Il cardinale che scelse di vivere trai lebbrosi

Il cardinale che scelse di vivere Il cardinale che scelse di vivere trai lebbrosi «Non mi concederò un giorno di vacamo finché nella città vi sarà un povero». L'uomo che nel 1950, prendendo possesso come arcivescovo della diocesi di Montreal, dichiarava un tale programma di vita era il cardinale canadese d'orìgine francese Paul-Emile Leger, che sarebbe poi diventato cardina le nel 19S3 e sarebbe stato anche protagonista di rilievo del Concilio, e persino, sebbene solo per un momento, candidato alla successione di Giovanni XXIII. Leger ha compiuto 80 anni il 26 aprile scorso, ma anche quel giorno ha vissuto la vita di ogni altro giorno nel lebbrosario di Nsimalen, a pochi chilometri da Yaoundé, capitale del Camerini. Il «caso Leger» fece grande impressione e suscitò opposte interpretazioni, quando nel 1967 Paolo VI concesse final mente al cardinale di scegliere definitivamente di andare a vivere fra i lebbrosi dell'Africa, dopo che Giovanni XXIII, che stimava Leger troppo per perderlo come vicino collaboratore, non glielo aveva invece concesso. Ci fu chi disse che Leger se ne andava perché deluso come progressista, mentre alti: sostenevano che lasciava Montreal perché deluso come conservatore. In realtà all'arcivescovo andava stretto tutto ciò che, aggiornato o no, sapeva ancora di privilegio, di potere eccle Mastico, di sicurezze garantite o di rifonnismo astratto. La vita di missione del resto era per lui un sogno di gioventù che si avverava nella piena maturità sino a questa salda e sana e operosa vecchiaia. I gesuiti, ai quali aveva chiesto nella sua prima giovinezza d' entrare nella Compagnia, non l'a. evano ritenuto idoneo «perché troppo emotivo*). Montini, finalmente, esaudiva quel sogno e Leger, a 63 anni, lasciava Montreal per V Africa dove avrebbe scelto, in tutti questi diciassette anni ogni giorno da capo, di vivere soprattutto nel silenzio e nella dedizione totale ai lebbrosi più emarginati e dimenticati, diventando una presenza e una figura che sta fra Charles de Foucauld e il dottor Schweitzer. A chi rimpiangeva che egli partisse, aveva detto: «Ho capito che Cristo esige da me non più parole ma fatti. Avevo visto morire di fame lebbrosi e avevo capito che bisognava agire, andarli a vedere, aiutarli uno ad uno, comprendere le loro necessità, curarli. Intendo dedicare ai lebbrosi, con l'assistenza morale e materiale, gli anni che il Signore vorrà ancora concedermi». D'altronde il «noviziato» come missionario, Leger f aveva fatto prima ancora d'essere vescovo con sei anni di soggiorno nelle missioni del Giappone. Ha mantenuto il suo programma. Ora parla, predica, catechizza, battezza, insieme ad un'intera comunità di missionari dello Spirito Santo, ma senza sentirsi o presentarsi come diverso da loro. Non gli compare più addosso la porpora, veste una semplice talare bianca con una croce di vescovo al petto. E su una vecchia auto bianca viaggia tutti : giorni in cerca di lebbrosi, disperati e moribondi, da salvare nella salute e nella speranza. Molti amici che non lo hanno dimenticato, lo aiutano da lontano nell'incarnare questa scelta di estremo, sereno radicalismo evangelico. Dopo tante parole dette e ascoltate, utili o meno utili, anche nella Chiesa, Paul-Emile Leger e stato capa ce di mostrare, senza alcuna polemica, che anche il silenzio, se vissuto in perfetta letizia coi poveri, e l'altra faccia — la più dimenticata — del magistero ecclesiale. Anche la sua «avventura di un povero cristiano» si esprime nell'evidenza più persuasiva essere povero coi poveri, come loro, secondo l'esempio di Charles de Foucauld; e non solo parlare a loro, ma dar loro la parola, alla pari. Senza retorica, Leger si e portato nel lebbrosario la mitra e il pastorale: è vescovo, cioè pastore ed è proprio per questo che crede nella parola dei poveri «parola vivente di Cristo». Nazareno Fabbrcttl sd

Luoghi citati: Africa, Giappone, Montreal