Urss-Cina, mazzata da Pechino «Mosca vuole servi, non amici» di Vittorio Zucconi
Urss-Cina, mazzata da Pechino «Mosca vuole servi, non amici» Durissimo articolo sulla normalizzazione mentre prosegue la trattativa Urss-Cina, mazzata da Pechino «Mosca vuole servi, non amici» «L'Unione Sovietica concepisce i rapporti internazionali come controllo sulle altre nazioni» - Ribaditi i nodi sui quali il Cremlino «rifiuta di discutere»: Afghanistan, Cambogia, riarmo - Ma la porta resta socchiusa DAL NOSTRO CORRISPONDENTE TOKYO — Dopo una fase di effimere illusioni e alcuni mesi di sicuro deterioramento, anche sul fronte orientale la politica estera del Cremlino raccoglie i frutti acerbi di quel che ha seminato: in un articolo sulla propria rivista «diplomatica» ufficiale, il governo cinese informa Mosca che -il ritorno delle relazioni nino-sovietiche a quel che furono un tempo è da considerare irrealistico e perciò impossibile-. -Gli anni dei rapporti filiali, o fraterni, sono andati per sempre». Se i sovietici si erano illusi di poter coltivare la pianta della «normalizzazione» con il grande vicino asiatico, -sema dover rendere conto dell'Afghanistan, del Vietnam e del riarmo convenzionale e nucleare in Oriente, sema muoversi di un passo dalle loru posizioni, sema allentare l'assedio militare stretto attorno ai nostri confini», la nota di ieri della Peking Revieiv fa giustizia dei sogni: -Essenzialmente — annota 1' editoriale cinese — il problema sta nel fatto che l'Unione Sovietica concepisce i rapporti internazionali come una forma di controllo sulle altre nazioni, e la Repubblica Popolare Cinese non intende farsi controllare dall'Urss». C'è più che una valutazione di comportamenti, dunque. C'è un giudizio di merito sulla natura stessa dell'Urss, quale da tempo non si leggeva più sulla stampa cinese, ammorbidita dall'albeggiare della «normalizzazione» slnosovietica. Leggiamo ancora V editoriale: -Nella logica del Cremlino, si è bravi rivoluzionari e buoni comunisti soltanto se si segue al millimetro la linea decisa a Mosca, e si diventa cattivi, e controrivo¬ luzionari, quando ci si discosta. Ma a noi cinesi non interessa servire da zampa di gatto per togliere le castagne altrui dal fuoco. A noi basta salvare le nostre castagne». Nello stile, nei simboli, nel tono, la nota di Pechino è molto poco diplomatica, quasi a voler esprimere una sorta di «insofferenza» insieme nazionalistica e ideologica. Né 1' articolo esita quando si tratta di fare nomi, chiamando direttamente in causa il nuovo leader della Piazza Rossa: -Per ben due volte nelle ultime settimane, Konstantin Cerncnko ha attaccato pubblicamente la Cina-, rimprovera la Peking Rewieiv, alludendo alle accuse del segretario del pcus contro Pechino, durante la visita di una delegazione vietnamita a Mosca. «Ci Ita accusato di propositi aggressivi in Asia, eppure il Cremlino rifiuta perfino di discutere l'occupazione dell' Afghanistan, l'invasione della Cambogia e il riarmo alle nostre frontiere, le tre condizioni necessarie per ridurre la tensione in questo continente». L'impressione, leggendo la nota, è di un pugno battuto sul tavolo da una nazione esasperata per un modo di negoziare», o fingere di negoziare, che pretende sempre più di quanto sia disposto a concedere. I cinesi fanno tuttavia ben attenzione a non chiudere del tutto la porta, e mettersi cosi nelle vesti di chi affonda ogni speranza: -Progressi sono stati fatti, altri vorremmo farne e non vogliamo né tensione, né tantomeno una guerra con l'Unione Sovietica. Ma, a giudicare dal comportamento dei sovietici, il cammino davanti a noi è lungo, difficile e lentissimo». Non è quindi un ritorno al «gelo sull'Ussurl» del ventennio '60-80, e formalmente continuano gli incontri sinosovietlcl, alternati nelle due capitali: ma la nota di ieri è un brusco segnale di allarme, soprattutto se letta nel contesto di episodi recenti o in atto. Ci fu, due mesi fa, la repentina cancellazione del viaggio del vlcepremler russo Archipov a Pechino, annunciata con deliberata insolen za addirittura il giorno prima dell'arrivo (10 maggio). La visita di Reagan in Cina è stata poi un evidente smacco per un Cremlino impegnato nel dipingere il Presidente come un falco ormai isolato davanti all'opinione pubblica internazionale. E si è intensi ficaio il silenzioso tessere di accordi economici e indù striali dei cinesi con le nazioni «capitaliste» (Giappone prima di tutto) sul cui sfondo Mosca legge sempre il perlco lo di riversamenti di tecnolo gle militari. Una «lunga marcia» cinese verso Occidente di fronte alla quale Mosca poteva contrap¬ porre solo il rituale dei «negoziati normalizzatori» e minuscoli progressi, come la riapertura di qualche posto minore di frontiera o modesti accordi commerciali con Pechino. Può essere, naturalmente, che la messa a punto diffusa ieri dai cinesi sia soltanto un momento di inasprimento tattico in una strategia «normalizzatrice» di più lungo respiro, ma la nota della Peking Revieiv lancia accuse troppo di sostanza contro -lo spirito dominatore dei sovietici» per essere una semplice manovra. Proprio ieri, mentre la Peking Review pubblicava il suo sferzante editoriale, il mini¬ stro della Difesa cinese Zhang Aiping era a Tokyo, per dire al giapponesi che 'il loro trattato di sicurezza con gli Stati Uniti è necessario per la pace, e per la difesa del Giappone». Benedizione assolutamente sbalorditiva per chi ricordi ancora le furiose invettive cinesi contro «/'asse imperialista» Tokyo-Washington, solo qualche anno fa. Ma dichiarazione addirittura terrificante per un Cremlino che vede crescere all'orizzonte la prospettiva più temuta dagli strateghi dell'Armata Rossa: la «triplice del Pacifico», fra Washington, Pechino e Tokyo. Vittorio Zucconi
Persone citate: Konstantin Cerncnko, Peking, Reagan, Zhang Aiping
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