Il Perugino rapito

Il Perugino rapilo TRA CAMPANILISMI E SPRECHI Il Perugino rapilo La chiesa di Santa Maria Nuova a Fano possiede una pala d'altare su tavola, firmata da Pietro Perugino e datata 1497. Tra le rare opere del grande pittore umbro che siano sfuggite alle razzie napoleoniche e post-napoleoniche, la pala è tuttora provvista della lunetta e della predella (cioè del gradino di base). Quest'ultima è larga quanto la pala stessa, cioè cm 261, e alta solo cm 28; è divisa in cinque sezioni, ognuna raffigurante una scena della vita della Vergine, e in queste cinque figurazioni aicuni storici dell'arte (tra cui Roberto Longhi) hanno riconosciuto la mano del giovane Raffaello Sanzio. Vera o no che sia tale ipotesi (molti conoscitori anche eli grido non la accettano) è tuttavia ovvio che la predella, 0 gradino, è oggetto di pregio e di valore altissimi. Nel continuo moltiplicarsi di furti, fu molto saggio togliere dalla Chiesa un dipinto così prezioso; alla fine degli Anni 60 esso fu portato in Urbino, dove apparve anche nel 1973 nella mostra Restati» nelle Marcite, e dove è rimasto sino a oggi. Ma a Pano non ci si è rassi guati alla perdita, sia pure temporanea, del singolare capolavoro; e un mese fa circa è scoppiata la bomba. Nella città adriatica, infatti, è stata allestita una mostra, Pittura a Vano: 1480-1)40, che era prevista per giugno, e di cui uno dei pezzi salienti dovrebbe essere, come è logico, l'intrigante predella. E a Urbino non ci si è rassegnati a restituirla, perché, si afferma, essa poi finirebbe col ritornare nella iliiesa di Santa Maria Nuova, e venire cosi esposta a rischi assai gravi. Si ribatte a Pano che, in v sta del ritorno del cimelio, la chiesa è stata provvista di sofisticati mezzi di protezione e di "allarme; e la sua restituzione è stata approvata dal soprintendente ai Beni Artistici delle Marche, prof. Paolo Dal Poggttto, contro il quale si è scatenata (e anche in modi pesanti) la reazione degli urbinati. Con costoro si sono schiccati, contro la richiesta fanese, il rettore della locale Università, Carlo 13o, oltre che varie personalità della cultura, tra cui il prof. Giulio Carlo Argan, il quale (nonostante il triste affaire dell'abominevole Madonna dilla l'alma da lui difesa), è stato il presidente del Comitato nazionale per le manifestazioni raffaellesche. La vicenda presenta molti aspetti. Da un lato c'è il vetusio e intramontabile campanilismo italiota, per cui le veciliie e note ruggini tra Urbino e. l'ano si sono riaccese vivaci, questa volta per un dipinto; ijall'altro lato c'è la proprietà e la corretta ubicazione delle opere d'arte, un problema ciocche in tempi come i nostri (quando si parla di cultura del territorio con ossessionante insistenza) non è da prendere sottogamba. Che la predella vada restituita a Pano, non c'è dubbio, e l'azione del prof. Dal Poggetto va appoggiata iiuondiional amente. li' però anche vero che lo Stato italiano, e proprio in questi giorni, sta dando un esempio macroscopico di inosservanza verso la cultura del territorio appoggiando la bizzarra iniziativa del Museo che, in Palazzo Vecchio a Pirenze, è stato inaugurato dedicandolo a Rodolfo Siviera, contravvenendo così agli stessi principi per cui era stato istituito l'Ufficio Recuperi delle Opere d'Arte (secondo cui tali opere recuperale andavano riportate ai luoghi di origine). * * I Restituire però la predella a Pano non significa che sia bene riportarla nella chiesa di Santa Maria Nuova, dove (allarmi o non allarmi) essa verrebbe innegabilmente esposta a pericoli di ogni sorra. Dato che a Pano c'è una Pinacoteca, la soluzione ideale sarebbe di collocarvi sia la predella che la pala vera e propria: non in via definitiva, ma in attesa di tempi migliori, quando si sarà spenta l'attuale ondata di ruberie spesso