiali che su qucll epoca, ancora vicina, continuano a saltar fuori, specialmente quando lo studioso si trasfor ma in segugio e va magari d: persona a sollecitare i testimo ni superstiti, il libro è una specie di festa mobile, per dirla con Hemingway, sulla vita culturale e mondana di Parigi a cavallo dei due secoli. Il sottotitolo della traduzione italiana («la wa e l'opera») non corrisponde esattamente a quello originale (His life and mind) e tradisce un poco la natura del libro, istituendo attese che non vengono interamente corrisposte. Sull'opera musicale di Debussy il vecchio libro del Vallas (cui il Lockspeiser tributa un saluto delle armi generoso ma un po' snobbante) rende ancora servigi migliori. Argomento de! Debussy di Lockspeiser è, dichiaratamente, «lo sfondo della sua attività»: una brillante chronique mondaine, una specie di luminaria entro cui Mallarmé s'incontra con Paul Louys, Henri de Régnier con Julcs Laforguc, D'Annunzio con Gide e Oscar Wilde, Romain Rolland con Colette e Marcel Proust, la pittura di Turner con quella di Monet e di Hokusai. Lo scarso approfondimento dell'indagine musicale fa sì che il libro, d'affascinante lettura, non fornisca risposta al quesito che oggi ti pone — e non solo agli studiosi, ma anzi, soprattutto ai musicisti — circa il vero messaggio, o piuttosto l'ultimo e conclusi vo, consegnato dall'arte di De bussy ai giorni nostri. In parole poverissime e mettendo la cosa in soldoni: impressionista o simbolista? Lungo tutta l'opera di Debussy l'autore mette in rilievo l'aspetto progressivo, d'un artista «obbligato a inventare forme nuove» e decisamente schic rato contro la rigidità tonale fino a produrre uno stato continuo d'instabilità armonica Tuttavia egli non definisce la sostanza di quella svolta, di quel secondo periodo, che pPLom«csgpdsCoclrszvdnsnBvsMmltcddcagds pure non gli sfugge, dopo il Pelléai, all'incirca a partire da La mer (ma sarebbe incauta ogni pretesa di precisare termini cronologici). Come dobbiamo intendere «la stupenda qualità della musica» del Martyre de Saint-Sfbastien, se non si fa altro che ingigantire le difficoltà del compositore incastrato tta quei due scocciatori di Ida Rubinstein e Gabriele d'Annunzio? Come intendere la profetica originalità di Jcux («une dati capitale, secondo Boulcz, dans l'bistoire de l'esthétique contemporaine»), se non si fa che insistere sulla futilità delle esigenze economiche da cui l'autore vi fu mosso? Quale il presagio di neoclassicismo racchiuso nelle sci Sonate da camera (tre scritte e tre progettate)? Che il senso della «evoluzione dì Debussy» segnalata da Boulez sia una liberazione dai veli e dai fronzoli del simbolismo, che la svolta dopo il PelMas significhi ricerca d'una meta più consistente che non la simbolistica fuga dal reale, tutto ciò potrebbe essere decrittato solo attraverso un'indagine più strettamente condotta sulla musica. Ma il Lo-, ckspciscr non crede «che un' analisi del genere porterebbe a grandi risultati». Secondo lui, «l'inconveniente delle analisi tecniche è ch'esse rischiano di degenerare e di diventare dei rompicapi musica/i». In ogni caso, egli si propone soltanto di guidare al «mondo delle idee» di Debussy, onde «aprire un campo nuovo agli slifi\ diosi di tecnica musicale e agli analisti». Ma le analisi musicali non sono fine a se stesse. Dovrebbero proprio fornire le coordinate per situare l'arte di Debussy tra simbolismo o im¬ pjppMsc \ pressionismo. Nel Debussy di jarocinski (Discanto Edizioni, 1980) si spara a zero sull'impressionismo del compositore per esaltarne il simbolismo. Ma si capisce: lo studioso polacco ha il dente avvelenato e parla a nuora perché suocera intenda. Per lui l'impressionismo è un falso scopo, sotto cui va letto: realismo (socialista). «La mer» Di simbolismo e impressionismo si parla moltissimo anche nel libro di Lockspeiser, ma senza nemmeno tentarne una distinzione. Confluiscono insieme nei «mille aspetti del mondo letterario e nimicale nel quale Debussy si muoveva», vero argomento del libro. Non solo, ma con la sua conoscenza impareggiabile d'ogni opinione, scritta o riferita, del musicista, il Lockspeiser ha buon gioco a ricordare che per Debussy «impressionismo» escludeva ogni mozione di realismo (cioè l'odiato naturalismo della ÌJiuise di Charpcn-. ticr e dei veristi italiani), e tirando in ballo Poe e il «senso del mistero» di Turner e di Odilon Rcdon, finiva per con-: fluire indistintamente nel simbolismo. Un ulteriore inciampo mi viene da una somma autorità come l'amico Argan, il quale recentemente ricordava che «Mallarmé" si diceva poeta impressionista e simbolista e tra i due termini non vedeva contraddizione», dovendosi per forza dalla «flagranza visiva dell'inipressionismo trapassare nell'indistinzione e alcatorietà del simbolismo». «Per forza»"t Mah... E poi, , se per Debussy fosse il contrario? Se lui, con la maggiore fnpsvggmoe—s]cd fermezza di segno che si riconosce da Im mer in poi, fosse passato dall'indeterminatezza simbolistica alla flagranza visiva dell'impressionismo? Mi guardo YOlympia di Manet, mi guardo il Dejeuner sur l'herbc, mi guardo la Servane de bocks o il ritratto di Bcrthe Morisot e mi chiedo (anzi, vi chiedo) — Ma che cosa ha da fare tutto questo col simbolismo? Se l'impressionismo è questo, allora non si potrebbe ]>cnsarc che l'evoluzione di Debussy sia proprio una marcia dal simbolismo all'impressionismo, cioè alla conquista d'una realtà nuova e diretta, più immediatamente afferrata che nelle idealizzazioni accademiche di Ingres e David? la realtà di Maupassant rispetto a quella «romanzesca» di Balzac o analitica di Flaubert? Il Debussy che oggi ci più caro non è proprio quello ultimo, quello più robusto e meno flou dei Nociurncs, delle litudes, del Martyre de SaintSébastien, della Sonata per vio loncello? Non è forse questo il Debussy che ci accompagna ancora, che ancora ci serve più che quello simbolistico di Pelléas e dell'AprèS'midi d'un Faune (perfetto, ben inteso)? Ne L'Approdo musica/e del 1959 vado a cercarmi il saggio di Alberto Mantelli, scandalo samentc ignorato eia tutti gl studiosi stranieri. A proposito dell'ultimo Debussy lui ne segnalava la «esigenza di semplicità e di naturalezza», ricordando «quanto siano semplici e scevri di complicazioni interiori personaggi pittorici di un Manet o di un Renoir». E Boulcz tira in ballo anche Cézannc: quale suggerimento per l'immagine di Debussy che ci è più vici na! Un Debussy nostro con ,cmP°'a"eo Massimo Mil» lùlunrd Manet: «Olympia» (1863, Parigi, Musco del 1/Oiivrc)

Luoghi citati: Olympia, Parigi