Plissetskaja, che gelida Raymonda

PlSssetskqjq, che gelido Raymonda A Caracalla il primo spettacolo italiano della grande coreografa sovietica PlSssetskqjq, che gelido Raymonda ROMA — Anche se alcuni posti delle prime /ile sono rimasti vuoti, la notte di venerdì, alle Terme di Caracolla (dal 1937 sede della stagione estiva del teatro dell'Opera di Roma), c'era una grande attesa per Raymonda, primo balletto firmato e diretto da Maja Plissetskaja.. Si voleva vedere, in tre mesi di laiioro, cosa era riuscita a fare la Plissetskaja con il Corpo di ballo dell'Opera, da sempre considerato uno punti più deboli di questa struttura teatrale. Gli aveva insegnato cos'è la disciplina? Gli aveva spiegato che la dama è un' arte assai poco frivola? Soprattutto era riuscita a restituirgli quel piacere del ballare che per anni gli era stato negato da direzioni affrettare e approssimate? Ma non era solo questa la ragione dell'attesa intorno a Raymonda. Maja Plissetskaja aveva dichiarato più volte di aver immaginato una buona coreografia per questo suo spettacolo, una coreografia che separava nettamente la parte narrativa da quella di dama, collocandole in due momenti distinti e diversi. Raymonda, scritto alla fine del secolo scorso su musiche di Glasunrtv e coreografie di Petipa, ha il difetto di non avere tensione drammaturgica, non possedere elementi narrativi, non raccontare una vera e propria storia. La trama è quella della sceneggiata napoletana classica con »essa', «isso» e ««o violamento.. Sol che essa, Raymonda, è un'improbabile principessa provenzale ospite di un altrettanto improbabile castello ungherese, e «isso» è il cavaliere Jean de la Brienne, partito come crociato per la Terra santa, e «o malamente, è il nero saraceno Aodurachman die tenta, e qui sta la fragilità della trama, fin dal principio sema sperama, di conquistare la fanciulla. Maja Plissetskaja, sapendo che rendere credibile, sia pure della credibilità di un balletto, una storia simile era forse un'impresa disperata quanto inutile, ha dlt>iso in due parti con una cinfa di mura l'immenso palcoscenico di Caracalla: davanti alle mure, all'inieio di ogni atto, si svolge una sorta di pantomima muta che riassume sommariamente il contenuto della vicenda. Poi le mura si aprono e il corpo di ballo si impossessa dell'intera grandissima scena iniziando i suoi numeri di dama. Nonostante la singolarità della scelta, il suo è un atto di rispetto filologico mi confronti di questo balletto che è puro divertissement, pretesto assoluto, libera occasione offerta ai ballerini perché possano ballare. Ma proprio perché spettacolo composto unicamente di »a solo., .variazioni', .pas de deux., passi classici, offerti l'uno dietro l'altro sema interruzione e sema filo conduttore, Raymonda è risultato un balletto tecnicamente arduo, formalmente raffinato, ma molto difficile per tutti. Per il corpo di ballo, che pure ha fatto quanto poteva, e per il pubblico che invece non sempre l'ha fatto e si è limitato a esprimere ad alta voce la sua perplessità. Margherita Parlila era Raymonda: una grande presema scenica, e una grande eleganza di gesti, ma altera e distante con lunghe rigide braccia più simili alle ali di un uccello che a quelle di una farfalla. Alla fine dello spettacolo, sul palco, un omaggio speciale è andato a Maja Plissetskaja: aristocraticamente avvolta in chiffon fucsia ha ricevuto ai suoi piedi, uno due tre dieci venti fasci di fiori. si. ro.

Persone citate: Maja, Maja Plissetskaja, Petipa

Luoghi citati: Caracalla, Roma