Un frammento per l'identikit di Omero

Un papiro di milleottocento anni fa riapre la discussione sull'esistenza del poeta greco Un papiro di milleottocento anni fa riapre la discussione sull'esistenza del poeta greco Un frammento per l'identikit ili Omero Elena delle battaglie Scoperta, a Praga Il grido di Achille da Troia a Praga Parole magiche di uomini e dei Il vero segreto dell'IliadSono i suoi personaggi uomini - Il primo «rom di Aldo A. Mola Quando Iliade e Odissea erano lettura obbligatoria, ogni anno nei ginnasi si ripeteva lo stesso psicodramma. Divisi tra Greci e Troiani gli allievi s'azzuffavano nei corridoi. I più Invasati speravano davvero di scongiurare la caduta di Troia e quando 1' insegnante arrivava a leggere la morte e la sepoltura di Ettore più u'uno scoppiava in lacrinm". Tutto era proprio perduto. Il pie veloce Achille non godeva di grandi simpatie. Non per la sua bega con Agamennone per via di Bri seide dalla bella gota, bensì perché, liglio di una dea e invulnerabile, conduceva una guerra fuori delle norme, Nessun ragazzo s'azzardava a interpretarne la parte per non sfigurare. I più robusti rivestivano invece volentieri i panni di Aiace Telamonio; quelli che nei baratti scolastici — colazioni, fogli contro pennini — trovavan sempre modo di guadagnare stavano naturalmente dalla parte d'Ulisse. Cosi riviveva il più affascinante mito della storia umana: i cinquantun giorni del decennale assedio di Troia, trascelti da «Ome- Leggendo l'Iliade, Inorridivo e mi sentivo nello stesso tempo esaltato. Inorridivo di quel sangue, di quelle carneficine epiche e lerocl Ira greci e troiani,, e tuttavia avevo la costante senzazlone che qualcosa — un'ombra segreta, ma più torte di ogni luce — riscattasse In qualche modo tanti orrori. Ho ritrovato, dopo più di quarant' anni, alcuni logli di quegli appunti scolastici, e come allora sono trasalito dallo stupore: è stata una scoperta rivelatrice. L'Iliade è un'epopea di guerra, di sventura, di lacrime e sangue, ma con qualcosa che la purifica In profondità da cima a fondo, anche se non In modo esplicito, bensì attraverso un codice, un sentimento, una visione della realtà che 6 comune a tutti I maggiori protagonisti di quel poema, e che non si annebbia mal: la sventura di cui gli eroi famosi e le genti più oscure, vincitori e vinti, sono vittime allo stesso modo: su tutti vince e domina II fato, obbedito nel peggio al danni dell' uomo dagli stessi del. Mal però mi passò allora per la mente che Omero potesse essere In qualche modo riconosciuto come un poeta cristiano. La scoperta di cui si parla oggi In questa stessa pagina è affascinante, e potrebbe aprire orizzonti Ignorati e neanche prima lontanamente supposti dalla critica e dall' accademia letteraria più provvedute. E' stata, negli Anni 50-60, Simone Well a chiarirmi gli orizzonti, a darmi I raccordi e le motivazioni sull'affinità d'Omero con la coscienza cristiana del mate e del dolore, nel suo saggio su «La Grecia e le Intuizioni pre-cristiano». Non a caso la Well è stata con ragione definita «forse la sola grande Interlocutrice moderna di Platone» cioè della più profonda coscienza greca. La Well arriva ad affermare, nel saggio »t' Iliade poema della forza», che «Il Vangelo è l'ultima e meravigliosa espressione del genio greco, come l'Iliade è la prima». Ecco una traccia di nuove letture che oso prò porre anche agli altri per orientarsi sul significati e gì' Interrogativi stimolanti della recente scoperta che supera e collega Insieme tempi e eccoli diversi. Omero, o chi per lui, al singolare o al più rale, torna attuale anche nelle carneficine Ideologiche e neorazzlall, e anche per II peso del ricatto nucleare. Egli esprime la pietà che, pur nella strage più buia, Il poema greco riconosce al