Nel ring della famiglia col teatro di Moravia

Nel ring della famiglia col teatro di Moravia Siciliano a Todi regista di «Beatrice Cenci» Nel ring della famiglia col teatro di Moravia dal nostro inviato TODI — Nella lunga, rettangolare sala delle pietre del palazzo comunale di Todi abbiamo assistito ad una delle repliche della Beatrice Cenci di Alberto Moravia, lo spettacolo clou della seconda settimana tudertina, il piccolo festival di teatro e musica che un drammaturgo, Emo Siciliano, un musicista, Alessio Vlad, e un attore nato costi, Giorgio Crisafl hanno ideato e dirigono con simpatica scioltezza. Questa Beatrice Cenci, scritta nel 19S3 e messa in scena una sola volta nell'ormai lontano 1957„è sino ad oggi (insieme al Mondo è quello che è,) la commedia più durevole di Moravia, quella in cui meno le Idee prevalgono sui fatti e inficiano la plausibilità psicologica e morale dei personaggi, come, invece, accade nel restante teatro del nostro, spesso astratto e freddamente ideologizzante. Lo scrittore vi raccontò daccapo un celebre fattaccio di cronaca nera nella Roma cinquentesca: ti parricidio del nobile e crudele Francesco Cenci da parte della figlia Beatrice di un suo presunto amante, il Castaldo Olimpio con la complicità muta della sua seconda moglte, Lucrezia, e di un servo di casa, Marzio. La rievocazione di quel delitto di famiglia, consumato nella tetra solitudine di un castellacelo (guarda caso) umbro, era per l'autore il pretesto per un più fondo scandaglio sulla nostra fatale impotenza a realizzarci nel rapporto con gli altri, a partire da quel -ring» spietato che è il microcosmo domestico. Sulla piccola, sgomenta famiglia sfoga il suo egoismo il padre Francesco vizioso non d'istinto, ma per calcolo, per sfuggire alla noia e all'angoscia dell'esistenza: sotto la cappa della sua efferata prepotenza patriarcale agonizzano gli altri, Beatrice, incerta tra perversione e sublime virtù. Olimpio oscillante tra l'amor e la cupidigia di potere, mentre i personaggi minori stentano persino a trovare la propria malcerta identità. Il regista Enzo Siciliano, nel rendere omaggio all'amico e maestro con questa sua inessinscena, ha giustamente riportato l'ambiente e l'azione a tempi più vicini e a classi sociali a noi più note: diclamo, a certa nobiltà agrario-pontina dell'Italia Anni Venti, gli anni del folgorante esordio moraviano con quel capolavoro indiscusso che sono Gli indifferenti. Romanzo, per l'appunto, della noia e dell'asprezza del rapporti interpersonali! •' La scenografa Flaminia Pelrucci l'ha assecondato con molto garbo, gremendo letteralmente il lungo ret¬ tangolo di imponenti armadionl, tavolacci fratini, lettiere liberty, panche di sacrestia (»il bric-à-brac» delle dimore di campagna di tanta aristocrazia decaduta, eppur ribalda) e vestendo gli attori dt costumi tra la caccia alla volpe e la cena In abito da sera con relative, sgargianti paillettes. Anche nella direzione degli attori Siciliano è stato accorto: non ha fatto nulla per nascondere il tono melodrammatico della partitura (c'è qualcosa di verdiano in questo puntiglioso -remake» cinquecentesco), ma ha badato ad adattarlo alla singola personalità degli interpreti. Il più diretto e il più persuasivo ci è parso Luigi Diberti, che dellnea un bellissimo Francesco Cenci, teso lucido, spietato, molto molto maschilista, come s'usa dir oggi. Isabella Martelli combatte ad armi aguzze con la cupa (e un poco deliberata) tetraggine moralistica della sua Beatrice e ne esce spesso vincente. Giorgio Crisafi è un vibrante ma rattenuta Olimpio, com'è nelle sue corde: mentre Lidia Montanari e Sergio Rubini rappresentano quello che nell'opera lirica si chiamerebbe il coro in falsetto della disperata vicenda. Ogni sera a Todi c'è un pubblico folto e attento, gli applausi sono fitti e cordiali. Guido Davico Bonino

Luoghi citati: Italia, Todi