La battaglia lunga

La battaglia lunga GIACOMO MATTEOTTI SESSANTANNI DOPO La battaglia lunga Fra vecchie carte di archivio, ritrovo la testata esatta: Idea nuotiti. E' un piccolo foglio socialista, che riesce a difendersi dai rigori della dittatura avanzante. La testata evoca quasi un'inflessione gobettiana, ci riporta alla prima, adolescenziale insegna dell'«arcangelo della rivoluzione liberale», energie nove (con la variante, positiva, del «nuo^ vo», una parola che riprende la sua atticità, quasi la sua solennità, contro le estetizzanti e deviami abbreviazioni dannunziane). E' il 28 giugno 1924. Di ciotto giorni dal rapimento di Giacomo Matteotti, ma un mese e mezzo prima dello sco primento del cadavere del martire socialista, alla Quartarclla. Chi scrive a quel periodico (una lettera aperta al segretario della sezione del partito socialista unitario di Savona, Diana Crispi) non ha dubbi sulla sorte del leader del rifor mismo socialista, rapito dalle squadraccc sul lungotevere Arnaldo da Brescia sessantanni fa; non aspetta gli annunci funebri, cadenzati dal cinismo del potere politico. E' un socialista savonese di ventotto anni, Sandro Pertini, che non ha mai conosciuto di persona Matteotti (ce lo ricordava, il ptesidente della Repubblica, in questi giorni) ma si è formato al suo insegna mento, di intransigenza mora le, di identificazione della azione politica con un fatto di coscienza. E ha saputo misura re d'istinto la distanza fra Matteotti e molti altri espo nenti della lotta politica, dello stesso mondo. «Raccogliamoci nella memoria del grande martire — sono pa role di Pertini — attendendo la nostra ora. Solo così vano non sa rà tanto sacrificio... Art sacra data suonerà per me ammoni mento e comando. E valga il presente dolore a purificare i nostri animi rendendoli maggiormente pronti per la lotta non fontana» Dove affiora, già con netti contorni, la coscienza della battaglia lunga, la stessa che accomunerà, in quella generazione, Gobetti e Amendola. Anche Gobetti aveva visto una volta sola Matteotti, pochi mesi prima dell'agguato assassino, nel marzo 1924 a Torino, ma in forme tali da serbarne un incancellabile ricordo. «Nella fronte corrugata a serietà, negli occhi fermi pensosi, nelle labbra atteggiate a tagliente ironia — sono parole di Gobetti — avvertii un vero stile di oppositore... Ci vuole un'intelligenza fredda e calcolatrice per scoprire l'avversario vero in Matteotti, l'oppositore più intelligente e più irriducibile». E' il filo del lampeggiante ritratto che s Matteotti dedicherà Gobetti destinato ad arrivare — auten tico record per i tempi — a settimo migliaio, nonostante le interdizioni e i falò. Gobetti, critico spesso spietato delle insufficienze e delle contraddizioni socialiste, non dimenticava che Matteotti era stato il solo socialista che ave va capito tutto: le conscgucn zc irreparabili della scissione di Livorno per il movimento operaio (a Livorno Matteotti era andato via dopo la prima giornata, si era rifiutato di parlare, aveva preferirò il ritorno nel suo Polesine prima che si consumasse la rottura), varco aperto al movimento delle camicie nere, il carattere di classe del fascismo ma al servizio di un'ideologia mo dcrna, spregiudicata esasperata, in cui molto aveva pesato la tecnica dei partiti di massa, che nulla aveva di comune coi vecchi conati autoritari. «L'aristocratico del sovversivi smo»; e fra virgolette la parol «sovversivismo». Era l'imma ginc che prevaleva nello straordinario ritratto gobettia no di Matteotti. Ci sembra ritrovare qualche punto congiunzione fra Gobetti uno dei suoi veri e mai dimcn ticati maestri, Francesco Savc rio Nitti. C'è un documento inedito, che egualmente questi giorni ci è caduto