vincitore ed al vinto. Forse ha ragione ancora la Well: «La storia greca ò comincia ta con un delitto atroce, la distruzione di Troia. Lungi dal gloriarsi di questo delitto, come fanno di solito le nazioni, I greci furono osses. alonatl da quel ricordo come da un rimorso». e non è nel mistero che e la sua poetica a renanzo storico» della lette ro» a materia dei ventiquattro libri della sua opera immortale. Riviveva attraverso i 20.283 endecasillabi di Vincenzo Monti, «gran traduttor de' traduttor d'Omero» secondo la malalingua di Foscolo, contro i 15.693 esametri fatti raccogliere da Pisistrato, tiranno d'Atene alla metà del VI sec. a.C. e riordinati dai grammatici d'Alessandria d'Egitto intorno al III-II sec. a.C. Ma che cosa davvero interessava di quel primo «romanzo storico» della letteratura mondiale? Ai ragazzini poco importava del pasticciaccio tra Menelao, Elena e Paride: 1'«eterno triangolo» all'origine della guerra (e meno ancora se ne sarebbero occupati se avessero saputo come ricorda Karol Kercnyl in Gli Dei e gli Eroi della Grecia, or ora presentato da Garzanti — che Elena era già stata rapita una volta, prima del matrimonio, e che sua sorella, Clltcnnestra, che avrebbe poi assassinato il marito, Agamennone, reduce vittorioso dalla guerra, aveva già avuto un marito, Tantalo cui era stata sottratta con la forza. Del poema piacevano soprattutto le quattro lunghissime battaglie «sempre sorlanti», che pur facevano ad dormentare Giosuè Carducci sulle rive di Scamandro. In effetti i poemi omerici non persero smalto col trascorrere dei secoli. Da quando uno o più giovani cantori avevano raccolto vari spezzoni di miti in opere unitarie (intorno al VII sec. a.C.?), Iliade e Odissea furono considerati il capolavoro della lettpr%turat Come incomincia rono a conquistare la Magna Grecia, i Romani se ne prò curarono le traduzioni: 1' Odusia» per mano di Livio Andronico, 17Ziad«, molto più tardi, con Ninnio Crasso, Accio Labeone e Polibio. Il Rinascimento fu anzitutto riscoperta dellVitade riproposta nel 1488 da Demetrio Caldondila, scampato in Occidente alla conquista turca di Costantinopoli. Di 11 vennero le traduzioni di Poliziano, Anton Maria Salvini, Scipione Maffei in Italia, e quelle di Alexander Pope (1715-20) in Inghiletrra, in distici eroici, di Heinrich Voss in Germania e di Madame Dacier in Francia, che la volse in prosa. Quando poi l'Europa passò dal re agli eroi — con l'avvento dei Napoleonidi, fra i quali Paolina per bellezza e impudicizia oscurava la fama di Elena — 17/i'arie trovò veste nell'insuperabile traduzione di Monti (1810): omaggio al neoclassico imperante, a quello «stile impero» che arbitrariamente irrigidiva il mondo grecoromano nel biancore dei colonnati, dei frontoni, dei pepli dei corteggi napoleonici. Quel trionfo saltava a pie pari la «questione omerica.» aperta sin dalla più remota antichità e ripresa con l'attribuzione dei poemi all'animo collettivo del popolo greco da parte di Gian Battista Vico, e dal filologo germanico F. A. Wolf (1795), che dissezlonò 1 poemi individuando gli «spezzoni» raccoltivi dagli anonimi cantori celati sotto i panni del mai esistito Omero. Le scoperte archeologiche e 1' erudizione filologica aggiunsero altro fascino a un poema che la critica più recente (von Wilamowltz, Schwarz, Be the...) nuovamente tende ad attribuire a un'opera di cultura letteraria matura nucleo attorno al quale si sa rebbero poi aggregati apporti secondari. Il vero segreto dell'/Marie (in minor misura dell'Odissea) non sta però nel mistero che ne avvolge la genesi, né solo nella sua possibilità di rappresentazione o nella centralità della sua storia rispetto a tutta la mitologia — materia delle innumerevoli opere pseudo-omeriche, di tanta parte delle tragedie di Eschl