Gargantua candidato a Broadway

Gargantua candidato a Broadway TRA DIAVOLI, BALIE E STREGHE, IN PRIMA MONDIALE AL REGIO Gargantua candidato a Broadway L'« opera lirica» di Azio Gorghi distilla preziose esperienze di' Bartók, Schttnberg e Strawinsky; ricorre alla polifonia madrigalistica, ai canti popolari, al jazz - Splendida la messa in scena di Emanuele Luzzati, movimentata la regia di De Bosio - Ma perché nessuno ha ricordato che già in «Jean-Christophe» di, Romain Rolland si immaginava di mettere in musica Rabelais? o o o TORINO — .Ahi se fossi francese metterei Rabelais in musical», esclama il protagonista nel settimo volume di Jean-Christophe, il romanzo musicale di Romain Rolland, oggi così ingiustamente dimenticato. Debbo alla cortesia d'una valente comparatista torinese la segnalazione di questa singolaire coincidenza, fin qui sfuggita a Quanti si sono occupati della nuova opera che Augusto Frassineti ha tratto sapientemente dalla propria ammirata traduzione del capolavoro di Rabelais per la musica del piemontese Aeio Corghi. Né si ferma II l'analogia, che Jean-Christophe comporrà lui stesso l'opera, proprio un Gargantua, in un modo che si attaglia abbastanza a quanto ha fatto il nostro compositore: «Grandi quadri sinfonici, con a soli e cori, battaglie eroicomiche, kermesse,1; sbrigliate, madrigali alla Jannequln, d'un'allegrla enorme e Infantile». Ed infatti l'opera di Corghi è così: quattordici episodi musicali ritagliati nella materia dell'enorme racconto di Rabelais (ami, solo del primo libro, Gargantua, cui fanno seguito le vicende dei discendenti, Pantagrucl e Panurge). Può perciò apparire un po' sconcertante a chi si aspetti un intreccio serrato, e tuttavia i quadri successivi dell' esistenza di Gargantua, dal momento in cui nasce nell orecchio sinistro di sua madre Garganella, all'infanzia scatologica da Pierino la peste, fino alle battaglie dell età virile e alla saggezza della maturità, quando nella libera abbazia di Thélème isti tuisce, all'insegna del «Fa' ciò che vuoi», una sede per l umanità nuova, liberata dalle superstizioni e dall'oppressione del potere, questi quadri, dunque, si compongono nella continuità di un Bildungsroman, dove la salvezza dell'uomo è raggiunta dal basso; non attraverso le imposture di fumose elevazioni trascendenti, bensì attraverso la santificazione della materia e l'accettazione gioiosa della vita. Per la gola Quale musica riveste questa epopea del sensi (principalmente della gola e delle funzioni corporali, che dal punto di vista del sesso e della pornografia non c'è scrittore più casto di Rabelais)? Quarantasettenne, diplomato di pianoforte al Conservatorio di Torino con Mario Zanfi e poi di composizione a Milano con Bruno Bettinelli, Azio Corghi si orientato per conto suo, con duro tirocinio personale, verso le posizioni dell'avanguardia che difficilmente la scuola gli avrebbe potuto schiudere (fornendogli però un solido bagaglio di base). Una certa ossessione numerica, tipica della mentalità dodecafonica e post, governa sa plentemente la partitura di ' Oargantua. Non si tratta solo della serialità connessa con l'esaurimento del totale cromatico (serialità che del resto è attuata con libertà e fantasia), ma di calcoli e impegni che il compositore stesso si pone, trovandovi alimento all'Invenzione. Per esemplo, il numero 5 gioca una parte importante nelle prime scene. Nella penultima, alla proclamazione della regola di libertà che governerà l'abbazia di Thélème, la pagina della partitura d'orchestra si dispone in figura della pianta d'una chiesa, secondo quel gusto della figurazione grafico-musicale di cui si compiaceva molto anche Dallaplccola. Ce ne sarebbe a sufficienza per correre il rischio di un' arida contabilità seriale. Ma Corghi possiede dei fortunati anticorpi. Non è un pedante della dodecafonia, e la mentalità ingrugnata dell'espressionismo dodecafonico di stretta osservanza non sa neanche dove stia di casa. Lo sorregge invece la freschezza di numerose esperienze d'altra natura. Prima di tutto, è uno di quei moderni dell'avanguardia che non rigettano per niente la lezione di Strawinsky, ma anzi ci flirtano allegramente. In secondo luogo, ha un serbatolo di cognizioni ed attività musicologiche die l'hanno portato, da una parte a imbeversi di Rossini con l'edizione critica dell'Italiana in Algeri (e al Finale del primo Atto sottostà come uno schema quello del prodigioso Finale primo rossiniano) e dall'altra ad una larga familiarità con le forme aurorali della polifonia italiana e franco-fiamminga: cadenze di Landino, dell'Ars nova italiana, si sprecano nel vasto carnevale del primo quadro (dopo Sinfonia e Prologo). Durante tutta llnfanzla di Gargantua, questi è rappresentato da un mimo e perciò non ha voce propria: gliela presta un coretto di otto voci die si esprime secondo ì modi raffinati della polifonia madrigalistica. (Curiosissimo segnale monteverdiano un «lasciatemi ridire», che il musicista ci ha ficcato di brutto: nel libretto c'è «lasolatemi dire»; nello spartito diventa «lasciatemi ridire»/ / 'madrigali alla Jannequln* di cui sognava Romain Rolland per il Gargantua del suo Jean-Christophe, ci sono, alla lettera, nel quadro quinto del «crls de Paris», e dietro Jannequln spunta spesso l'ombra di Machault. Poi c'è In Corghi, sotto la temibile armatura