IL GRANDE PALIO DEL 2 LUGLIO VISTO E COMMENTATO DA FRUTTERO E LUCENTINI

Tuono sul Campo a Siena: «E* TOha!» IL GRANDE PALIO DEL 2 LUGLIO VISTO E COMMENTATO DA FRUTTERÒ & LUCENTINI Tuono sul Campo a Siena: «E* TOha!» L'urlo della folla ha salutato la vittoria della contrada dell'Oca (con la c aspirata, naturalmente) - Il dramma dei vinti rivali, quelli della Torre Sfortunati e ricchissimi, inseguono invano il successo da 26 anni - Questa volta avevano imbroccato un cavallo eccezionale, Bajardo, e lo avevano affidato alle cure del loro fantino, Bastiano - Ma nel sorteggio è toccato proprio ai nemici acerrimi dell'Oca - La sfida all'ultima nerbata SIENA — Alle 11 di sera, tre ore dopo la corsa, la piazza del Campo di Siena dà ancora spettacolo. Torce e lumini fiammeggiano all'ingiro tra i merli, i ristoranti hanno rioccupato la pista con lunghe, gremitissime tavolate, i caffè tentano un'impossibile moltiplicazione delle sedie; ma sono soprattutto i vincitori, i contradaioli dell'Oca, a movimentare la scena. Le ripide fessure d'accesso al Campo li rigurgitano a manipoli clamorosi: tamburi, bandiere, cori trionfali, e poi ecco sbucare un nuovo fiotto raccolto intorno all'emblema della vittoria, il «cencio», il «drappellone», il Palio, che viene portato di corsa su e giù per la piazza in festosi ghirigori ed esibito provocatoriamente laggiù, alla curva di San Martino, dove comincia il territorio della contrada nemica e battuta, la Torre. Ma tutto è buio in quel settore, nessuno esce a mostrare il volto funebre della sconfitta. Una vipera nella Torre Le facce dei Torraioli non erano molto allegre nemmeno alla vigilia, a dire la verità, quando abbiamo visitato la loro contrada. E' un angolo bellissimo della città, sovrastato dallo strapiombo monumentale del Palazzo Pubblico, che si insinua come un lungo dito tra orti e giardini verso la lontana chiesa dei Servi. . La Torre è sfortunata c ricchissima. Vincere un Palio è una faccenda costosa e tuttavia la Torre non riesce a vincerne uno da 26 anni, nelle sue casse si continuano ad accumulare tristemente i milioni. L'anno scorso il suo capitano, Arte mio Franchi, perse la vita in un incidente d'auto mentre d notte andava a discutere a pochi chilometri dal Siena uno di quei grovigli di danaro e destino che sono l'essenza stessa del Palio. La Torre gl ha ora intitolato una piazzetta incantevole sporta sul verde, dove è inoltre stata eretta la fontana di contrada, per il «battesimo» dei piccoli contra daioli. L'amico che ci faceva da guida ci indicò in un angolo una scultura murata: un serpentello di pietra e una data, 1675, l'anno in cui la contrada della Vipera venne inglobata dalla Torre e diventò una delle Contrade Morte, Ma le facce non erano allegre anche per una ragione più immediata, per una ennesima sferzante beffa della sorte. L' anno scorso si presentò ai canapi Bajardo, un cavallo vivace, difficile, che disturbò a lungo la partenza con le sue capricciose intemperanze (tentava comicamente di infilarsi sotto la corda di partenza), ma nel quale gli intenditori intra-, videro un temperamento d'eccezione. 11 compito di smussarlo, educarlo, allenarlo, prepararlo a una carriera di vincitore, venne affidato a Silvano Vigni, detto Bastiano, fantino abituale della Torre e considerato da qualche anno l'unico serio rivale di Andrea De Gortcs, il leggendario Aceto «re della piazza» e fantino abituale dell'Oca. Di mese in mese Bajardo prometteva sempre meglio, e, alla «tratta», la lunga operazione in cui vengono scelti i dieci cavalli che correranno, nessuno dubitava che avrebbe passato l'esame. Lo passò infatti a pieni voti, e restava solo da stabilire a quale contrada il sorteggio l'avrebbe assegnato. Alla Torre? L'esito ideale, senza dubbio; ma una sola probabilità su dicci non è un granché. Se però l'avesse avuto in sorte un'altra contrada sarebbe stato ugualmente Bastiano a montarlo, la Torre avrebbe volentieri «prestato» il suo fantino, se non altro per impedire la vittoria dell'Oca, che a sua volta aveva una sola probabilità su dicci — non un granché — di vedersi assegnare Bajardo. L'acqua va pe'suoi fossi Ma cosi va il Palio, così scherza la sorte: il cavallo preparato da Bastiano toccò proprio ad Aceto, ancora una volta la Torre si senti nel mirino accanito della sventura. Bastiano fu «prestato» alla contrada del Montone, cui era toccato Panczio, cavallo affidabile, espertissimo, amatissimo da tutta la città perché ha vinto nove Palii un po' per tutte le contrade. Degli altri cavalli sentimmo parlare con un certo scetticismo. Alla «tratta» ne erano stati presentati J4, ma i Capitani — che sono tenuti a una scelta il più possibile omogenea, escludendo sia i troppo bravi sia i troppo brocchi — avevano questa volta operato un livellamento verso il Dasso. Cerano diversi esordienti di cui poco si sapeva, c alcuni che avevano già «assaggiato la terra», ma con risultati mediocri. Nessun senese si abbandona seriamente ai pronostici nei giorni ansiosi che precedono il Palio. 