lo, Sofocle, Euripide, premessa per l'Eneide virgiliana e persino di quell'Or/ando Fu rioso di Ariosto, il cui campione «moro», Agramante, vole va « vendicar la morte di Troiano i sovra Re Carlo, imperator Romano» —, bensì proprio nel nerbo di poeticità totale che la rendeva cosi vi lufsnaucrgrumcOdctmnmnfvzcdcina alla sensibilità degli al¬ avvolge la sua genesi nderla così vicina agli eratura d'ogni tempo lievi ginnasiali. Nel poema gli uomini non sono soli. Al loro fianco hanno gli dèi, impastati della loro stessa passionalità: dèi e dee che lottano, amano, soffrono come i più umani degli uomini. Tra un compito in classe e un'interrogazione confortava immaginare che in classe s'aggirassero Atena — avvolta in una nube — o lo scaltro Ermete, il vendicativo Apollo Spazzato il mondo omerico con l'eliminazione di Iliade e Odissea — sostituiti coi brandelli della grigia letteratura contemporanea — gli studenti sono certo più poveri di prima. Per scontrarsi non hanno più Greci e Troiani, Romani e Cartaginesi. Ripiegano sulle squadre di calcio o forse su niente: più ciechi e vuoti della barbara grandezza omerica, durata duemllacinqucccnlo anni e ora paradiso perduto. Senza ritorno? Jean Auguste Do PRAGA — Un papiro contenente un brano dell'«Iliade» di Omero (Vili, 30-54) è stato trovato fra I circa seimila papiri greci della collezione cecoslovacca «Papyrl wessly graecl pragenses» esaminati e restaurati dal dott. Plntaudl di Firenze. La collezione appartiene alla Biblioteca nazionale ceca. Il frammento omerico risale a duecento anni dopo Cristo e ora risulta essere II più antico testo letterario esistente In Cecoslovacchia. Per un altro papiro della stessa collezione con II brano detto «Pastore di Hermes» verrà sollecitato prossimamente Il giudizio del prof. Carlini di Pisa, considerato II maggiore conoscitore di questo testo. minique Ingres: «L'apoteosi di O Intervista coni Rosario Pintaudi, che ha decifrato il papiro omerico scoperto fra i seimila custoditi alla Biblioteca nazionale cecoslovacca di Mauro Anselmo ' Dalle mura di Troia il grido di Achille è arrivato a Praga. Uno studioso italiano, il professor Rosario Pintaudi, 37 anni, ricercatore all'Università di Firenze, ha scoperto e restaurato il più antico papiro omerico esistente In Cecoslovacchia. Versi Inconfondibili, Omero che balza agli occhi fin dalla prima lettura. Atena dice a Zeus di non intervenire nella battaglia: «S' armarono anche l troiani dall'altre parte della città pur meno numerosi; ma ardevano di lottar nella mischia, spinti dal bisogno, per i figli e le donne». Plntaudl, che dall'81 frequenta regolarmente per due mesi l'anno la Biblioteca nazionale di Praga grazie a una missione culturale di scambio mero» (1827, Parigi, Museo del l/m finanziata in parte dal Consiglio nazionale delle ricerche e dall'Accademia cecoslovacca, lavora anche presso la biblioteca Laurenzlana di Firenze dov'è custodita la più importante collezione di papiri esistente in Italia, «Ho programmato la pubblicazione organica dei papiri cecoslovacchi — spiega —. Essa sarà realizzata a Firenze in accordo con l'Accademia delle Scienze cecoslovacca presso le edizioni Gonnellì, la più antica libreria antiquaria». ■— Che valore ha la scoperta del papiro omerico? «Un valore enorme per la Cecoslovacchia essendo il più antico testo letterario di Omero esistente in questo Paese. Un valore simbolico per tutta la cultura in quanto appartenendo al secondo secolo dopo Cristo non può es /mvre, particolare) sere considerato una rarità assoluta. Ci sono papiri omerici, come quelli custoditi a Firenze o al Brltlsh Museum che risalgono al secondo e terzo secolo avanti Cristo e sono molto più preziosi». — Un Omero finito a Praga. Come ci è arrivato? I sei-settemila papiri di