Il Padrino canta Rigoletto di Furio Colombo

Il Padrino canta Rigoletto NEW YORK: LA VERSIONE INGLESE DELL'OPERA TRIONFA E OFFENDE Il Padrino canta Rigoletto L'allestimento, che sostituisce il Duca di Mantova e la sua corte con i gangster di Little Italy, è approdato addirittura al Metropolitan - Scroscianti applausi nonostante la traduzione goliardica e i cantanti mediocri - Tutta la messa in scena è irritante per gli italiani d'America, che hanno protestato con forza - Dal testo si è cancellata la parola «mafia», ma nessuno ha fatto le scuse dovute NEW YORK — Donald Henahan, il critico musicale del New York Times, nota il problema, ma non prende posizione. Dice: .Può darsi che nella versione del Rigoletto presentata al Metropolitan e diretta da Jonathan Miller vi sia un Insulto alla comunità italiana americana. Ma la comunità per qualche ragione si è lasciata ammorbidire». L'episodio è un curioso capitolerei delicato e sempre WM&l^rapporto fra gli americani di origine italiana e il resto del Paese. Quando, questa edizione del Rlgoletto ha avuto la sua •prima» al Metropolitan Theatre con una folla di intenditori che cantavano in piedi Dio salvi la regina, alla presenza della principessa Alexandra di Kent e il sipario si alzava su un Rlgoletto popolato di gangslers italo-americani stile n Padrino, in quello stesso giorno il partito democratico aveva nominato il governatore Mario Cuomo key-note speaker della convenzione di San Francisco. Per tradizione il key-note speaker è uno del -grandi', è la figura più prestigiosa del partito. Era toccato a John Kennedy, a Lyndon Johnson, prima di diventare presiden ti. Per tradizione, d'altra parte, l'opera italiana, e soprattutto Rlgoletto, è la bandiera, l'orgoglio, il punto più alto (l'unico, forse) di identificazione culturale degli italiani -.mericani. Ma questa volta è successo die un regista •spiritoso', Jonathan Miller, già noto per teatrini e siparietti sul tipo dei •Gobbi» italiani di Franca Valeri e di Vittorio Caprioli, di tanti anni fa, ha avuto la trovata di •rinnovare' l'opera: niente più Duca di Mantova, cortigiane e intrighi all'ombra del potere assoluto. Siamo a New York, nel quartiere di Little Italy, dove tutti gli italiani, si intende, sono dediti al gangsterismo, portano occhiali neri e capelli .inibr)!-, lanttnatì. Per una simile messa in scena Miller aveva a disposizione la più modesta compagnia di opera lirica (detta pomposamente English National Opera) che esista al mondo. Arthur Davics, il Duca, qui detto familiarmente «The Duke» con il vezzo dei soprannomi tipico (secondo Jonathan Miller) degli italo-americani, lia più o meno la voce di Al Bano. Quanto a John Rawnsley (Rigoletto), •si tratta di qualcuno che ha occhieggiato un po' troppo Charles Laughton, e più nel Gobbo di Notre Dame che nel film di gangsters», ha giustamente osservato il critico Henalian. La severità di teatri Urici come il Metropolitan impedisce rigorosamente l'uso di microfoni^ e questo^ è ùh peccato per quella patte' di spettatori che contava su{\ testo inglese. In sala si senti- ' va una parola su venti. La traduzione inglese, improvvisata con goliardico piglio da un James Fenton che divide con Miller non solo una notevole dislnvoitura ma anche il cattivo gusto, ha raggiunto un livello da fumetti che ogni tanto faceva ridere il pubblico. Ma si trattava di risate benevole. Quando arrit>a a New York qualcosa di inglese il senso critico degli americani improvvisamente si abbassa. Uno scroscio di applausi ha accolto il direttore della compagnia Malcom Hunter quando si è presentato per dire che Dennis O'Neill, tenore non eccelso, sarebbe stato sostituito da Arthur Davics, un «Duca» di terza o di quarta 'scelta. Forse contava Viotto per quegli applausi l'eccesslvoucoento inglese di Hunter. Un altro applauso ha salutato l'iniziativa del Duca, povero di voce ma ricco di trovate coreografiche, quando ha piazzato entrambe le mani sul sedere di Jean Rigby (Maddalena), una graziosa soprano la cui voce non è mal arrivata alla sesta fila in platea. Ma -Duke, è inglese e a quanto pare questa qualità, al Metropolitan, riscatta sia il gusto che il canto. Divertiva, si capisce, l'aver colto con sicurezza il tipico gesto di un italiano nel rapporto con le donne. Più avanti la platea ha perso la testa quando II Duca, prima di cantare «La donna è mobile», si è voltato verso un juke box e ha introdotto un gettone. Alcuni altri misfatti teatrali ■ -erano già avvenuti a quel punto..Per esempto.la .traduzione. «They are all the sanie to me» in luogo di «questa e quella per me pari sono». Oppure il rapimento di Gilda, realizzato da cinquanta uomini con occhiali da sole nel cuore della notte. La traduzione di «La donna è mobile» suona «Women abandon us» (Le donne ci abbandonano) Ubera versione del sentimenti di un perseguitato dal femminismo, problema difficile da attribuire sia al Duca originale che al boss mafioso. Chi avesse l'impressione di un festino estroso e Iconoclasta dove II talento sfacciato si prende gioco delle tradizioni e magari anche del rispetto e del buon senso in cambio di una risata, va incontro a una delusione. Quelle che ho raccontalo, benché modeste, sono le