audacissime. Un'azione del genere venne intrapresa nel 1913 in vista del passaggio della guerra attraverso il Lazio, e i più importanti dipinti della zona furono trasportati a Roma, per essere restituiti con il cessare del pericolo; il non aver adottato una misura del genere con il moltiplicarsi dei furti è stata un'imperdonabile mancanza, che ha condotto alla perdita di innumerevoli opere, tra cui almeno un capolavoro sommo,' la Visione di San Vranccsco di Orazio Horgianni nel cimitero di Sezzc Romano, tela che, dopo il furto, venne tagliata a pezzi, e di cui sopravvive solo un esiguo frammento. Il non aver provveduto a riparare le opere d'arte del territorio e delle località minori ha condotto, tra il 1970 e oggi, a perdite infinitamente maggiori di quelle inflitte al patrimonio artistico laziale tra il 1913 c il 1915. Auguriamoci dunque che la predella disputata venga restituita a Pano e immessa nella locale Pinacoteca. Ma, oltre agli aspetti degn dèlia Secchia rapita, la vicenda della lite tra le due città mar chigianc va considerata anche sotto un'altra angolatura: ed è quella di Urbino, che, giusta mente, si sente menomata dal la mancanza, entro le sue mura, anche di una sola opera del suo più grande figlio, Raffaello Sanzio. Sotto questo aspetto, la città è stata davve¬ ro senza fortuna, da quando, nell'estate del 1631, partì l'ultimo carro carico delle opere d'arte già in Palazzo Ducale, e che l'erede dei Della Rovere, Vittoria granduchessa di Toscana, si portava a Firenze per sottrarle alle voglie del Cardinal Legato Barberini. A riempire il vuoto ci si provò, durante il Ventennio fascista, un provvedimento molto discutibile, come quello di sottrarre alle Gallerie fiorentine un dipinto attribuito a Raffaello, la cosiddetta Mula, che venne concessa in deposito permanente alla Galleria Nazionale di Urbino (con grave violazione dei vincoli imposti dal testamento di Anna Maria de' Medici, vincoli che lo Stato italiano sarebbe tenuto a rispettare). Nonostante la grandissima notorietà di questo dipinto, io nutro forti dubbi che sia opera del Sanzio; e più approfondisco lo studio dei pittori fiorentini del Cinquecento, più mi par verosimile l'ipotesi che esso spetti a Giuliano Hugiardini, di cui costituirebbe uno sforzo in direzione raffaellesca Dopo il 1915 c'è stato un altro tentativo di restituire a Urbino un'opera di Raffaello; questa volta si è caduti nel ri dicolo, il dipinto in questione essendo la grottesca Madonna ■lilla l'alma (sostenuta dal tati de»/ Hrandi-Argan), e sulla pale ho avuto modo di infor mate più volte i lettori de 1a Stampa. Beninteso, nell'alto commeicio internazionale sono passate, in questi ultimi venti anni, almeno due opere autografe del Sanzio, la tavoletta finita nel Musco di Raleigh in North Carolina, e, so prattutio, la bellissima Modem na che fu acquistata da Norton Simon per il suo Musco a Pasadena in California, un autentico capolavoro in ccccllen te stato di conservazione. La Minerva burocratica nostrana e i pensierosi cervelli della Storia dell'Arte ufficiale non si sono riero nemmeno accorti dell'esistenza di queste opere; come non si sono accorti in tempo che nella vendita dei disegni di ChatSworth, il 3 luglio scorso, c'era anche un meraviglioso autografo del Sanzio per la Trasfigurazione, un foglio davvero degno di venir acquistato per Urbino e per il suo Palazzo Ducale. Ma, come si legge ne la Repubblica ilei 3 luglio, il mini stero dei Beni Culturali ha precisato che «non vi sono soldi per partecipare a qualsivoglia asta»: e si che il disegno d' Raffaello sarebbe costato ali collettività italiana soltanto una piccola frazione di quel che tocca sborsare per mantenere in vita uno solo degli innumerevoli liuti superflui, vere e proprie sanguisughe dell ricchezza del nostro Paese. Federico Zeri