dell'avanguardia (come i ritmi retrogradabtlt di Messtaen, tirati in ballo nella penultima scena, 'quartetto della regola del ThelemltU, a scandire V ordinamento curialesco del discorso di Gargantua con tutti quel burocratici •item*), c'è una disponibilità al piacere del canto popolare (la melodia piemontese delle «vfoire», le contadine a veglia, che circola spesso nel bassi e dà poi le quattro note del motto finale «fa' ciò che vuoU) e una frequente curiosità per espressioni del jazz (gli inserti nella scena delle campane, in relazione col buffonesco personaggio del curiale Mastro Giannotto, e i due a soli di saxofono che istituiscono un ponte tra la scena terza, gioco del bambino col cavallucci di legno, e V undicesima, la guerra vera portata dall'imperialismo di Plcrocolo, e qui i temi della solo saxofonico ritornano capovolti). Da quanto s'è detto una prima deduzione s'impone, sull'alto valore della parte corale, che ha nell'opera posizione preponderante. E' decisamente bella e s'inserisce con autorità nel solco di quel neomadrigallsmo che è l'apporto originale arrecato dall' Italia (leggi: Patrassi e Dallaplccola) alla musica del nostro tempo. Anche ti canto solistico si apre talvolta a modelli dallaplccollanl e non sempre sfugge alllngrata vocalità dodecafonica (da cui è immune V espressione corale), ma si avvale utilmente della preziosa sensibilità al colore di cut dà prova la scrittura strumentale (anche con interventi di live elcctronlc/ Esempio superbo, ancorché un po' lungo, la bella aria solistica della vecchiezza di Gargamagna, con accompagnamento di soli archi (e arpa), dove si distillano preziose esperienze di Bartók, di Schónberg, di Strawinsky. In guerra Del due atti, il primo è festoso, estroverso, carnevalesco. Il secondo è volutamente plii cupo, è la frattura della guerra, l'assalto del male contro la Ubera gioia delle creature, che però ne usciranno vittoriose. Non si può negare che le prime due scene, quella della lite tra Pastori e Focacceri, e quella 'del monaco claustrale', con la strage che Fra Giovanni e gli Abatini compiono sugli importuni Focacceri, stentino alquanto ad Inserirsi nel filo logico della narrazione e, così in apertura d'atto, riescano quasi incomprensibili. Quello che talvolta può riuscire qua e là meno perspicuo nel padroneggtamento operistico dell'enorme materia rabelalsiana è trionfalmente riscattato dalla splendida messa in scena. Emanuele Luzzati, da tempo apprezzato come uno dei migliori scenografi del nostro teatro, qui ha superato se stesso e ha firmato il proprio capolavoro, con l'apporto 'prezioso della fantasiosa costumista Santuzza Cali. Ciò ha permesso all'estro teatrale di Gianfranco De Bosio di sbizzarrirsi in una regia movimentata, che manovra le grandi masse in scena senza mai un momento di stasi e mette in gioco tutte le risorse (di soltto trascurate o addirittura ignorate) d'un ! teatro funzionale come il Regio (ed anche Aulo Brontola 'e Silvano Cova vanno portati sugli scudi per l'efficienza delle realizzazioni tecniche). Risultato: uno spettacolo che potrebbe essere portato a, 'Broadway pari pari e col quale il Regio pone imperiosamente to sua candidatura per un altro Premio Abbiati. Perché anche la realizza'«ione musicale è stata eccellente, per quanto ti possa giudicare di partitura così tnuova e difficile. Può darsi ■ benissimo che qua e là qualche scollamento ti sia prodotto nelle complesse scene d'insieme, e la voce del sug¬ geritore suonava spesso con drammatica urgenza, ma la mano del direttore Renzettt ha sempre portato in salvo la nave su onde certamente inquiete, giovandosi della bravura del solisti e della dedizione ammirevole dimostrata dal coro e dall'orchestra attraverso le lunghe prove che ti Teatro ha molto op- per portunamente disposto la concertazione. Il baritono Boris Bakow, Gargantua, e il basso Fissore, suo padre Gargamagna, grandeggiano quali magnifici protagonisti. Ma come dimenticare la gustosa Garganella disegnata da Carmen Gonzales e l'eccezionale comicità di Tullio Pane nella parte buffa di Mastro Giannotto teologo della Sorbona? Tutti vanno elogiati in blocco, le due governanti di Gargantua, Rosanna Bidone e Silvia Balcani, il vigoroso basso Luccardi, l'impeccabile e spassoso centralista David James nella parte di Ponocrate, precettore del giovane Gargantua, e Aurelio Faedda, Osvaldo Salvi, Roberto Cuppone (voce recitante nella cui proprietà stilistica si sente la presenza della regìa). Si dovrebbe citare anche le voci del coretto madrigalistico, ma sono otto nomi e otto cognomi, e invece c'è ancora da tributare t dovuti onori a un altro protagonista dell' esecuzione. Il maestro del coro Fulvio Fogliazza, senza dimenticare il buon contributo della coreografia di Claudia Lawrence. E si vorrebbe ringraziare tutto l'eserdto di figuranti, acrobati, mimi, ballerini e ballerine, che in varie vesti di guerrieri, animali, diavoli, balte, streghe, contadini e venditori ambulanti hanno occupato il palcoscenico e invaso ogni angolo del teatro a stretto contatto con gli spettatori, un po' perplessi via infine trascinati dalla 'ìellezza dello spettacolo. Massimo Mila C E plaGrgcmnGmpnbGeeJc l'orino. Gargamagna (Enrico Fissore) e Gai-gamella (Carmen Gonzales) sulla scena disegnata da Emanuele Luzzati

Luoghi citati: Algeri, Italia, Milano, Torino