Il pane del nemico

n pane del nemico STORIE DI GENTE DELL'ALTOPIANO n pane del nemico Dopo che ebbero fatto la scelta classificandoci secondo il loto giudizio, venimmo divisi in tte gruppi. Il primo, di aii facevo parte, e il secondo vennero condotti in due baracche distinte verso l'uscita del campo; il terzo gruppo sarebbe rimasto nel Lager in attesa della morte per inedia. Tra i compagni del primo gruppo rni ritrovai con diversi alpini: reclute catturate con ancora sulla bocca il latte di casa, qualche meno alto ai servizi di guerra e noi pochi superstiti delle campagne di Grecia e di Russia. Facemmo subito lega, c loro mi dissero che dovevo rappresentarli per ogni cosa nei confronti dei tedeschi. Quella sera stessa si presentò un'occasione. I guardiani russi erano venuti a prendere due di noi per prelevare il pane che doveva servire da viatico per il prossimo viaggio, ma quando i nostri due incaricati ritornarono con il pane dentro una coperta e mi accinsi alla distribuzione, mi accorsi che mancavano diverse razioni. Controllai bene ogni cosa e feci in tempo a fermare la spartizione singola; dopo es sermi accertato che la mancanza non era dovuta a furto nelP interno del nostro gruppo, chiamai un graduato tedesco che stava passeggiando oltre reticolati. In maniera secca concisa gli dissi che volevo immediatamente conferire con il Lagcrfuhrcr. Il caporale senza esitazione, e come obbedendo a un ordine, enttò nel recinto delle baracche scostando con lo sguardo il guardiano e, senza chiedermi il perché, mi disse di seguirlo. * * Al Lagcrfiihrer spiegai la frode che avevamo subito e dissi che il pane prelevato era ancora 11, intatto dentro la co- f)crta, e che non l'avrei distrimito anche perché tutti concordi avevamo deciso di non mangiarlo se prima non ci avessero dato quanto ci spettava- .secondo il regolamento. «Sì, -arto!»' rispose. Non volle controllare, e fatto venire un sergente diede degli ordini. Ci avviammo verso il magazzino. 11 caporale addetto alla distribuzione e i suoi tirapiedi russi al vederci arrivare cambiarono colore; il Lagcrfuhrcr parlò a costoro dopo averli messi sull'attenti: disse che nel giro di un quarto d'ora dovevano riconsegnare il magazzino e che immediatamente dovevano consegnarmi il pane che ci avevano conteggiato. Ritornai nella baracca con il pane tra le braccia; i mici compagni mi aspettavano lungo i reticolati e quando entrai mi accolsero con voci di festa. Quella stessa notte, camminando senza sentire nulla e senza vedere il cielo, ci condussero al treno. Venimmo stipati nei soliti vagoni, rin¬ chqtiSaasmctpastamvdpnd o a e a - n i . e n i i r i e oze e o. l ci nai a. i e no n¬ chiusi e avviati ancora verso qualche ignoto luogo. Al mattino vidi che la direzione era Sud-list e che forse stavamo attraversando la Moravia. «Ci avviciniamo all'Italia» pensai subito, e mi premurai di comunicarlo ai mici compagni. Ora con lunghe soste, ora correndo e sobbalzando su rotaie sconnesse, arrivammo alla periferia di Vienna. Venne un allarme aereo, verso il ciclo spararono i cannoni c sulla terra cadevano le bombe dagli aeroplani. Il treno corse via e nfilo una valle stretta tra montagne di cui non si vedeva la cima. Non mi staccavo dall'inferriata del finestrino perché dopo dieci mesi ritornavo ancora una volta a rivedere le montagne, i boschi, i rivi di acqua allegra; fiori, uccelli. Respiravo con avidità quell'aria che mi pareva di casa. ★ * Al mattino successivo ci fc cero scendere ed entrare in un grande Lager diviso in blocchi. 