origine egiziana custoditi nella Biblioteca nazionale furono acquistati nel 1904 da uno studioso bìellesc di origine cecoslovacca, Wessel, che era direttore della collezione di papiri dell'arciduca Ranieri a Vienna. Wessel andava matto per i papiri. LI comprò sul mercato antiquario di Parigi da un mercante armeno e li lasciò in eredità a uno studio so dell'Università di Praga, die nel 1934 li cedette alla biblioteca universitaria». Solo in tempi recenti fu possibile mettere a fuoco il valore dei documenti. Le difficoltà dovute all'ultima guerra, la mancanza di una vera e propria scuola di papirologia, impedirono una ri cerca scientifica sistematica. «Uno studioso, il professor Warcl — continua Pintaudi — pubblicò aicuni di questi papiri die come la maggior parte di quelli conservati a Praga erano testi documenta ri. Contengono cioè documen ti, lettere, contratti, rendicon ti della vita del tempo». — Come ha scoperto il frammento dell'Iliade? «Esaminando accuratamente questi pezzi documentari mi sono accorto che c'era un testo tipicamente letterario. E fin dalla prima analisi mi resi conto die si trattava di un frammento di Omero. Come ''.tutti' 'dfc'ttltH 'papiri proveniva dall'Egitto, dove i Tolomel, dopo la conquista di Alessandro Magno, si preoccuparono di curare la diffusione della cultura e della Un gua greca. Ad Alessandria organizzarono quella grande Biblioteca die aveva ti compito di raccogliere un po' tut ti i testi importanti della grecità classica: da Omero, agli storici, al tragici, ai comici Omero rappresenta il mo mento iniziale della lettera tura. Per secoli, nell'anti chità, fu alla base dell'inse gnamento scolastico. I papiri omerici oggi conosciuti sono circa un migliaio. E il loro numero, grazie alle scoperte degli studiosi, cresce conti imamente. «E' l'autore die più compare negli scrtttt degli antichi — spiega il professor Giacomo Bona, docente di Papirologia all'Università di Torino —. Circa un quarto di tutti i papiri letterari di prò venienza egiziana contengono versi dei poemi omerici-'. Omero educatore della Grecia e delle future generazioni. «Alcuni papiri — aggiunge Bona — sono vere e proprie edizioni scolastiche, Quello di Haioara, scoperto in Egitto all'inizio del secolo, fu un'edizione di lusso. Lo sco prirono in una tomba, sotto II capo di una ragazza. Era tal mente ben conservato che fu abbastanza facile decifrarlo». Omero padre della letteratura occidentale, Omero con temporaneo. Tanto presente che, basta un papiro a ricordare tutta la sua luminosa vitalità. I segreti e le esigenze di una lingua usata sia nelle case dei potenti che sulle piazze Giorgio de Chirico: «Ettore e Andromaca» (particolare) di G. Aurelio Privitera Per il lettore moderno e per il critico, che del pubblico rappresenta il fronte più avanzato e consapevole, l'Odissea è come un romanzo eroico, esattamente come per Hegel il romanzo era una moderna epopea borghese. E' 11 romanzo del valore individuale e dell'Intelligenza pratica; dell'avventura lontana, tra uomini, mostri e dei; e dell'avventura domestica, tra servi, mendicanti e pretendenti. E' il romanzo del giovane che diventa uomo; della fanciulla che sogna le nozze; della donna che aspetta il marito; dell'uomo che preferisce all'amore delle dee e alla stessa immortalità il ritorno in patria e a casa, dalla moglie e dai cari. Ma soprattutto è il romanzo dei romanzi, nel quale il cantore Demodoco canta di Ulisse e delle sue imprese eroiche a Troia davanti a un ignoto straniero che è proprio Ulisse; nel quale lo stesso Ulisse, come se fosse un cantore, racconta di sè e inventa altri se stessi e altre avventure, cangiandosi in vari aspetti e restando sempre l'identico Ulisse, astuto, paziente. Questo antico romanzo è composto in una lingua d'arte