11 contradaiolo comprerà e leggerà avidamente i fogli locali specializzati che elencano ipotesi, dicerie, insinuazioni, notizie tecniche c complicatissimi calcoli di natura quasi astrologica;'ma poi, il senso dell'azzardo che circo¬ la da secoli nel suo sangue come una componente genetica lo induce a ripiegare su una formulazione fatalistica: «L'acqua va pe' suoi fossi». Un re al tramonto? 11 fosso, il solco già tracciato dalla sorte per questo 2 luglio 1984, era dunque la sfida tra Bastiano c Aceto. Una situazione classica: da una parte il campione emergente, un senese di origine contadina, aitante, schietto, paffuto, reso sicuro dalle prime vittorie e dalla giovinezza; c dall'altro il più anziano campione «in declino», il fiero, scuro, compatto cavaliere sardo, idolo indiscusso fino a quattro anni fa e poi sempre più malevolmente criticato: ormai non ha più voglia di vincere, ormai è lo- foro, ormai ha paura, ormai si montato la testa, ormai s'è messo a fare l'allevatore di purosangue e non pensa ad altro, ha fatto investimenti sbagliati, ha debiti, ha l'artrosi... Il tono di voce di Aceto, quando ci raccontava queste cose mesi fa, non era né aspro, né sdegnato, né recriminatorio. Era il tono in parte filosofico di un uomo abituato a fare i conti con gli alti e bassi della fortuna, e in parte di un «signore», di un gentleman, che considera inelegante lasciar trasparire i propri sentimenti. Ma ci disse anche che la misura era colma, che il prossimo palio l'avrebbe rivinto lui per mettere tutti a : re. Alla vigilia, provato tre volte Bajardo, rese pubblica questa sua certezza di vittoria, una «dichiarazione» che pochi fantini si permettono e che raddoppia il rischio di umiliazione in una città dove lo scherzo è feroce e protratto per anni. La rivincita dell'eroe Finito il corteo storico, chiamati i cavalli alla partenza, Bajardo ha un po' esitato a entrare tra i canapi, poi si è infilato docile; il cavallo della Torre si è avvicinato due volte per disturbarlo, innervosirlo, fargli perdere la posizione; e .alla «mossa» (riuscita al primo tentativo per merito di un mossiere al suo primo palio, ma impeccabile) Aceto si è dovuto difendere dalle nerbate della nemica tradizionale, è sgusciato via, s'è lanciato dietro alla Civetta, al Drago, al Montone, all'Onda, e alla curva San Martino era già secondo, al primo giro è passato in testa, dalla piazza s'è levato 1' urlo: «E Oha! E' Ohah che (pronunciandosi in toscano la c come h) è un incitamento non già hawaiano ma forsennatamente locale. Freddissimo, Aceto non ha spinto, non ha ecceduto, non si è lasciato accecare dalla foga della competizione, dalla smania della rivincita. Ha controllato in ogni istante il cavallo e la cotsa, quasi avesse previsto che con la tensione creata dalla sorte e dai lui stesso gli altri, i «pellegrini», non avrebbero saputo reggere, gal sensazionale rovinìo di uomini e animali si sono salvati infatti soltanto Bastiano c Panezio, i più bravi dei meno bravi. Ma c'erano molti metri di tufo tra primo e secondo quando Aceto ha tagliato il traguardo con l'aria di fare una cosa ovvia, come tutti i fuoriclasse. «lo non vinco con i ginocchi», ci dice più tardi, nella sede della contrada, «vìnco con la testa». Siamo arrivati fino a lui fendendo gli incredibili spessori di folla che a mezzanotte persistono nelle vie della contrada. Volti radiosi, eccitati, stralunati, madidi, ambascerie delle contrade «amiche», ressa di contradaioli tripudiami, migliaia di persone che vorrebbero vedere, sfiorare, stringere il loro eroe tornato alla vittoria (la dodicesima) a vent'anni esatti dal suo esordio sul campo. L'eroe ha la barba lunga, indossa ancora la casacca bianco-rosso-verde della corsa, distribuisce abbracci, saluti, strette di mano, si lascia intervistare e fotografare, parla imperturbabilmente nel solito tono sobrio, trattenuto come per le redini, senza esaltazioni o spocchia o nevrotica volubilità. Dice il minima necessario, con quel minimo di autoironia che pochi monarchi risaliti sul trono saprebbero conservare. «E il palio d'agosto?». «Non so, vedremo. Certo, potrei provare a fare un cappotto (e così che qui chiamano due vittorie consecutive), ma è difficile, molto difficile, dipende da tante cose, prima di tutto dalla sorte». Allarga filosoficamente le braccia mentre lo chiamano perché si conceda alle acclamazioni della folla in attesa sotto le finestre. Un «eroe» come questo sarebbe certamente piaciuto a Hemingway; forse, chissà, perfino a Leopardi. Carlo Frutterò Fianco Lucentinl "W •JÈm * ',j>,, <t Siena. Una veduta di Piazza del Campo gremita di folla che assiste al Palio vinto dal fantino Aceto sul cavallo Bajardo per la contrada dell'Oca