Ore d'ansia alle Botteghe Oscure di Lietta Tornabuoni

Ore d'ansia alle Botteghe Oscure ALLA SEDE DEL PCI TRA I DIRIGENTI SMARRITI E SGOMENTI Ore d'ansia alle Botteghe Oscure Nella notte della prima notizia, dolore, riunioni ansiose, pensieri nascosti, attese al telefono, caffè e acqua minerale - Ingrao solo, Chiaromonte pallidissimo, Pecchioli sull'aereo militare - Sul gran palazzo, una sensazione di fine ROMA — Alle Botteghe Oscure, sede nazionale del partito comunista, nelle ore buie fra le undici e mezzo di sera e l'alba, fra giovedì 7 e venerdì 8 giugno. E' la notte in cui finisce il tempo politico di Berlinguer, e questo tutti lo sentono, lo patiscono: sanno che comunque si chiude un ciclo duralo anche più dei dodici anni della segreteria, condensato in quell'uomo smilzo, testardo e laconico, freddo e ardente, con l'aspetto d'un ragazzo sessantenne. E' una notte d'incertezza, di nere notizie sospese, di sgomento, di smarrimento profondo. Alle tre del mattino il dirigente Achille Occhetto ha la faccia disfatta, le occhiaie scavate, e parla piano. Dice quello die continuerà poi a ripetere: «Siamo abituati a lavorare tutti insieme, vorrà dire che accentueremo la collegialità, gli Impegni elettorali verranno rispettati, per ora non ci poniamo altro problema che le condizioni di Berlinguer...». Alle tre del mattino Pietro Ingrao se ne va solo come sempre, e in silenzio, con la scoppoletta in testa; Gerardo Chiaromonte è pallidissimo e strangolato dall'ansia; Armando Cossutta ragiona pacatamente: «Certo non esiste nel nostro partito una prassi consolidata in caso di indisponibilità del segretario. Quando Togliatti venne ferito nell'attentato di Pallante c'erano due vicesegretari pronti a sostituirlo, Longo e Secchia, ma adesso Alla parete, l'enorme manifesto rappresentante un'esplosione atomica paurosa e radiosa, marrone e d'oro, ammonisce: «Non aspettiamo il giorno dopo». Improvvisamente, imprevedibilmente e dolorosamente decapitata a dieci giorni dalle elezioni, la leadership comunista riunita nella notte non offre l'immagine d'un summit di strateghi che elabora con rapidità piani di emergenza, e neppure quella d'una famiglia ferita nell'affetto. Pochi oltre Ugo Pecchioli hanno con il segretario rapporti personalmente affettuosi: non li favoriscono i conflitti politici interni, il temperamento così poco latino di Berlinguer, la sua personalità molto rispettabile e poco carismatica, la sua figura non paterna ma di capo-fratello che è il più importante non per investitura, per età o per rilevanza slorica, ma soltanto perette è più biavo. Nella notte d'estate, i leaders comunisti stanno riuniti al secondo piano del palazzo nella stanza di Pecchioli, dove è il telefono da cui arrivano le notizie da Padova: e non sanno cosa fare, come capita sempre nelle disgrazie. Pecchioli parte con un aereo militare, gli altri aspettano notizie. Tra un bollettino medico e l'altro si spostano nei propri uffici, camminano su e giù per i corridoi, fumano troppo, cercano dì leggere le prime edizioni dei giornali, telefonano a casa, bevono caffè e acqua minerale. Sentimento e decenza impediscono di parlare del futuro o del pussato. di immaginare nuovi scenari o di rievocare aneddoti e virtù. I pensieri restano nascosti, i discorsi sono quelli ansiosi, reticenti e ripetitivi dei momenti sospesi: forse il primo a sapere è stato Francesco Cossiga, cugino di Berlinguer, avvertito dal prefetto di Padovu; dir strano, Giorgio Amendola mori poco prima delle altre elezioni europee; che strano, anche Togliatti e Longo furono colpiti al cervello; tanti si sono salvati da attacchi simili, di almeno due ho saputo negli ultimi sci mesi; io ero a casa, ho sentito alla televisione; mi hanno telefonato, sono venuto subito; speriamo, speriamo... L'atmosfera è quella di tante altre veglie drammatiche già vissute, di notte o di giorno, dagli stessi uomini, nelle stesse stunze, nello stesso palazzo, tra gli stessi mobili pesanti e semplici: quando Togliatti mori a Yalta, e c'era il problema del Memoriale; quella volta che i carri armati sovietici entrarono a Praga e bisognava elaborare un comunicalo critico ma equilibrato e non tutti erano d'accordo; le lunghe, infinite ore snervate aspettando risultali elettorali incerti e decisivi... La storia del partito è adesso a una nuova svolta, e tutti lo sanno. Esce dalla vita politica quel segretario intimorito dalla folla e restio al contatto fisico con gli estranei, pronto appena possibile ad evitare pure di stringere lu mano; quel lea¬ der capace di accogliere con un sorrìso di gratitudine ma anche di disagio il gran grido scandito dalle piazze, En-rico, En-rt-co; quel teorico della moralità in politica, quel pragmatico della contraddittorietà delle politiche. Una sensazione dì fine grava sul gran, palazzo delle Botteghe Oscure. Nell'atrio, a uno che telefona chiedendo «E' vero che à Berlinguer gli è preso un cólpo?»; (/ centralinista risponde Sgridando: •Ma come parla? Ma cosi si dice, ma coinè si1 permette parole cosi?», e quasi piange. Alle tre del mattino, finita a Padova l'operazione, uno alla volta i capi comunisti se ne vunno. L'asfalto lustro riflette nella notte la brutta estate romana, è ricominciato a piovere. Lietta Tornabuoni Roma, 1978. Berlinguer, a sinistra, mentre conversa con i democristiani Zaccagnini e Moro (Tclefoto Ap)

Luoghi citati: Padova, Praga, Roma, Yalta