artificiale, stratificata, ricca di segmenti formulari: una lingua che era compresa da tutti i greci, senza distinzioni cantonali; e che era usata dai poeti sia nelle case del ricchi e del potenti, sia nei santuari e nelle piazze, dove essi improvvisavano o ripetevano a richiesta del pubblico il loro repertorio epico. Sto traducendo l'Odissea per la Fondazione Valla. Una traduzióne che voglia tener conto dell' ampia comprensibilità dell'Odissea e che voglia rispettare il suo carattere di antico romanzo, non può che essere una traduzione in prosa, soprattutto in questo nostro tempo in cui la stessa poesia rifiuta i versi e le forme dell'antica tradizione poetica, per affidarsi a ritmi più liberi, segreti ed elusivi. Dunque una traduzione senza un ritmo precostltuito o artificiale, come potrebbe essere l'endecasillabo o l'esametro. Ma non per questo una prosa senza ritmo. Anzitutto perché la prosa ha sempre un suo ritmo; in secondo luogo, e a maggior ragione, perché una delle caratteristiche fondamentali dell' epica greca arcaica, a differenza dell'omologo romanzo moderno, è la ripetitività. La novità più saliente, e in qualche misura rivoluzionarla, della critica omerica degli ultimi 50 anni è appunto la teorizzazione della formularltà ad opera soprattutto dello stu-. dioso americano Milman Parry. L'antica poesia epica greca non era composta per iscritto e non veniva letta su libri, ma veniva improvvisata, diffusa e trasmessa oralmente: e per improvvisare e ricordare, per farsi meglio intendere e seguire dal pubblico, gli antichi cantori epici si servivano di formule. L'Odissea è quasi tutta intessuta di formule: il poeta, per esprimere una determinata idea, ha spesso usato le stesse parole, raggruppate secondo una stessa successione ritmica e collocate, nella maggior parte dei casi, nella stéssa sede del verso. Ritmo metrico e ritmo semantica nella formula si corrispondono potenziando al massimo l'effetto della ripetitività. Appunto perché la formula è una caratteristica fondamentale dell'epica antica, il traduttore dell'Odissea è tenuto a riprodurre tutti i segmenti formulari che è possibile riprodurre senza offendere la sensibilità del lettore moderno e l'assetto del testo. Ovviamente sarebbe contraddittorio, produrrebbe durezze e discontinuità e avvlerebbe un processo di rigetti riprodurre le formule, che sono segmenti con valore ritmico e semantico identicamente ricorrente, senza imprimere al periodo, alle frasi e molto spesso a tutto 11 rigo un andamento ritmico ripetitivo, cantilenato, ciclico; omologo a quello che presenta il testo originario con la successione degli esametri e delle formule. Conciliare queste tre dimensioni (prosa, ritmo e formularltà) non è stato facile. Si trattava di accostare l'Odissea al lettore, di renderla comprensibile e familiare come un romanzo, per mezzo di un nitido lessico prosastico. Ma si trattava anche di allontanare l'Odissea dal lettore, di collocarla nella sua remota prospettiva storica, frapponendo fra lettore e poema quelle caratteristiche di ripetitività che sono proprie dell'epica greca arcaica, ma che sono del tutto estranee alla nostra sensibilità. Solo cosi era possibile evitare in qualche modo 11 noto e giusto rimprovero di Goethe, il quale desiderò per tutta la vita una traduzione in prosa dell'Odissea («perché ad avere un effetto profondo e radicate, a formare e a spronare veramente è quello che resta del poeta quando è tradotto In prosa»); ma lamentava anche che le versioni dei suoi tempi, anche le migliori, partissero dal falso principio di travestire l'originale nelle forme della poesia nazionale contemporanea f«in quanto si propongono di tedeschizzare l'indiano, il greco, l'inglese, invece di indianizzare, grecizzare, ìnglestezare il tedesco»).