Minacce mafiose al libanese Chebel di Guido Rampoldi
Minacce mafiose al libanese Chebel Processo Chinnici a Caltanissetta Minacce mafiose al libanese Chebel ROMA — Arrivato dopo sei mesi all'ultima udienza dibattimentale, il processo per l'assassinio del giudice Chinnici ha rischiato di fermarsi, se non di saltare: Ghassan Bou Chebel, l'imputato libanese che con le sue deposizioni regge per intero l'accusa, aveva fatto sapere dal carcere di Caltanissetta di aver ricevuto un «avvertimento» mafioso, di essere terrorizzato e di voler tirarsi fuòri dal processo. Nel corso di un lungo colloquio con i suol difensori, Michele Vizzini e Rossella Giannone, prima aveva minacciato di revocare loro il mandato, poi aveva lasciato capire di essere perfino disposto a farsi passare per pazzo. E comunque, aveva detto: «Non voglio più. tornare in aula». Solo dopo ore di discussione è stato convinto a fare marcia indietro. Cosi, venerdì sera, Chebel è tornato davanti alla corte d'Assise di Caltanissetta, e nel corso di un'udienza durata fino a tarda notte ha regalato l'ultimo colpo di teatro ad un processo che sembra pendere dalle sue labbra. Prima ha raccontato che la mi r naccia gli era arrivata 10 giorni fa. Come? «Non per lettera». E non ha voluto spiegare di più, lasciando la questione in sospeso. La Procura ha aperto un'inchiesta: ci si chiede per quale canale un detenuto in isolamento totale, sorvegliato forse più di qualsiasi altro ospite dei penitenziari italiani, abbia potuto ricevere il messaggio di morte. Poi Chebel ha aperto un secondo capitolo, misterioso come l'altro. Adesso sono disposto a raccontare — ha detto in sostanza — quello che non rivelai alla polizia, perchè mi arrestò. Ma ne voglio parlare solo ad un magistrato, dela Procura. Sarà ascoltato all'inizio della prossima settimana. Ieri ha appena accennato l'argomento, cose di mafia». E un po' a sorpresa è tornato con nuovi elementi ad avanzare l'ipotesi, che per lu! è certezza, di infiltrazioni mafiose nello Stato. Già nei primi interrogatori Chebel aveva dichiarato che, a quanto gli confidava l'imputato Vincenzo Rabito, in questura la mafia aveva una sua pedina, ma di basso livello. Ieri però, a questa talpa piccola», ha affiancato una «talpa grossa». La tonte è ancora Rabito: mi parlò — ha detto Chebel — di un personaggio importante che informava i padrini sulle indagini antimafia. Il dibattimento si è chiuso con la sensazione che Chebel potrebbe ancora rimettere tutto in discussione con nuove e improvvise sortite. Secondo il calendario di massima, martedì parleranno le parti civili, la settimana successiva la requisitoria del pubblico ministero, poi per una decina di giorni le arringhe dei difensori. La sentenza per i primi di luglio. A meno di fatti nuovi. Il bilancio del processo finora è sfavorevole agli imputati Vincenzo Rabito e Pietro Scarpisi, entrambi detenuti: alle accuse di Chebel hanno controbattuto goffamente, dando spesso l'impressione di mentire. Per 1 tre Greco, imputati quali mandanti e tutti alla macchia, sei mesi di udienze nulla nano aggiunto o tolto. L'accusa si basa soprattutto sulle confidenze attribuite da Chebel a Rabito, che avrebbe detto: siamo emissari dei Greco. Non è molto. Infine Chebel. E' candidato all'assoluzione, ma tutto dipenderà dalla formula e dalla motivazione. E in cella Chebel si sente un condannato a morte. Guido Rampoldi
Luoghi citati: Caltanissetta, Roma
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