Questo è I'«Orfeo» che si faceva nel 600

Questo è I'«Orfeo» che si faceva nel 600 Monteverdi al Maggio, in versione storica Questo è I'«Orfeo» che si faceva nel 600 FIRENZE — /.Orfeo di Monteverdi venne eseguito per la prima volta in un salone del Palazzo Ducale di Mantova il 24 febbraio del 1607: appena sette anni dopo la sua nascita, avvenuta a Firenze il 6 ottobre del 1600 con la Euridice di Jacopo Peri, il genere del teatro in musica raggiungeva così una delle sue vette più alte. In omaggio all'ambiente della prima rappresentazione, l'Early Opera Project, un complesso di cantanti e strumentisti fondalo l'anno scorso dalla regista e coreografa Kay Lawrence e dal direttore Roger Norrington, ha proposto al Maggio Musicale Fiorentino di allestire l'opera nel fastoso Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio: una cornice di grande suggestione che ha permesso, tra l'altro, al direttore di adottare un complesso strumentale ristretto, ancor più piccolo in verità di quello indicato nella partitura di Monteverdi, ed evidentemente destinato a spazi che non sono quelli delle normali sale teatrali. Norrington è un fervido adepto di quella corrente filologica che intende fornire della musica antica interpretazioni il più possibile fedeli alle condizioni originali: nell'Early Opera Project questa scrupolosa ricostruzione del testo non investe solamente la musica ma tutte le componenti dello spettacolo: scene, costumi, luci, decorazioni e, per quanto possibile, anche i gesti e le modalità del comportamento scenico, ricostruiti sulla base di descrizioni antiche. Il risultato in questo caso, grazie anche alle scene e ai costumi di Terence Emery, è molto buono. Nel fondo del salone dei Cinquecento è stato elevato un tempietto corinzio che incornicia i fondali scenografici dipinti in stile cinquecentesco e illuminati da luci color pastello (firmate da Nevllle Courrier); gli attori sono in costume rinascimentale nel gusto aristocratico di un'arcadia letteratisslma dove la composta armonia del gesti non ne compromette mai la freschezza e la vivacità. Il girotondo delle ninfe e dei pastori, le danze festose con cui solennizzano il matrimonio di Orfeo ed Euridice, la disposizione dei gruppi in cui si arrestano impietriti durante il tragico racconto della Messaggera, e ogni altro particolare scenico, sono evidentemente ricostruiti sulla base della pittura coeva C'è una levità in questo spettacolo che rimanda con notevole attendibilità all' ambiente elevato dalla cultura aulica in cui nacque il melodramma come tentativo di riproporre la tragedia greca nella sua inscindibile unione di musica e poesia; ma c'è insieme l'intento ben realizzato di procurare un' emozione nella consapevolezza dei limiti che queste operazioni comportano. Sotto le cure del Norrington anche la partitura è sbocciata ad una nuova freschezza: il recitar cantando, coltivato con ammirevole precisione dai sedici cantanti stranieri, anche sotto l'aspetto decisivo della dizione, ha mantenuto costantemente quel sottile equilibrio tra purezza formale e intimità di emozione che è la cifra di questo spettacolo; ma anche i pezzi più ostentatamente solistici come le arie di Orfeo, il racconto della Messaggera, gli assoli di Caron'e e di Proscrplna, questi personaggi cosi plastici e individuati, hanno avuto il loro necessario spicco grazie alla prestazione dei cantanti tra cui citeremo almeno Guy de Mey (Orfeo), Philippa Dames Longworth (Euridice), Jane Findlay (la Messaggera), Susan Bickley (Proserpina), Nicholas Greenbury (Caronte), Jona than Best (Plutone). Lo spettacolo ha avuto un esito molto lieto, propiziato, all'inizio, e suggella to, alla fine, dagli applausi festosi con cui gli spettatori hanno accolto l'entrata e l uscita degli esecutori. Paolo Gallarati

Luoghi citati: Firenze, Mantova