sotto gli occhi, la lettera che l'ex presidente del Consiglio, Tuo mo della proporzionale e Fiume, aveva inviato alla mo glie di Matteotti, Velia il giugno 1924, nove giorni do po il rapimento. E quando an cora le speranze non erano del tutto dileguate. «Non avevamo sempre le stesse idee, ma avevamo sempre lo slesso sentimento, slessa fede profonda nella democrazia». Nitti ha dimenticato gli an tcpz'sasmldsMpsqrldhSgdpmm19 tichi rancori (e non era uomo che non li sentisse), le incomprensioni ed anche le ingiustizie dei socialisti negli anni '19-'20. Il suo giudizio è schietto e intero. «Matteotti aveva l'anima di un apostolo e la serenila di uno studioso, lo ammiravo il suo fervore di ricerche, la sua imtancabi/e attività». E' un ft immento di una arga serie di testimonianze nedite — tratte dall'archivio di famiglia — che un appassionato e fedele studioso di Matteotti, Stefano Careni, pubblicherà nel prossimo fascicolo di Nuova Antologia, quello di luglio-settembre. Careni è uno dei mici ultimi allievi al «Cesare Alfieri» prima dell'aspettativa parlamentare: ha già riunito in un volume. Scritti sul fascismo, tutte le pagine sparse del martire sulla dittatura, al di fuori delle aule parlamentari (compreso il famoso J'accuse ■ Un anno di dominazione fascista). Il grande merito della battaglia di Matteotti antifascista fin dalla prima ora, senza compromessi e tentennamenti, fu quello di denunciare il fascismo cifre alla mano, documenti alla mano, statistiche documentate e documentabili alla mano: quasi col rigore giuridico, con un piglio non estraneo alla sua esperienza di diritto. Matteotti impegnò tutto se stesso a smascherare l'illegalismo del. regime, a fare a pezzi quella cornice di legali tà .formale, in cui si lispccchia vano tutti'i ceti fiancheggiatori, coloro che scambiavano Mussolini per un Giolitti un po' più energico. Una galleria di personaggi, una lunga catena di solidarietà democratiche, espresse in forme rattcnute e quasi con una smorfia di pudore, nelle testimonianze raccolte da Carctti: Ettore decotti e Cesare Spcllanzon, Giuseppe Lombardo Radice e Luigi Facta, Adone Zoli e Ivanoe Bonomi, Cesare Biondi e Giovanni Amendola, Ncnni e Trcntin, Donati, Mondolfo, Titta Ruffo e tanti altri ancora. C'è Arturo Carlo Jcmolo, che il 10 giugno 1925, in occasione dell'anniversario, invia un telegramma Velia: «Inchina reverente l'a¬ nimo uno die non dimenticherà per tutto il corso della sua vita mortale». C'è Gaetano Salvemini, che in una lettera del 1} febbraio 1926 rivelatrice ed emblematica — uno degli inediti più preziosi di questa scric — confida alla vedova del martire il malessere di quegli anni, sfoga i malumori non solo verso i fascisti ma anche verso certe frange del liberalismo antifascista, «lo attraversai, fra il 1921 e 1924, un periodo di stanchezza fisica e di depressione mora/e. Detestavo i fascisti, ma non avevo fiducia negli antifascisti, me ne stavo fra i miei libri, coi mici giovani amici, risoluto a non rientrare più nella politica attiva: questa non mi aveva dato che fatiche e disgusto». C'è infine una lettera firmata da Lusso, Rossetti, Rosselli e Tarchiani, datata 21 settembre 1929, dove i quattro antifascisti adombrano l'ipotesi di organizzare — dopo il successo di Lipari — una fuga dall'Italia della stessa Velia e dei figli. Quella lettera contiene l'annuncio di «Giustizia e Libertà», una esperienza che sarà comunque decisiva nella storia e in ogni caso nella rifondazione del socialismo. I confini fra socialismo e democrazia si sfumano, fino quasi a dissolversi. A questo punto Nitti e Salvemini si danno la mano. Giovanni Spadolini Giacomo Matteotti am

Luoghi citati: Brescia, Fiume, Italia, Lipari, Livorno, Savona, Torino