uniche trovate della versione inglese di Rigoletto presentata a New York. Sono poche, come si vede, sono di livello vagamente goliardico, e sono disperse in una rappresentazione blanda, sostenuta da una orchestra erratica, che a volte sommerge le voci, a volte galoppa per conto proprio. Il direttore d'orchestra, Mark Elder, un giovane invasato di se stesso che ogni tanto si voltava per farsi vedere dal pubblico, anche in mancanza di applausi, ha accettato tutto dal modesto regista, anche uno scroscio di tuoni e di pioggia inciso su nastro e sovrapposto all'orchestra. Poiché tutto, nella versione inglese e •contemporanea' del Rigoletto, è stato cosi marginale, così modesto, sembra facile concludere che si è trattato di un evento senza Importanza. Invece il fatto — nonostante la bruttezza della messa in scena e la povertà musicale — ha avuto una sua importanza. Da una parte c'è l'eccesso di trionfo e di festa tributato con curioso spirito coloniale dal pubblico americano, che ha drasticamente abbassato la soglia critica in omaggio alla origine Inglese del prodotto. Dall'altra c'è il gesto frivolo di Jonathan Miller e dei suol incauti datori di lavoro, che su un Importante testo musicale ha messo le mani in modo sprovveduto e incolto. E' un gesto che in Inghilterra o in altri Paesi crea solo un problema di giudizio critico. Ma chi ha prodotto e accreditato questo spettacolo in America avrebbe dovuto sapere che gli Stati Uniti sono un Paese dove l'identità storica e culturale è il punto critico del vivere insieme. Rlgoletto è stato tradotto male, in un modo ridicolo. che ha costretto gli interpreti a parlare come nel cartoni animati pur di afferrare lo scivolare di sillabe e consonanti del tutto disadatte alla musica. Una costruzione delicata è stata frantumata senza pensarci sopra, senza cultura e senza talento. Rovinare un'opera Invece che rifarla o adattarla o produrne una nuova versione dovrebbe essere un insulto per tutti. Stranamente l'insulto — nel pandemonio suscitato dalla presenza di una principessa inglese vera, in carne e ossa — non è stato notato. O lo è stato solo dal critici che esercitano la professione senza soprassalti mondani. Tutti gli altri, come diceva De Amicis di Franti, l'infame, Dio sa perché ridevano. Ma c'è il problema più delicato degli Italiani d'America. All'inizio hanno protestato con forza, irritati da una versione del Rlgoletto che sostituiva il Duca e la corte di Mantova con una banda di gangster di Little Italy. Protestavano contro il cliché e protestavano, io credo con diritto, per quel tanto di universale che è sottinteso in una simile trasposizione. Se la corte di Mantova era un credibile spaccato di un modo •comune' di vita italiana, allora lo è anche la rappresentazione della stessa opera trasferita In America e popolata di gangsters italiani. Sfortunatamente Jonathan Miller è stato più svelto e più furbo del leaders Italiani americani che sono andati a protestare al Metropolitan. Ha subito proposto di cancellare qua e là la parola «mafia». Gli Italiani americani sì sono «ammorbiditi», ha osservato con un certo stupore il cronista del Times. Non si sono accorti che togliendo ogni riferimento a un gruppo criminale che esiste davvero, hanno accettato una versione che, se fosse stata tecnicamente buona, sarebbe stata esemplare: tutti gli italiani sono gangster, non solo I ma¬ fiosi. Infine c'è il gesto di derisione verso il tradizionale identificarsi degli italiani americani con l'opera lirica. Jonathan Miller )ia detto con disinvoltura di avere preso l'idea del suo •adattamento' dal film II Padrino, dove il boss ascolta appunto un brano del Rlgoletto. Cosi facendo ha rovesciato brutalmente la situazione in faccia a milioni di persone che non sono •padrini', non sono mafiosi, ma ascoltano religiosamente l'opera e la fanno ascoltare al figli. Ha trasferito dentro l'opera il padrino che ascolta l'opera, indicandolo come modello. E' triste che alcuni dirigenti delle comunità italiane americane, come il membro del congresso Mario Biaggi, stano stati cosi •mondani' e cosi disattenti da presentarsi al loro alla loro constltuency per dire: «Calmi ragazzi, va tutto bene». E' triste che i gtornalt americani, pieni di reclami dei gruppi negri in difesa di Jessie Jackson, «maltrattato dal media del bianchi» pieni di proteste della comunità ebrea per le frasi non certo corrette pronunciate dal pastore negro Farrakhan contro lo Stato di Israele, preoccupati di distribuire ora un contentino agli americani di origine cinese e ora un apprezzamento ai messicani d'America, non abbiano voluto notare il problema. Mario Cuomo sarà il keynote speaker della convenzione democratica di San Francisco e forse Geraldine Ferraro sarà considerata seriamente per la vice-presidenza degli Stati Uniti. Ma pochi si sono accorti die in uno spettacolo teatrale molto brutto, ma molto celebrato, la cultura e la identità di una intera comunità sono state offese. Nessuno ha preteso le scuse dovute. E nessuno le ha fatte. E' un'altra pagina non festosa nella storia degli italiani in America; . Furio Colombo New York. St-an Rea (Montcrone) uno dei cortigiani del «Rigoletto» manoso arrivato al Metropolitan