Vecchio Ambrosiano, come Calvi utilizzò illegalmente 52 miliardi

Vecchio Ambrosiano, come Calvi utilinè illegalmente 52 miliardi La requisitoria su una parte dell'inchiesta per il crack Vecchio Ambrosiano, come Calvi utilinè illegalmente 52 miliardi Chiesto il rinvio a giudizio di 13 ex dirigenti - Con i fondi del Banco erano state acquistate azioni dell'istituto stesso superando il tetto previsto dalla legge - L'operazione aveva lo scopo di sorreggere le azioni in Borsa MILANO — La magistratura milanese comincia a presentare il conto a quanti hanno gestito per anni il Banco Ambrosiano e hanno contribuito al suo crack. Proprio in questi giorni il sostituto procuratore Pier Luigi Dell'Osso, che si sta occupando del caso giudiziario, ha terminato la requisitoria per il rinvio a giudizio di 13 ex consiglieri di amministrazione, dirigenti e azionisti del vecchio Ambrosiano, imputati di reati che vanno dall'acquisto illegale di azioni proprie al favoreggiamento reale e personale, alle false comunicazioni sociali per finire ai reati valutari. Il tutto, va premesso, nell'ambito di un'in chiesta per bancarotta fraudolenta, il che non contribuisce certamente a alleggerire singole posizioni processuali. I fatti che hanno portato a questa decisione sono noti: quando gli ispettori della Banca d'Italia arrivarono al l'Ambrosiano nel giugno del 1982, subito dòpo la morte di Roberto Calvi, trovarono nel pa'rimonio dell'istituto di credito 1,7 milioni di azioni del Banco, acquistate sul mercato per circa 72 miliardi utilizzando fondi di proprietà del Banco stesso. I dirigenti dell'Ambrosiano avevano superato i limiti imposti dalla legge, che li autorizzava a acquistare azioni proprie (fatto di per sé lecito) soltanto entro i limiti di una ben precisa riserva accantonata l'anno prima e pari a 20 miliardi. 52 miliardi di titoli erano stati dunque rilevati illegalmente per poter sorreggere il corso delle azioni in Borsa in occasione dell'ammissione del titolo al mercato ufficiale. Imputati per il fatto sono l'ex vicepresidente e direttore generale dell'Ambrosiano Roberto Rosone, gli ex consiglieri di amministrazione . _ Goffredo Manfredi e Carlo - Olglati, 11 finanziere berga- - nvasco Carlo Pesenti e il suo assistente Franco Barlasslna, cinque dirigenti del vecchio Ambrosiano, un imprenditore, Enrico Miorlni, un com- - missionario di Borsa, Giorgio Patronclni, e per la prima volta negli annali giudiziari un cittadino svizzero, Fernando Garzoni, presidente della Banca del Gottardo, imputato di concorso per reati valutari. Sei degli imputati - sono in carcere o agli arresti dblgpClssi domiciliari, gli altri a piede libero. Nella sua requisitoria Dell'Osso sottolinea a più riprese gli artifici adottati dagli imputati ispirati da Roberto Calvi, per portare a termine l'operazione. Ad esempio, Pesenti, azionista dell'Ambrosiano, e Barlassina restano invischiati perché una loro società, la Soterna, accetta di fungere da area di parcheggio per 761.000 azioni dell'Ambrosiano per una settimana; in tal modo il Banco si presenta in Borsa senza proprie azioni in portafoglio. Prezzo del servizio, scrive Dell'Osso, 70 milioni che oggi costano a Pesenti e Barlassl¬ na l'accusa di favoreggiamento reale. Sintomatico è anche l'episodio di Goffredo Manfredi, consigliere di amministrazione del Banco, che si offre attraverso una sua società, la Milvia srl, di acquistare flttiziamente oltre un milione di titoli per un esborso di 50 miliardi. Altrettanto grave è il caso di Enrico Miorlni, che sin dal lontano 1976 possiede azioni dell'Ambrosiano in Svizzera attraverso una sua finanziaria, la Ecke A.G. gestita per altro dalla Banca del Gottardo. Nel 1981/1982 una sua società milanese, la Gem srl, ottiene un finanziamento di 2,3 miliardi ufficialmente per la ristrutturazione di un immobile, in realtà per acquistare i diritti inoplati dell'aumento di capitale dell'Ambrosiano. Con la requisitoria di Dell'Osso, lunga un centinaio di pagine, viene messo a fuoco il primo capitolo della indagine sul crack del Banco Ambrosiano. E' un episodio minore che chiarisce come si sono dilapidati 52 miliardi su un buco che ne ha lasciati alle spalle almeno 2000. Ma, avverte il magistrato nella sua conclusione, i meccanismi che hanno determinato il crack si ritrovano tutti in questo fatto specifico: Gianfranco Modolo

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