Tabarly torna solo in mare

Tabarly torna solo in mare A 52 anni il mito della vela francese è partito per la Transat Tabarly torna solo in mare La sua sfida: vincere una terza volta la Plymouth-Newport, come nel '64 e nel '76 PARIGI — E' il l'elisia più famoso di Francia, un idolo, un mito. Ha cumulato vittorie, lia battuto primati. E'riuscito in imprese che parevano follia. A 52 anni, Eric Tabarly torna all'avventura: da ieri sfida se stesso, i suoi record. Cerca di avere quel die a nessuno, finora, è riuscito: vincere una terza Transat, la traversala atlanttca «in solitario» più dura del mondo. Quindici, venti giorni di mare, 5500 chilometri. Una fatica enorme. Un confronto con avversari di venti, trentanni più giovani. Perché? Perette mi diverto, risponde. La sua storia — anch'essa un'avventura — comincia vent'anni fa di questi giorni. Tabarly, allora, è conosciuto da pochi, è un giovane pilota da caccia che Ita lasciato l'aviazione per il mare, che ha preferito — come racconterà più tardi —quel lunghi silenzi rotti solo dal rumore della far Uca.Alla Transat, nel '64, partecipano 14 scafi: favorito è un inglese, sir Francis Chlchester, ricco di gloria e trofei. Ma al traguardo di Newport arriva primo lui, Tabarly. E' una sorpresa, un trionfo. L'avvio di una carriera clic avrà tappe felici. Nel '67, quando il Pen duick III, la sua goletta di 17 metri, è primo sulla Manica, sul Baltico, nei mari australiani. Nel '79, quando vince la traversata del Pacifico in solitaria. Nel 76, l'anno della sua seconda Transat. Molti, allora, lo chiamano già «papalino», vecchietto. Lo burlano alla partenza da Plymouth. Quando Usuo Pen Duick IV, un'imbarcazione di 22 metri concepita per un equipaggio di 12 persone, arriva nella rada di Newport, nessuno lo aspetta. E' l'alba, nel porto c'è poca gen te, fa freddo, c'è nebbia. Tabarly è convinto di essere uno degli ultimi. A un giovane fotografo che gli va incontro domanda: «In quanti sono già arrivati?». Dal suo canotto, il fotografo gli grida: «Solo tu, nessuno, sei primo». La mia vittoria più bella, ricorda Tabarly. La più difficile, la più sofferta (cinque tempeste, la rottura del pilota automatico, le ferite e le abrasioni alle mani, per qualche ora, lo avevano convinto a cambiare rotta, a puntare di nuovo verso la costa europea). Ma anche l'avvio di un periodo difficile, delusioni, tentativi mancali, incidenti. Nessuna vittoria importante, da allora, tranne un record di traversata atlantica, nel 1980. E una serie di sconfitte, di -beffe*. Nel 77, al secondo Giro del mondo per vele, è squalificato: gli organizzatori non accettano la chiglia in uranio del Pen Duick VI. Nell'80, due settimane prima della Transat, si frattura una spalla sciando. L'anno dopo, una falla lo co- stringe al ritiro poco dopo la partenza della Twostar inglese. DI che scoraggiare chi, come lui, non ha bisogno di altre vittorie per consacrare fama e ricci lezzo. La tentazione, del mare, la «grande sfida» hanno avuto la meglio. Ieri, alla partenza da Plymouth, a salutarlo c'era la giovane moglie, in attesa di un figlio. Insieme hanno controllato le provviste nella stiva del Paul Rlcard, un trimarano progettato da lui secondo il principio. dell'aliscafo. Prima di salire a bordo, qualcuno gli Ita chiesto un pronostico. «Ci sono molti buoni velisti tra 1 90 concorrenti. Non ho nessun favorito. Neanche me stesso». A chi gli ricordava la profezia di un'astrologo («Il 15 giugno Venere e Sole saranno insieme al mezzo del ciclo, segno di una grande soddisfazione professionale per lui»), Tabarly ha soltanto sorriso. K(

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