1 prigionieri italiani che erano lì rinchiusi provenivano dalla Grecia e dalle isole dell' l'.gco e noi da loro volevamo sapere tante cose. Ci trovavamo nel cuore dell'Austria, nella Stiria; in questo posto prigionieri e deportati di ogni nazionalità lavoravano giorno e notte a cavar ferro sulla montagna: PF.iscnbcrg, che era tutta a gradoni e dal Lager si vedeva. Mi rese subito l'immagine del Purgatorio dante sco. Il lavoro era duro, la di sciplina rigorosa, ma il cibo discreto; chi però tentava d fuggire o di sabotare veniva spedito in uno Straflager da dove pochissimi uscivano vivi. Nel pomeriggio radunarono nostro gruppo e, sempre sotto scorta, ci fecero uscire e camminare per una strada a fondo naturale che saliva erta per il bosco. Lungo il cammino riuscii a ghermire e a portarmi alla bocca germogli teneri di abete e di crespino, foglie di acetosella, di pastinaca e di tarassaco. Le bacche non erano ancora formare, ma con felicità raccolsi c misi provvisoriamente in una tasca una decina di grosse lumache pensando «In questo luogo non morirò di fame». 11 Lager 60 5GW dove ci fecero entrare era su un valico tra alte montagne ferrigne chiazzate di neve e con cupi boschi di abete che si perdevano giù per le valli. Prima di assegnarci la baracca dove dormire ci condussero in una baracca refettorio, cosa mai prima d'ora vista, e qui, con nostra grande sorpresa, ci distribuirono il pane e la minestra Ma il pane non era quello so lito del Lager: la forma era quella tradizionale di ogni pane civile e, anche se scuro e compatto, risultava ben cotto e saporito; per la prima volta ricevemmo una razione di tre edpdlcdrpApldfa a i e o a e etti abbondanti, ossia un pane di un chilo ogni tre. La zuppa, poi, era di orzo e patate, ma densa e persino condita con lardo! Increduli ci si guardava faccia e dopo mangiato chiesi ai cucinieri del perché di questa abbondanza. «E\ ci risposero, perciò la società proprietaria della miniera, la Firma Alpina, integra la razione dei prigionieri che altrimenti non ce la farebbero a lavorare». Venne poi un caporale tedesco a dirci che il Lagcrfuhrcr sarebbe tra poco venuto a darci l'accoglienza e che ci mettessimo in riga per tre. Se anche eravamo una banda di patiti straccioni, i resti delle nostre divise mostravano ancora i distintivi del corpo e tutti, poi, avevamo ancora il nostro cappello alpino. Quando entrò l'ufficiale non aspettai l'ordine del caporale tedesco e diedi io V«attenti!» presentando la forza come quando ero caporale alla Scuola alpina d'Aosta. Gli straccioni scattarono tra l'ironico e il divertito battendo con fracasso i tacchi degli zoc coli. Il Lagcrfuhrcr sussultò e stette al gioco: ci passò in rivista salutando impeccabile, poi, anche lui batte i tacchi ancora salutando sull'attenti davanti a tutti. Con un cenno mi chiamò. Lui era un sottotenente molto anziano, anzi ai nostri confronti vecchio e canuto, aveva l'aspetto di un intellettuale borghese e dietro gli occhiali d'oro aveva uno sguardo mite. Mi guardò dai piedi alla testa e poi fermò gli occhi sopra la mia fronte: «Alio/» disse sorpreso. «Voi siete del sesto reg gimento?». Aveva letto il mero sul fregio del cappello. Rimase in silenzio come se qualcosa d'insolito gli si pre sentassc improvvisamente davanti. Poi riprese: «Nella vecchia guerra un soldato del tuo reggimento sulla cima dell'Orti gara con il calcio del fucile mi ha fracassato la mandibola». E si toccò con una mano il mento dove erano ancora evidenti i segni-.- - Mi sentii tremare le gtnoc chia pensando: «Questo ora me la fa pagare». Invece mi chiese da che paese fossi, dove era la casa, e glielo dissi. «Proprio di lì» insisteva. «Lì, in piazza vicino alla chiesa». Mi nominò allora montagne e valli, paesi e contrade, malghe e località anche piccole chiedendomi come erano quando le avevo lasciate. Sull'Altipiano aveva fatto tutta la Grande guerra, ed era tanto tempo che non sentivo parlare co della mia terra. Con il tempo venni a sapere che il Lagerfùhrer era un ingegnere vieti ncsc; con noi si comportò da galantuomo e quando un italiano traditore mi denunciò per sabotaggio mi salvò dallo Straflager. Mario Rigoni Stern

Persone citate: Mario Rigoni Stern, Moravia

Luoghi citati: Aosta, Austria, Grecia, Italia, Russia, Vienna